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IRRAGGIUNGIBILE

ADELE

Non volli alzarmi dal letto, ero troppo stanca. Ero sfinita, non sapevo più da che parte girarmi, come fare per uscire da quella situazione.
Troppi casini per la testa.
In quel momento una carezza di mia mamma o una parola dolce di papà mi avrebbero fatto molto comodo. Riuscivo a sentire le loro voci mischiate ai sussurri del vento, ma erano solo un'illusione.
Non potevo rimanere rinchiusa nel passato, avrei messo fine a tutta quella situazione rendendoli orgogliosi di me e di quello che sarei riuscita a fare.
Nonostante questo mi mancavano, mi mancavano da matti.
Come un buco nel petto che cercavo di riempire con aria e pensieri. Ma era impossibile, poiché questo era un cratere tanto grande da risucchiare qualsiasi cosa vivesse al mio interno.

La persona dall'altro lato della porta continuava imperterrita a bussare. Provai ad alzarmi ma mi tremavano le gambe dall'agitazione, mischiata a paura e stanchezza.
Speravo non fosse Edith, l'avrei picchiata a sangue anche se, nelle mie condizioni, avrebbe vinto lei. Quindi non ne sarebbe valsa la pena. 
Sperai non fosse Alessandro, non volevo mi usasse. Non volevo continuasse a mentire.
Ma quello che avrei evitato più volentieri degli altri non era altro che Julian.

<<Julian...>> sussurrai pensando ai suoi occhi ghiaccio, alla sua pelle bianca, ai capelli soffici e color della pece, ai muscoli guizzanti sotto la maglia. Il solo sentire il suo nome mi faceva venire i brividi sulla schiena. Nonostante tutto quello che era successo, nonostante tutti gli avvertimenti che mi ero preposta... ero caduta nel suo tranello.
Avevo cercato di evitare il suo sguardo, di rimanere indifferente alla sua voce o anche solo alla sua presenza.  Ma era impossibile.
Si era insinuato piano piano nelle mie giornate, nella mia vita attraverso le crepe della mia armatura. Avevo fatto diventare sue armi le mie debolezze. Mi aveva convinta con sorrisi e frasi dolci, con sguardi amorevoli e carezze di troppo, con occhiate di sfuggita e frasi misteriose.
Mi aveva rapita.
Mi aveva fatto credere che mi amasse.
Ma era tutto falso.
Tutto.
Aveva una missione, farmi passare dalla parte del suo padrone facendomi cadere innamorata. E ci era riuscito, gli avrei fatto anche un applauso perché aveva passato perfettamente la prova.
Mi aveva rapita e ora nelle sue mani c'era quel poco che rimaneva del mio cuore. L'avrebbe distrutto. Come d'altronde aveva già fatto quella rivelazione.

Non perderò la testa,
Non perderò,
Non stavolta,
Mi ero detta
Solo poco prima di perdere la testa per lui.

Cercavo di convincermi che non sarei ricaduta tra le sue braccia, ma sapevo benissimo che l'avrei rifatto, mille volte ancora.
Sperai non fosse lui alla porta, proprio perché avrei odiato quel sentimento. Dopo tutto quello che mi era successo e che lui mi aveva fatto... non sarei riuscita a far smettere quella corsa di rinoceronti all'interno della mia pancia.
Dovevo fingere di aver tranciato qualsiasi rapporto. I miei occhi mi avrebbero tradita?
Mi era davvero difficile sopprimere quei sentimenti che erano diventati tanto forti, sentimenti che pensavo non avrebbero più imperversato nel mio cuore.

Le lacrime mi chiedevano disperate di uscire dalla prigione dietro le palpebre, ma non volevo. Mi ero ripromessa di non piangere, di andare avanti, di essere forte. E ci stavo riuscendo. Per tanto tempo le mie guance erano rimaste asciutte, ma quanto avrei retto? Le lacrime cristalline continuavano ad aumentare e la diga che avevo costruito con fatica si reggeva a malapena.

