CONFINE
ADELE
Mi rigirai nel letto cercando una posizione comoda che mi facesse addormentare.
Sentivo ogni minuscolo rumore, ogni scricchiolio, ogni fruscio.
Non riuscivo a darmi pace, come se ci fosse qualcosa che mi impedisse il sonno. Qualcosa che era rimasto in sospeso.
Mi alzai svogliata e incontrai il freddo del marmo sotto i piedi.
Un brivido mi percorse la spina dorsale.
Mi sentivo diversa, quasi avessi levato un sacco dalle spalle e che tutto quello che succedeva pesasse di meno.
Con Chloe mi ero lasciata andare, avevo riso e scherzato perché qualcosa dentro di me era cambiato. Avevo capito chi ero, avevo capito che sotto la maschera si nascondeva qualcos'altro, avevo capito che io contavo qualcosa.
Mi avviai verso il mio bagno personale, mi sembrò strano non vedere anche gli spazzolini dei miei genitori o di Ilaria. Mi sembrava così vuoto, come me.
Avevo capito chi ero ed avevo fatto fuoriuscire la vera me, quella che era rimasta nascosta, quella che possedeva il potere e la prontezza della battaglia ma il vuoto non si era colmato.
Accesi la luce e feci fatica a mettere a fuoco la mia immagine riflessa nello specchio.
La pelle era bianca e pallida anche se le gote avevano un colore più vivace. Le labbra erano rosa carne ma non rosse come piacevano a me, come avevano tutte le protagoniste dei miei libri preferiti. I capelli erano lisci e sottili come fili d'erba. Erano di un castano chiaro che si alternava a un colore biondo. Con la spazzola li tirai indietro e mi feci una coda. I miei occhi scintillavano riflettendo la luce del neon. Erano di un colore verde acceso con macchioline marroni di qua e di là, mentre vicino all'iride erano gialli.
Mi accarezzai la guancia e sentii la mano secca e disidratata.
Continuavo a fissare i miei stessi occhi aspettando qualche cambiamento che non arrivò. Non riuscivo a darmi una spiegazione al mio comportamento.
Non ero una persona violenta e tanto meno crudele.
Erano dei momenti, sentivo quasi la mia anima che veniva messa da parte per far posto a qualcosa di più oscuro e arcaico. Come un mostro che era rimasto nascosto per troppo tempo e doveva scaricarsi con tutta la potenza che aveva.
Aspettai ancora che i miei occhi si tingessero di nero, aspettai che il male venisse fuori per riuscire a vedere il mostro che ero.
Iniziai a tremare ma , anche se ci provai, non riuscii a fermarmi.
<<Sei un mostro...>> sussurrai a me stessa.
Ero un mostro perché il nero che avevo dentro e che avevo sempre cercato di nascondere stava fuoriuscendo con tutta la sua forza.
Cos'ero veramente? Il nero o il verde dei miei occhi?
Strinsi con forza il marmo del lavandino cercando di non cadere.
Un senso di colpa enorme mi opprimeva.
Mi sedetti a terra.
Troppe responsabilità su spalle ormai troppo magre. Mi sentivo la causa di tutti i problemi: Colpa mia se stava per scatenarsi una guerra, colpa mia se i miei genitori non c'erano più, colpa mia se il male stava tornando, colpa mia per il nero che stava oscurando la vita di tutti quelli che avevo attorno... ero la colpa di tutto e ne ero consapevole.
Mi sciacquai il viso con acqua gelida e tornai in camera vestendomi con i miei soliti abiti monocolor, questa volta di nero, per nascondermi tra le ombre.
Presi in mano le scarpe e uscii dalla porta lasciando aperta la finestra .
Mi ritrovai nel gelido corridoio, gli specchi posti uno davanti all'altro riflettevano la mia immagine all'infinito.
Toccai la superficie riflettente e una voglia intensa di tirare un pugno alla mia immagine si fece strada in me, ma mi trattenni.
Passai davanti alla camera di Ilaria, accarezzai il legno liscio della porta e accostai l'orecchio.
Riuscivo a sentire i suoi sospiri e il suo leggero russare.
Non avrei mai voluto farle del male o anche solo provare a farle del male. Non ero io in quel momento, spettatrice del male che mi stava logorando dall'interno.
