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EPILOGO 1

Un venticello spirava da nord portandosi dietro un odore di fresco, tipico di maggio.
Le fronde della quercia sotto cui sostavo frusciavano debolmente creando una melodia piacevole e rilassante.
Le mie mani sfioravano, senza muoverli, i sottili fili d'erba piegati leggermente dalla rugiada mattutina.
Il sole si stava alzando temerario e inarrestabile nel cielo e scaldava tutto con i suoi raggi così familiari che quasi non ci si faceva più caso. 
Come tutte le piccole cose che ti accadono attorno e ti mantengono in Vita a cui però non dai troppo conto.
Si pensa, infatti, al proprio respiro prima di esserne privati?

Ognuno è collegato a tutto, il mondo è un gomitolo intricatissimo di legami diretti e indiretti.
Era da pensarla come un unico corpo, ogni parte è importante a modo suo. Ogni cellula, anche la più piccola e apparentemente inutile... è vita.
E la vita non è da sottovalutare, mai. Perché è  l'unica possibilità di trovare la bellezza anche nel granello di polvere. L'unica chance di permettere all'amore di inondare il tuo corpo e la tua mente.
L'amore era il motore di tutto e mancava nei volti delle persone che si aggiravano silenziose in quel luogo misterioso e quasi tetro.
I sorrisi erano scomparsi dal loro viso, facendo spazio a espressioni tristi e nostalgiche.
Ora non comprendevo più molto l'animo umano.

Perché farsi sopraffare dalle emozioni ? Se non ti permettono di respirare? Se ti fanno annegare nel mare che è in tempesta dentro di te?
Perché non voler accettare l'aiuto delle navi che passando ti porgono un aiuto?
Perché galleggiare e basta, aspettando che un'onda ti sommerga per sempre?
Sembrava che si fossero abbandonati al loro ineluttabile destino, anche se questo cercava di tenerli a galla.
Perché la vita era quello.
Una guerra.

C'è chi cade.
Chi muore.
Chi si ferisce.
Chi piange.
Chi urla.
Chi vive.
Chi ha delle cicatrici.
Chi cerca di non affogare.
Chi si lascia trasportare dalle onde.

Il trucco stava solo nel trovare la luce anche in una stanza buia.
La luce era ovunque, poteva essere nascosta però. Bastava crederci, e ognuno sarebbe sopravvissuto.
Ma alle persone che camminavano davanti ai miei occhi sembrava che la vita stesse sfuggendo dalle mani, che non credessero più in sé stessi. E soprattutto nella vita.

Due uccellini cinguettarono volando sopra la quercia.
Un sorriso mi squarciò il viso.
Era così bello il mondo: i suoi colori, i suoi profumi, il rumore, la pioggia, il caldo, l'erba, gli animali, il cielo, il silenzio, le persone... mi guardavo attorno e intuivo che le persone non davano troppo peso alla vita.
La consideravano come un sacco troppo pesante sulle spalle.
Come un ostacolo da superare. 
Come una cosa che ti è debita.
Ma non era così, non lo era affatto.
Avevo anche capito che ci si accorge di ciò che è importante solo quando lo si perde.
Anch'io la pensavo come le persone davanti a me, ora avevo capito. Ma era troppo tardi.

Un'ulteriore figura entrò nell'area verdeggiante circoscritta da una cancellata alta in ferro.
Camminava lenta, la testa alta a osservare il cielo che piano piano si stava schiarendo. 
I capelli mori le ricadevano lunghi oltre le spalle, l'andatura era lenta ma regolare, le spalle ritte, la postura altera, gli occhi fermi e risoluti.

Come potevo non riconoscerla? Anche il suo profumo spiccava sugli altri, avrei potuto riconoscerla anche in una moltitudine di persone.
Lei era lei, la mia sorellona. 
Si avvicinò vicino alla mia lapide che si trovava proprio sotto la quercia.
Si sedette accanto alla pietra dove era stato inciso il mio nome.
Accarezzò la foto su di essa e posò, sulla terra coperta da un tappeto verde, una rosa bianca.

Tutte le mattine, quando veniva a trovarmi, mi portava una rosa e buttava quella del giorno prima.
Tutte le volte ripeteva la stessa frase che mi faceva commuovere, sempre.  Perché avrei tanto voluto abbracciarla ma non potevo, non potevo più.
Perché mi ero gettata nel mare e non ero riuscita a riemergere.
A volte il male vince, ma ciò non vuol dire che bisogna arrendersi. Bisogna combattere fino alla fine, fino ad esalare l'ultimo respiro.

La rosa aveva un odore buonissimo, di primavera. Di rinascita.
Mi avvicinai ad Adele, cauta. Il mio viso era all'altezza del suo e i suoi occhi verdi sembravano trapassarmi con la loro freddezza.
Le accarezzai il viso, percorrendo il profilo della guancia, del mento, della fronte e poi affondai le dita tra i capelli folti.
Si sedette ai piedi della tomba, sempre rivolta alla lapide. Io mi appoggiai alla lastra di pietra fredda, seduta sul mio letto.

La osservai, come facevo tutte le mattine da quel giorno. Ormai due mesi fa.
Era cambiata, sembrava più tranquilla e serena, quasi felice per certi versi.
Ma aveva qualcosa che nascondeva dietro ai suoi occhi, lo capivo dal movimento delle mani frenetico e ripetitivo. Era un suo tic già da quando eravamo piccole.
Aveva ripreso i chili persi ma ciò non nascondeva le occhiaie nere pece sotto gli occhi.
La pelle era bianca pallida e le labbra erano screpolate.
Le spalle nel maglione nero erano immobili, così anche il viso. Neppure un sorriso solcava le sue labbra.