La porta si aprì di schianto. Una figura entrò in camera di corsa e affannata.
Mi trovò sdraiata sul letto, con ancora i vestiti neri che mi aveva procurato Alessandro, a pancia in giù a guardare  chissà cosa fuori dalla finestra.
Ebbi la forza di muovere lo sguardo verso la figura nella stanza che mi guardava dai piedi del letto. 
<<Scusi Signorina, non volevo disturbarla, ma è ora di cena. Dobbiamo prepararci. >> disse la voce nasale di Marta.

Riuscii a mettermi a sedere e la guardai di sbieco. Ora sapevo cosa le avessero fatto.
Era forte, fortissima.
Era sopravvissuta a quel dolore. Ma ora era diversa, il male si era insinuato in lei e la stava logorando da dentro come un cancro.
<<Siediti qui, vicina a me>> le chiesi facendole segno accanto a me sul materasso morbido.
<<Signorina, non sono tenuta a parlare...>> iniziò lei ma la interrupi.
<<Da quando mi chiami Signorina? Sono solo Adele. Due chiacchiere non fanno male, poi mi aiuti a prepararmi come vuole il padrone. >>

Lei si mosse e si sedette vicina a me.
Era dimagrita ma manteneva la sua grazia da elefante in calore. Mi scappò un sorriso ai ricordi che riaffioravano alla mente di noi due.
<<Che giorno della settimana è?>> le chiesi mentre si metteva a posto le pieghe del grembiule bianco sopra un vestitino nero.
<<Giovedì, della settimana rossa.>> rispose
<<settimana rossa, dici? >> chiesi
<<Sì, Signorina.  Domani sarà il grande giorno. Non dovrei dirle nulla ma alla fine ne parlerà tra poco a cena con gli altri. >>
Deglutii rumorosamente. Il mio momento... tra poco ci sarebbe stata la scelta.  Mi guardai le mani che avevano inziato a tremare. Le nascosi nelle tasche. Stava per arrivare un attacco.

<<Comunque, come ti chiami?>> le chiesi. Lei si raddrizzò.
<< Non sei abituata a questo tipo di domande?>>
<<No, di solito nessuno si interessa di quello che proviamo o di quello che siamo. Siamo solo serve del nostro padrone. Ma io lavoro con piacere per un bene superiore, ne sono grata.>> rispose guardando un punto fisso davanti a sé con i suoi occhi diventati spenti e grigio topo. Non avevano la solita lucentezza immatura e dolce che li contraddistingueva.
<<Ti rifaccio la domanda, come ti chiami?>>
<<Credo Marta...>> rispose titubante
<<Tua sorella come si chiama?>>
<<Non ho sorelle >>
<<Oh certo che ne hai, una sola. Si chiama Emma. E tua mamma come si chiama?>> chiesi insistendo. Lei tremava e aveva gli occhi che scattavano da un angolo all'altro della stanza spaventati.
<<Non lo so, non ricordo.>>
<<Adriana. Giochi a pallavolo e pratichi danza latinoamericana. Suoni il flauto dolce, ti piace Percy Jackson...>> stavo descrivendo la sua vita. Speravo potesse tornare in sé.

<<Cosa stai dicendo!>> urlò lei guardandomi negli occhi. Eccolo! Quel brillo, quel colore azzurro chiaro. Fu inghiottito immediatamente dal grigio. Dovevo continuare. 
<<Ti ricordi le giornate passate insieme? Quando urlavamo al cinema perché non riuscivamo a stare zitte, quando andavamo a chiacchierare al porto nel nostro posto preferito, quando mangiavamo il gelato e poi stavamo sedute per ore al tavolino fuori, i pomeriggi a studiare insieme, i partitoni a carte o a risiko, le torte che abbiamo cucinato insieme, le storie che ci siamo inventate, i segreti che ci siamo svelate, i sogni nel cassetto raccontati, gli abbracci, le lacrime... non ricordi niente? Non ti dice niente il mio viso? Ti prego ricorda, ho bisogno di te...>> dissi prendendole le mani.
<<Ho bisogno della mia Mondana preferita...>> sussurrai con il nomignolo che le avevo affibiato. 