Mi mancò l'aria.
Aprii la finestra a fine del corridoio e presi una boccata d'aria fresca.
Un venticello freddo imperversava da nord, mi scompigliava i capelli che prontamente avevo legato e mi invitava a ballare la sua danza notturna.
Aprii gli occhi e mi ritrovai davanti uno spettacolo meraviglioso: la luna, nella sua imponente pienezza, si rispecchiava nelle acque nere del lago. Sembrava invitarmi ad andare, come un lontano richiamo.
Qualcosa mi diceva di andare là.
Il mio istinto, il mio cuore oppure l'anima di drago che era dentro di me. Ero un pò spaventa ma decisi di seguirlo.
Mi incamminai per il corridoio deserto e mentre stavo per scendere le scale che mi avrebbero condotto al piano terra sentii una voce, quella del prof.
<<Va bene, se vuoi fare un passo domani.>> imprecai mentalmente.
Ma cosa ci faceva a quell'ora della notte il prof al telefono?
Mi appiattii contro il muro e scesi piano piano.
Lui camminava avanti e indietro per la stanza.
<<Ma è necessario che tu venga? >> chiese al tizio ignoto al di là del telefono.
<<Va bene, hai ragione. Non vorrei che ci trovassi impreparati alla tua festa...>> sospirò il prof facendo roteare gli occhi al cielo.
<<A domani, Allan.>>
Sentii il "click" della fine della chiamata.
Il prof sbuffò e poi si diresse verso le scale proprio dove mi trovavo io. Mi prese il panico, che cosa potevo fare?
Mi nascosi in un' insenatura della parete, tra due mobili.
Mi tappai la bocca con la mano e per qualche decina di secondi non respirai e non emisi alcun rumore.
Il prof mi passò davanti e si fermò a qualche passo da me. Si guardò in giro e poi riprese la sua camminata.
Aspettai qualche secondo, sentii i suoi passi girare l'angolo e finalmente ritornai a respirare.
Mi avviai davanti al portone d'ingresso, avrebbe fatto troppo rumore se lo avessi aperto.
Optai per uscire dalla finestra. La aprii e prima di uscire mi assicurati che ci fosse qualcosa in mezzo così da non farla chiudere prima del mio ritorno, che sarebbe stato sicuramente prima dell'alba.
Avevo solo bisogno di un pò di tempo da passare da sola, dovevo cercare di dare un senso alla tempesta che imperversava dentro di me.
Corsi fuori dal cancello e mi lasciai alle spalle le mura della villa addentrandomi nel bosco.
Sapevo che non fosse furbo tornare lì, ma mi sembrava come se ci fosse una corda legata al mio corpo che mi stava trascinando verso quel punto.
Avevo imparato a seguire il mio istinto, anche quella volta volevo ascoltarlo.
Riuscivo a intravedere il lago.
Era a una trentina di metri da me, gli alberi mi impedivano la sua visione completa.
Mi arrestai di colpo.
Lì si trovava il confine dello scudo della villa.
Mi avevano spiegato e fatto vedere fin dove arrivasse, si era ampliato rispetto a prima perché la forza dei frutti era maggiore.
Questa volta non sapevo davvero cosa fare. La realtà mi era piombata addosso come cemento armato.
Era un'idea folle quella di tornare allo scoperto, in balia del male.
Feci un passo indietro, stava vincendo la ragione sul cuore. Non volevo ritrovarmi in una situazione simile a quella di due giorni prima.
Presi da terra una pietra e la lanciai contro un albero, ne presi un'altra e con ancora più forza la scagliai.
Feci così per qualche minuto, mi scaricai.
Una rabbia dirompente mi attanagliava lo stomaco.
<<Perché a me?>> urlai quando l'ultima pietra scalfiva la corteccia della quercia vicina a me.
<<Forse perché hai la forza di viverla...>> mi disse una voce a qualche metro da me.
Non ebbi dubbi. <<Julian?>>
JULIAN
L'acqua della doccia mi portava via l'odore di un'altra ragazza, della quale non ricordavo neanche il nome.
Avevo provato a pensare ad altro ma la mia mente tornava comunque in quella radura nel bosco.
Non avevo ancora digerito il fatto che qualcuno avesse cercato di toccarla. Non avrebbe potuto, lei era mia.