Era stremata, doveva ritrovare la luce. Ce l'avrebbe fatta, credevo in lei e lei lo sapeva.

Ne avevamo passate tante insieme.
La morte dei nostri, il mio coma, le settimane in ospedale, l'orfanotrofio, l'aver perso tutto, la verità sull'origine del genere umano, le nuove responsabilità, la battaglia al lago, il ballo, il mio rapimento, le torture subite, la battaglia finale, il sacrificio dei nostri amici e il mio.
Ne era valsa la pena.
Tante persone erano morte come me, ma per una buona causa.
Avrei fatto di tutto pur di rivedere quel cielo azzurro splendente.

Giulio e Milena non avevano sopportato gli esperimenti, Alessandro era stato ucciso da Edith perché convinta del suo imminente tradimento, i nostri genitori per averci protetto da una verità troppo grande per la nostra giovane età.
Avevamo tutti così tanto tempo davanti.
Ora Adele aveva quindici anni e doveva vivere per tutti quelli che si erano sacrificati per la luce, per il bene, per la vita altrui.
Doveva vivere, doveva essere felice, anche per noi.

I suoi occhi erano diventati più lucidi. Era l'unico momento in cui riusciva a sfogarsi, solo qua apriva le porte del suo cuore e faceva fuoriuscire ciò che teneva racchiuso solo per sè.
Accarezzava la terra che sovrastava il mio corpo ma non la mia anima.
Le sue lacrime cadevano pesanti sulla terra e forse erano proprio quelle a far nascere i fiorellini viola che da circa una settimana abbellivano il mio letticino. 

Anche a me lacrime amare solcavano il viso ma non bagnavano il terreno su cui atterravano.
Le sue labbra tremavano e anche le sue spalle.
Il suo momento di debolezza, unico momento di debolezza. Custodivo uno a uno quegli istanti di dolore, li raccoglievo come si fa con le belle conchiglie. Mi aveva protetta e sostenuta fino alla fine, avevo saldato il mio conto. Ora dovevo solo rimanerle a destra del petto. 
Cosicché non ci fossero spazi vuoti, vicina al cuore dove avrei potuto calmare i suoi battiti e colmare il silenzio. Mettere una toppa al suo dolore, ricucire le ferite del suo cuore.
Era stata forte per troppo tempo, ora che tutto era scomparso e non le era rimasto nulla doveva ricostruire tutto sulle ceneri della sua vita passata.

Si asciugò lentamente le guance e rialzò lo sguardo.
Per un attimo mi illusi potesse vedermi. Ma non fu così, sembrava trapassarmi come fossi aria.
Appoggiai la mano al petto e lo sentii vuoto, niente pompava e batteva.
Il mio cuore era con lei ora, ed ero convinta ne avrebbe fatto buon uso. Custodito nel lato destro del suo petto, vicino al suo cuore, ai suoi desideri e ai suoi ricordi più profondi.

<<Ilaria>>
Il mio nome fuoriuscì deciso dalle sue labbra. Fu come un colpo in faccia, uno schizzo di acqua ghiacciata. Perché mi mancava lei e i suoi abbracci, le sue favole, le sue carezze, i suoi divieti, le nostre litigate e i nostri scherzi. E soprattutto mi mancava vederla sorridere, perché il suo sorriso era la ragione del mio.
Mi ero sacrificata per il mio porto sicuro, per il mio punto di riferimento, per il mio pilastro portante.

<<Che come questa rosa bianca sei accarezzata dalla Terra, che come questa rosa bianca sei pura e senza macchia, che come questa rosa sei bellissima ma destinata ad appassire.
Sarò la tua acqua, la tua luce e il tuo ossigeno. Non scomparirà anche dalla mia mente la tua immagine e il tuo ricordo, perché è indelebile il tuo profumo. La mia piccola rosa, la mia piccola rosa... bianca come la luce che hai portato su questo mondo. E ora accolgo questi raggi del sole come fossero tuoi abbracci e tue carezze.
Omnia vincit amor.
Abbiamo vinto, perché il nostro amore ha superato anche la morte. Ti sento, sei qui, sei dentro di me. Sei il mio cuore, la mia mente, il mio sangue e le mie membra. >>
Si alzò dal suo posto e fece per andarsene dopo aver lanciato un ultimo sguardo alla tomba e dopo aver sussurrato.
<<Et in perpetum frater, ave atque vale. >>

Si allontanò e non potei seguirla perché ero legata a quel luogo.
Ma niente ci avrebbe separate, neanche la morte.
Ti saluto per sempre, fratello.
Mi appoggiai alla quercia sotto lo sguardo del cielo primaverile. 
Mi addormentai immaginando i raggi del sole come abbracci e carezze della mia sorellona.

#angoloautrice: ciao a tutti! Come state? Piaciuto il primo epilogo? Vi ha colpiti? Come? Non vi è sembrato banale vero? Vi ringrazio per tutto, siamo quasi giunti alla fine.
Vi dico già che il prossimo capitolo sarà gioioso e che ho pensato a un finale da favola. Si meritano un "vissero felici e contenti"! Alla prossima! Commenti e stelline <3

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