I suoi occhi erano una guerra di colori. L'azzurro prevalse sul resto e finalmente riebbi davanti a me la mia amica.
<<Babbana... sei diversa. Cosa sta succedendo?>> chiese accarezzandomi la guancia.
<<È un casino, ma sono contenta che tu sia tornata in te. Dove sono le altre?Ce l'hanno fatta?>> chiesi speranzosa.
<<Sì, speravamo arrivassi a salvarci. Sappiamo tutto, abbiamo sempre contato su di te... ma ora devi prepararti assolutamente>> la sua voce sottile e dolce venne coperta da quella gutturale e bassa dell'assoggetata.
<<No!>> Escalamai ma sapevo che non ci sarebbe stato niente da fare.
I suoi occhi erano di nuovo freddi e spenti proprio come la sua voce.
La presi per le spalle e iniziai a scuoterla con prepotenza.
<<torna in te!>> urlavo, ma davanti a me sembrava di esserci un pupazzo inanimato. Mi sedetti sconsolata sul letto.

Non mi rimaneva altro da fare che scendere e andare a vedere cosa mi aspettasse. 
Quell'essere che era diventata Marta pose sul letto degli abiti mentre io ero in bagno a lavarmi.
Mi sciacquai il viso, sospirando dopo aver notato le mie profonde e nere occhiaie.

<<Eccomi...>> sussurrai uscendo dal bagno e trovandomi davanti dei semplicissimi jeans neri e una camicia del medesimo colore con il colletto bianco, per terra si trovavano delle scarpe, erano Allstar bianche.
Era proprio il mio genere, come facevano a sapere cosa mi avrebbe fatto piacere mettere?
<<Le ho scelte io credendo ti piacessero. Se non fosse così, le cambieremo>> disse meccanicamente l'assoggetata con il mento sollevato e guardando qualcosa a me ignoto.

<<No, sono perfetti.>> risposi toccando il tessuto morbido della camicia.
<<Ti lascio solo cinque minuti per cambiarti.  Non di più >> e con questo uscì dalla stanza.
Mi mancava anche lei un sacco.
Mi mancavano le mie migliori amiche.
I ricordi che ci legavano erano indelebili.
Eravamo tanto vicine da riuscirci a toccare ma così lontane da non riconoscerci.
Dovevo rimediare. Ma come?

Ci misi meno di cinque minuti. Lasciai i capelli sciolti ricadere puliti e lucenti sulle spalle magre.
Scendemmo le scale in silenzio. Avevo timore di quello che sarebbe capitato tra poco.

Sarei stata pronta.
Sarei sopravvissuta anche a quello?

JULIAN

Ero seduto composto al tavolo aspettando con impazienza che Adele arrivasse. 
Alessandro mi lanciava sguardi di sfida seduto proprio davanti a me.
<<Cos'hai da guardare?>> gli chiesi scocciato dalla sua presenza
<<Sei solo un illuso. Lei non ti merita e l'ha capito benissimo.>> rispose pensando di scalfire la mia corazza. 
<<Ah davvero? Eppure tra i due sceglierebbe me, sempre me.>>
<<Tu non la ami come la amo io. >>
<<Il tuo non è amore>> Esclamai alzandomi in piedi e catalizzando lo sguardo di tutti.
<<Il mio non è amore? E cosa sarebbe? Lei è perfetta per me, tu sei solo un errore! Sei solo un ostacolo da schivare!>>
<<La tua è possessione. Non penso che io sia solo un ostacolo dato che quando ha potuto ti ha allontanato per stare, ma guarda un pò... con me.>>
Si alzò anche lui. I nostri visi erano vicinissimi.
<<Non penso che a te abbia mai guardato con gelosia, non penso che ti abbia mai accarezzato la guancia, non penso che ti abbia mai detto che ti ama!>> urlai a pochi centimetri dal suo viso.
La sua mascella era contratta e lo sguardo vacillava mentre il mio era gelido e solido perché sapevo cosa stavo dicendo. Ero sicuro del suo amore proprio quanto ne ero del  mio.
<<Smettetela con questa storia, non è il momento...>> disse Edith.