La sentivo mia.
Non mi era mai capitato, io non perdevo la testa. Ero il solito ragazzo con una fila di corteggiatrici e che non aveva voglia di una relazione seria, che non era destinato ad amare veramente e che era tormentato dal passato.
Tirai un pugno contro muro , la mano scricchiolò e le piastrelle si colorarono di nero.
<<Cretino, cretino, cretino. Non cadere... >>
mi appoggiai alla parete e mi lasciai scivolare sul pavimento bagnato della doccia. Mi tirai i capelli con forza sperando che facendo così anche i miei pensieri si volatilizzassero all'improvviso.
Sentii la porta sbattere e capii, dal passo netto e secco, che si trattava di Edith.
<<Pronto, fratellino?>> mi chiese dall'altra parte del vetro appannato.
Mi alzai di scatto chiudendo l'acqua.
<<Per cosa, sorellina?>> le risposi ironicamente.
<<Dobbiamo andare a controllare la Villa. L'hanno chiamata "veglia di controllo">> mi spiegò rapidamente mentre si truccava abbondantemente.
Mi coprii con un asciugamano e mentre mi asciugato i capelli con il phon le chiesi.
<<Per cosa?>>
<<Giusto per dare una sbirciata alla loro vita. Magari c'è qualche scemo che esce>> rise lei.
Io non risi, non riuscivo a pensare da "genio del male" quando c'entrava lei.
Non potevo farmi sopraffare così dalla emozioni, dovevo essere forte e non le avrei fatte trasparire.
<<Non credo proprio. Non ci vogliono tra i piedi...>> ammisi abbassando la voce.
Edith si girò di scatto
<<Ti ricordo che Lui ha dato una svolta alla nostra esistenza. Dovresti esserne grato e non essere ingordo. Non volere più di ciò che ti viene donato, Julian.
Non possiamo permetterci di perdere la sua fiducia. >> i suoi occhi erano piantati nei miei.
Poteva essere scontrosa e prepotente ma era come una sorella. Ci eravamo sorretti quando tutto il mondo ci dava contro. Non volevo tradire la fiducia di Nidhoggr, ma mi sembrava sbagliato ciò che faceva.
Io mi ero sottoposto all'esperimento di mia volontà, non obbligato.
I miei pensieri vennero bloccati dalla mano di Edith che si appoggiava sulla mia guancia. <<Per favore, Julian. Niente scemate >> i suoi occhi cercavamo di leggere la mia anima, ma ero come un codice.
Era difficile, quasi impossibile, decifrarmi.
<<Oh certo >> la rassicurai anche se ero il primo a non esserne sicuro.
<<Lo spero. Dai, ora preparati che usciamo. >>
<<Prendo la moto, tu sei vuoi usa le ali o il portale.>>
<<Sarà meglio>> uscì dal bagno insieme alle sue risa fragorose.
Mi guardai allo specchio, gli occhi azzurri risaltavano sul viso pallido e scavato.
<<Cosa stai facendo, Julian? Concentrati.>> mi incitai convincendomi di essere una persona che non ero affatto.
Posteggiai la moto vicino al lago, aveva un incantesimo e non poteva essere vista da umani.
Mi avviai verso un masso alto. Mi arrampicai e riuscii a vedere la villa in tutta la sua imponenza.
Edith era dall'altra parte dell'edificio, lo sentivo perché avevamo una specie di "cip" che ci faceva localizzare facilmente.
Osservai la struttura e constatai che essendo l'una di notte tutte le luci erano spente, tranne una.
<<Cosa fai?>> chiesi tra me e me.
Ero sicuro al cento per cento che fosse la sua camera, me lo sentivo.
<<Vieni da me...>> sussurrai. Avevo una grande voglia di vederla, di sentire la sua voce o solo la sensazione del sangue che scorreva più velocemente.
<<Vieni...>>
La osservai, vedevo una figura che faceva avanti e indietro senza sosta. Evidentemente non riusciva a dormire.
Poi d'un tratto la luce si spense.
Scesi dal masso e mi avvicinai piano al confine.
Non potevo proseguire perché se no sarei stato catapultato a una decina di metri più in là e sarebbe scattato l'allarme.
Il silenzio regnava sovrano in quel posto deserto.