Dei passi dalle scale ci distrassero.
Io ero vestito con camicia bianca e pantaloni beige.
Come al solito.
Alessandro con pantaloni neri e polo azzurrina, da figlio di papà.
Seduti al tavolo c'erano anche Alan e sua moglie, i gemelli, Rosa, Dario, I due cavalieri ed Edith.
Mancava solo Adele ma ovviamente il posto a capo tavola era riservato al nostro padrone che prima o poi avrebbe avuto il privilegio di sedersi insieme a noi.

<<Adele!>> la salutò Alessandro andando vicino a lei. Le prese la mano e su di essa posò un bacio. Lei sembrava stranulata ma non sembrava dispiacerle quel gesto.
Una gelosia bassa e profonda iniziò a bruciarmi nel petto. 
La accompagnò e si sedette vicina a lui e a Rosa. Era davanti a me, avrei potuto allungare il braccio per toccarle il viso ma era così lontana.
La sua anima era irraggiungibile.

I suoi occhi si posarono sui miei. Freddi, senza sentimenti.
Aveva saputo tutto. Le sorrisi per farle capire che io c'ero, era vero.
Ma corrugò solo la fronte per poi girarsi verso Alessandro.
Edith mi appoggiò una mano sulla gamba come per tranquillizzarmi, sapevo che non capiva ciò che stavo provando. Ma mi sosteneva lo stesso, nonostante tutto.
Il suo sorriso mi scaldò il cuore, era mia sorella e ci saremmo sempre aiutati a vicenda.
Quella situazione mi sembrava sempre più sbagliata, ma ormai c'ero dentro fino al collo e non potevo tirarmi indietro senza rischiare la vita.

<<Adele, sono contento che tu stia bene>> cominciò Alan mentre la prima portata era stata servita.  Un piatto di zuppa di non so cosa. Perfetto.
La mia preferita.

<<Non potrei dire lo stesso.>> rispose la ragazza dallo sguardo glaciale davanti a me. Nascosi il sorriso sotto i baffi, mi aveva sempre intrigato questa sua ironia sottile. 
<<I toni Signorina...>> la ammonì Isabella, la moglie di Alan.
<<Ha perfettamente ragione. Ripongo la domanda diversamente. Come si sente dopo aver tradito quelli che la reputavano amico? Quelli che si fidavano di lei?>> attaccò Adele spietata.
<<Ah scusa, non volevo essere scortese. Potrebbe anche essersi fatto male mentre giocava con le loro vite>> esclamò infilzando il pugnale fino all'elsa.

Ci fu un attimo di silezio teso e poi la sua risposta.
<<Tutto ciò che ho fatto è stato per un bene superiore, prima o poi lo capirai anche te.>> le disse assottigliando lo sguardo. 
<<Non credo proprio. >> borbottò mentre assaggiava la zuppa.
<<Non siamo qui per discutere di questo>> si intromise Edith ma venne fulminata da uno sguardo assassino di Adele.
Quest'ultima afferrò un coltello e lo strinse il più forte possibile lungo la lama. Gocce di sangue macchiarono la tovaglia bianca.  Stava reprimento il suo mostro interiore.

Stava combattendo.
Stava cercando di recuperare il controllo di sé. 
Lo notavo perché per anni anch'io  avevo combattuto contro quel mostro invisibile. 
<<Non lo fare...>> sussurrò Edith allungando la mano verso la sua.
Adele la ritrasse di colpo e alzò lo sguardo. Era nero come la pece.

Mi spaventai. Un nero tanto intenso da ingannarti e farti cadere nel suo tunnel senza fine. Due pozze di inchiostro.
<<Calmati!>> urlai cercando di farla tornare in sé. Il tremolio alle spalle mi preoccupava alquanto.
Lei mi guardò, voleva piangere ma non lo fece.
Il verde tornò a ripopolare i suoi occhi .
Grazie, mi mimò con le labbra che avevano perso colore.

<<Scusate, mi capita spesso.  Non volevo farvi assistere a questa scena>> disse grattandosi la fronte e fasciandosi la mano con un fazzoletto, pensando magari al casino che le era scoppiato attorno ma a cui non era riuscita a dare spiegazione.
<<Non c'è problema. Questa è la tua natura e noi siamo consapevoli di ciò che sei. >> disse Alan appoggiando il cucchiaio nel piatto ripulito.
Io non avevo fame, come un blocco alla gola che non mi permetteva di inghiottire qualcosa. Avrei rimesso tutto, sicuramente.

Ero troppo agitato e terrorizzato di... perderla. 

<<Penso che il nostro padrone ti abbia già parlato della piccolissima missione che dovrai compiere>> cominciò Alan per poi continuare dopo che Adele annuì
<<Partiremo tra dieci minuti. Con la macchina ti porteremo al punto più vicino alla villa raggiungibile con la vettura. Arriverai con Julian fino al confine e da lì andrai avanti da sola.  Sarai collegata con lui grazie a un microfono con il quale lui potrà ascoltarti. Dovrai vedere dove si trovano i draconiani e se riuscirai dovrai rubare i frutti. Se la missione risulterà impossibile dovrai tornare immediatamente da Julian o sai cosa succederà. >> le spiegò con calma e con un filo di minaccia.
<<Perfetto, allora andiamo>> annunciò dopo aver finito ciò che aveva nel piatto.

Alan e Alessandro la seguirono fuori dalla stanza mentre Edith tornava in camera sua con il viso deformato da qualche cosa che si stava dibattendo in lei.
Avremmo parlato, ma non ora.
Seguii le tre figure fuori dalla villa. Adele era già stata incappucciata e si era seduta vicina ad Alessandro.  A me toccò stare davanti mentre li osservavo in silezio dal finestrino retrovisore.

Nessuno spiaccicò parola. L'aria era carica come una molla, ci aspettavamo tutti che Adele facesse qualcosa. Ma l'amore per sua sorella superava tutto.
Arrivammo a destinazione e Alan si fermò a lato della strada.
<<Molto bene, d'ora in avanti andrete avanti voi. Vi aspetto qua con Alessandro, massimo quarantacinque minuti.>> disse mentre Adele si sistemava il microfono e usciva dalla macchina seguita da me.

Non mi guardò nemmeno, non si girò. Guardavo le sue spalle che si ostinavano a non girarsi per farmi scorgere il suo bel viso.
Arrivammo dal confine, luogo dove qualche settimana prima  ci eravamo visti.  Mi mancava starle così vicino.
<<Allora vado...>> sussurrò prima di entrare nel bosco attraversando la   patina trasparente.
<<Stai attenta!>> urlai ma non ricevetti risposta.

Mi sedetti su un masso pensando a quanto fossi imbecille.
Gli auricolari mi permettevano di sentire cosa dicesse.
Sentivo solo il suo respiro rotto e affannoso.
<<Sono quasi arrivata>> disse
<<Da dove entri?>>chiesi
<<la porta è chiusa>> esclamò
<<Vedi qualche finestra aperta?>> mi chiese. Immaginavo il suo viso muoversi verso l'alto guardando il cielo con i capelli a sventolarle intorno. 
<<Quella della tua camera è spalancata. Ma è troppo alto. Non puoi entrare da lì>> la ammonii
<<È l'unico modo. L'ho già fatto un paio di volte, è abbastanza semplice.>> 
Sentii la sua mano strisciare sull'intonaco per cercare appigli e poi i sospiri di sforzo. Stava salendo, dalla mia posizione vedevo una macchiolina nera arrampicarsi sulle pareti bianche della villa.
<<Ma come fa...>> sussurrai esterefatto dai suoi talenti nascosti. 