Lo stomaco mi lanciava fitte dolorose per... Ansia.
Ansia di rivederla dopo tutto quello che era successo.
Mi sdraiai a terra, vicino alla riva del lago. Lo sciabordio delle acque che s'infrangevano sulla riva ghiaiosa mi sembrava una ninna nanna.
Ero stanco morto, era da tre giorni di seguito che non dormivo, e anche se il sangue di viverna nelle mie vene mi rendeva più resistente di un uomo normale, dopo un pò anche il mio corpo risentiva di quello sforzo. Guardai in alto e mi incantai a osservare la magnificenza della luna in quel preciso istante, per un attimo alla sua immagine si sovrappose quella di un viso umano.
Era una donna: la pelle bianca quanto la superficie lunare, due occhi grandi e azzurri come il ghiaccio, un naso sottile e all'insù e una bocca rosso sangue, tutto ciò incorniciato da una chioma fluente di capelli pece.
Sospirai pesantemente.
<<Mamma...>> sussurrai prima di chiudere gli occhi e di lasciarmi andare alla stanchezza.
Non seppi quanto passò.
Un rumore secco mi riscosse dal mio sonno leggero. Mi stropicciai gli occhi issandomi in piedi con fatica. La schiena era dolorante per la cattiva posizione.
Alzai gli occhi e mi rilassai constatando che era ancora notte e che non avevo perso troppo tempo.
Un altro rumore.
Proveniva dal confine, a una trentina di metri dal lago.
Uno "stoc" dietro l'altro rompeva il silenzio della notte.
Mi avvicinai e riuscii a scorgere una figura, si trovava poco distante dal confine.
Si piegava a terra, raccoglieva qualcosa e la scagliava contro una quercia con forza.
La collisione fra i due oggetti provocava il rumore che mi aveva fortunatamente destato.
Pezzi di corteccia volavano di qua e di là insieme a pezzi di pietre scheggiate.
<<Perché a me?>> urlò la figura.
La riconobbi all'istante. Mi ci volle qualche secondo per fare la mia entrata.
<<Forse perché hai la forza di viverla...>> dissi avvicinandomi, per quello che potevo permettermi.
Lei si girò di scatto spaventata.
I raggi della luna illuminavano sia la mia figura che la sua.
<<Julian?>> esclamò sorpresa.
Fece qualche passo avanti come se volesse venirmi incontro.
Si fermò a qualche centimetro da me. Ci divideva solo lo strato di energia della "bolla" della villa.
<<Da quanto tempo...>> sussurrai ironico.
<<Perché sei qua?>> mi incalzò lei. I suoi occhi erano pietrificati nei miei. Non riuscivamo, almeno io, a tranciare quell'intrico di sguardi.
<<Il mio compito era quello di controllarti da lontano, ma sei venuta tu.>> le spiegai.
<<Non sono venuta per te.>> si difese.
Avevo ripreso il controllo del mio corpo e del mio cuore.
Era tornato il solito Julian freddo e calcolatore.
<<Ah no?>> la presi in giro.
<<Come facevo a sapere che fossi qua, scusa?>> disse lei prendendomi in contro piede.
Ci furono attimi di silenzio.
<<Comunque...>> sussurrai abbassando lo sguardo per riportarlo immediatamente su.
<<Volevo sapere come ti sentissi, stai bene?>> ammisi. Dovevo sapere se stesse bene, perché questa consapevolezza avrebbe fatto star bene anche me.
<<Io sto benissimo. Mi trovo molto bene con loro...>> iniziò lei. Guardava da tutte le parti tranne che me.
<<E allora perché hai sentito il bisogno di venire qua? Da sola?>>
<<Dovevo chiarirmi le idee... è tutto così disordinato. >> ammise
<<Adele, ti ho sentita prima, non sei un mostro.>> cercai di rassicurarla.
Ci furono attimi di silezio, poi le sue labbra si mossero.
<<L'ho ucciso!>> esclamò lei.
Aveva il terrore dipinto negli occhi.
<<Ti avrebbe stuprato!
Non lo capisci? >>
<<Lo capisco benissimo, ma non avevo il diritto di decidere la fine della sua vita.>> rimasi in silenzio.
Lei non sapeva, però, che se non l'avesse ucciso lei l'avrei fatto io.
<<Ma ti giuro, non ero in me. Non so cosa mi succeda. È come se un qualcosa dentro di me , oscuro e maligno, mi inglobi e faccia quello che vuole. Ma io non volevo, non avrei mai voluto. >> cadde in ginocchio, sfinita da ciò che aveva intorno.
Mi misi alla sua altezza.
<<Non mi importa, e credo non importi neanche ai tuoi amici draconiani.>>
<<Loro non lo sanno>> ammise
<<Non se ne farebbero un cruccio. Sanno chi sei e sanno anche cosa porti dentro di te. >> le spiegai cercando di consolarla, facendole capire che non era sola.
<<E cosa c'è dentro di me?>> chiese alzando lo sguardo.
<<Sei la diretta discendente dell'unione fra i due fronti. Il tuo antenato era figlio di Viverna e Drago. Unione tra bene e male. Sta a te, ora, decidere da che parte stare. Se accettare il tuo io oscuro o continuare a limitarti e a controllarti ma stare dalla parte dei draconiani. >>
<<Io non lo so... non capisco.>>
<<So cosa provi quando combatti, anche se non lo vuoi ammettere ti è piaciuto quando hai avuto il controllo della situazione nelle tue mani. Ti piace il potere, Adele. >>
Lei muoveva la testa lateralmente negando l'evidenza.
Se in sé aveva sangue di viverna, come me, non poteva non provare quella sensazione di benessere e di godimento dall'avere il controllo.
<<Non è vero!>> esclamò quasi urlando.
<<Io non voglio essere così, non c'entra niente cosa provo>> disse
<<Invece sì che c'entra, lascia libere le tue emozioni Adele. Liberale.>> la invitai.
<<Anche sotto ali di drago può combattere un cuore nero...>>
Mi guardò negli occhi, erano del solito verde chiaro ma vicino all'iride dei filamenti neri rendevano più scuro il loro colore.
<<Siamo diversi, io ho autocontrollo e se voglio qualcosa la ottengo>> iniziò Adele <<E se mi impongo di essere buona, di assecondare il mio lato "bianco", allora lo farò. Ci sarà sempre qualcosa che ci differenzierà. Ci sarà sempre uno strato, un confine che ci renderà diversi e distanti. >>
<<E con questo cosa vuoi dire?>>
<<Che non ti ascolterò e che mi controllerò, per il bene di tutti>>
<<Ci sarà una guerra>> cercai di convincerla.
<<La guerra ci sarà comunque, sia se mi trovi da una parte che dall'altra.>> mi spense lei.
Non seppi cosa dire, non avevo la forza di contraddirla.
<<Dimmi una cosa.>> mi guardò negli occhi.
<<Tu conosci Edith, no?>> mi chiese serrando la mascella.
<<Certo, è mia sorella. >> spiegai
<<Anch'io ho una sorella >>
<<Lo so, e allora?>>
<<Sai cosa mi ha spiegato?>> mi chiese anche se sapeva che io ignorassi la risposta. Mossi negativamente la testa.
<<Quando i miei genitori sono stati uccisi, non c'era solo Edith in casa. Dimmi che non eri lì con lei.>> mi supplicò quasi.
Non volevo dirle una bugia.
<<Eri lì?>> chiese
<<Sì, ero insieme a lei. Ma non ho fatto nulla, dovevo solo cercare qualcosa in casa.>>
<<Cosa? >> urlò adirata
<<Qualcosa per ricattarti. Ma ti giuro che non ho fatto nulla.>> cercai di calmarla ma non ebbi successo.
<<La dovevi fermare, li hai fatti uccidere come niente!>> urlò
Uscì dal confine e mi si buttò addosso. Fui scosso da calci e pugni tanto forti da farmi male.
<<Sei un verme!>> urlava
<<Come hai potuto?>>
Si fermò per un attimo esausta. Era seduta sopra di me e aveva gli occhi chiusi per non far scappare le lacrime.
La presi e la feci rotolare sotto di me.
<<Adele >> la chiamai
<<Non volevo, non ti farei mai del male.>> ammisi ad alta voce.
<<Hai permesso che la mia anima venisse distrutta.>> sussurrò lei.