<<Sono dentro!>> sussurrò per poi chiedermi <<Come facevi a sapere dove fosse la mia camera?>>
<<Ti spiavo...>>  ammisi
<<C'è da preoccuparsi...>> sussurrò ridendo
<<Non è stato molto interessante>> dissi ironico
<<Dici? Guarda che io sono interessantissima >> Scoppiai a ridere.
<<Vero>>

Calò il silezio. Sentivo cigolii di porte, lei che tossiva e vari scricchiolii.
<<Tutto bene?>> chiesi
<<Non ho visto nessuno fin ora, ho paura siano nel dungeon>> rispose
<<No, io dicevo tutto bene te. Come stai?>> chiesi grattandomi la testa imbarazzato.
<<Non dovresti parlarmi, sono troppo indulgente.>>
<<Lo so>>
<<No, tu non sai niente. Non sai cosa si provi a sentirsi traditi!>> esclamò
<<Adele, tutto quello che ti ho detto era vero. Quello che provo è vero.>>

La vidi scendere dalla sua finestra veloce come una lepre. 
Correva celere, lo sentivo da come batteva il suo cuore, proprio sotto il microfono.
La vidi a pochi metri da me e sperai venisse ad abbracciarmi, magari anche a baciarmi.

La aspettai, come si aspettano i regali a Natale.
Si avvicinò a me guardandomi negli occhi.
Verde contro nero.

Non mi arrivò nessun bacio, solo uno schiaffone sulla guancia destra.
<<Non puoi pensare che creda alle tue parole dopo tutte le bugie che mi hai raccontato! Io non so chi tu sia...>> urlò a pochi centimetri dal mio viso.
<<Sono io, sono il tuo Julian. Quello che ti ama! Quello che è andato oltre ciò che gli era stato ordinato! >> risposi prendendole i fianchi.
<<E se fosse anche questa una missione? Un ordine? Una donna innamorata è più facile da comandare, hai pienamente ragione. Ti faccio un applauso per il bel lavoro.  Mi hai distrutta e buttata a terra come si fa con un oggetto mal ridotto. Sei stato bravo>>
Irraggiungibile, per me lei era così. Una stella luminosa che potevi guardare ma non toccare.
Irraggiungibile.

Con questo se ne andò verso la macchina.
Entrammo in silezio mentre Alan chiedeva ad Adele, che stava per essere ribendata.
<<Ci sei riuscita ?>>
La sua voce era fredda e senza sentimenti. L'avevo ridotta io così?
<<Erano tutti nel dungeon, non ho potuto prendere i frutti.>>

Tornammo a casa. Adele scappò nella sua stanza seguita da Alessandro.
Io tornai nella mia, lentamente e caracollante.
Entrai e diedi sfogo a tutta la mia rabbia.
Iniziai a prendere a pugni il muro urlando fino a che il bianco dell'intonaco non divenne nero come il mio sangue... come la mia anima.

#angoloautrice: ciao a tutti! Come state? Vi è piaciuto il capitolo?
Vi avviso, nei prossimi capitoli ci saranno Sofia e Chloe che ci spiegheranno cosa sta succedendo.
Cosa ne pensate del piano di Nidhoggr? Di Adele e Julian? Adele avrà fatto qualcosa in villa? Julian riuscirà a convincerla? Sofia e gli altri riusciranno nella missione? Venerdì rosso sarà la fine si tutto?
Continuate altri seguirmi! Tante stelline e commenti <3

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