<<Porca misera, mi dispiace. Non voglio vederti soffrire...>> le sussurrai appoggiando la mia fronte alla sua.
<<Perché? Cosa hai tu di differente?>> le chiesi.
<<Julian...>> sussurrò lei con un filo di voce. I suoi occhi tornarono normali. Il nero che li stava oscurando se ne andò velocemente.
<<Non farmi del male... non voglio soffrire ancora. >>
<<Ti ho detto che l'ultima cosa che voglio è vederti soffrire. Mi dispiace per l'altra notte, sarei dovuto arrivare prima. Non avrei accettato che ti mettesse le mani addosso. Guarda qua.>> le indicai la guancia dove un lungo e rosso taglio le percorreva la pelle bianca.
<<Nessuno potrà più toccarti se ci sarò io.>> sussurrai.
Non seppi se mi avesse sentito, ma lo sperai.
Il suo respiro era diventato più veloce e sentivo le pulsazioni del suo sangue.
Sperai che qualche giorno sarebbe riuscita a perdonarmi.
Le misi una mano sulla nuca e avvicinai il mio viso al suo. Le nostre labbra erano a pochi centimetri di distanza mentre i nostri occhi cercavano di capirsi, di levarsi a vicenda la corazza che si erano creati.
Sentii una voce.
Era vicina a noi.
<<Julian! Dove sei ?>> urlò la voce di Edith.
<<Cazzo! Adele, nasconditi.>> ci mise qualche secondo, poi veloce come una lepre si nascose dietro il cespuglio più vicino.
Mi alzai velocemente cercando di pulirmi i vestiti dalla terra e dalle foglie e di calmare il mio cuore in tumulto.
<<Sono qua >> dissi facendomi sentire.
Mi si avvicinò e mi appoggiò un braccio sulla spalla.
<<Andiamo a casa? Tanto qua non succede nulla. L'importante è fare bene il giorno definito. >>
<<Oh certo.>>
Cercai di essere il più criptico possibile, speravo che Adele non facesse scemate e che Edith non si accorgesse di lei.
<<Cos'hai?>> mi chiese curiosa.
<<Oh, nulla di che. Penso che tornerò in moto. Tu se vuoi usa il portale. Ti vedo stanca.>>
<<Meglio, ho bisogno di una bella dormita>> si stiracchiò davanti a me. Con i tacchi era alta quanto me. I suoi capelli platino scintillarono illuminati dalla luna.
<<Tu cosa fai? Ti vai un pò a divertire?>> mi chiese ridendo.
Mi stuzzicava sempre. Mi irrigidii, non volevo che Adele sentisse.
<<Chi è la preda di sta sera? >>
<<Non posso dirlo.>> risposi come tutte le volte, era come un nostro copione. Ma questa volta il mio sorriso era tirato e finto.
Ti prego... vattene e non fare casini Edith.
<<Bene, divertiti anche per me sta sera. Io vado. Notte>> mi salutò.
La vidi avvicinarsi al lago per poi sparire in uno scintillio.
<<Adele!>>
La cercai dietro il cespuglio, ma non c'era. Mi guardai intorno e la scorsi, al di là del confine.
Mi fissava con occhi schifati.
Cercai di avvicinarmi ma lei mi lasciò stampato addosso un ultimo sguardo glaciale e si girò di spalle.
Scomparve presto in mezzo alle fronde scure degli alberi.
Rimasi lì, a sentirmi scemo per aver rovinato tutto.
Mi avviai verso la moto e guidai nella notte in cerca di un'altra ragazza per levarmela dalla mente.
#angoloautrice: ciao a tutti! Come state? Innanzitutto volevo scusarmi per tutto il tempo che è passato dall'ultimo aggiornamento, ma vi giuro che a scuola non mi hanno lasciato un attimo per respirare e quando servirebbe la mia fantasia si va a fare un giretto. Quindi, con tutto il cuore, vi chiedo scusa.
Comunque spero che questo capitolo vi sia piaciuto, che ne dite?
Il prof cosa avrà in mente? Chi era Allan? Come andrà a finire tra Julian e Adele? Di che piano parlava Edith?
Ci vorrà un pò per il prossimo capitolo, ma vi giuro che quando la scuola sarà finita aggiornerò con più frequenza.
Grazie mille, alla prossima puntata <3
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