1° capitolo: un addio doloroso
Era una di quelle notti in cui i ricordi prendevano il sopravvento e non mi lasciavano dormire. Pensieri e frammenti di passato vorticavano nella mia mente mentre mi rigiravo infinite volte nel letto.
La pioggia picchiettava incessante contro il vetro della finestra, con un ritmo incessante che sembrava rispecchiare la tormenta che si agitava dentro di me. Non c’era nulla di più adatto a descrivere quello che provavo: un’inquietudine che non si placava, una tristezza che mi avvolgeva come un manto. Il ricordo di mia madre, sebbene lontano e sfocato, era ancora vivido nella mia mente, come un’ombra che non riusciva a dissolversi, come una melodia che, una volta ascoltata, non poteva più essere dimenticata.
L'idea di essere stata privata di quella figura, così fondamentale per la mia esistenza, mi sembrava ancora irreale. Mia madre non c’era più. Non avrei più sentito la sua voce dolce chiamarmi, non avrei più avuto quella sensazione di sicurezza che solo un genitore può dare. Avrei dovuto affrontare la vita senza la sua guida, senza quel faro che aveva sempre illuminato il mio cammino.
Per fortuna avevo due fratelli maggiori. Erano stati loro, con la loro presenza rassicurante, a infondermi coraggio nei giorni più bui. Quando mi dissero che nostra madre non c’era più, fu il primo genito ad abbracciarmi per primo, stringendomi forte a sé con una promessa solenne: mi sarebbe stato accanto, mi avrebbe protetta, qualunque cosa fosse accaduta. Quelle parole, pronunciate con voce ferma e sicura, erano state un balsamo per il mio cuore spezzato.
Ora, nella quiete della notte, il fratello di mezzo dormiva profondamente nella sua stanza, ignaro dei miei pensieri inquieti, mentre il maggiore era uscito, forse per trovare sollievo dalla malinconia che aleggiava ancora nella nostra casa.
Il buio era una presenza palpabile nella mia stanza, un’oscurità così soffocante da togliermi il respiro. Il tempo trascorreva con estrema lentezza, e i secondi sembravano disperdersi all’infinito.
Ogni tanto, il rumore di un tuono spezzava il silenzio, creando una distorsione nel tempo. Ma, nonostante la pioggia e il vento, il suono che più mi confortava era quello della voce di mio padre, che dal salone continuava a urlare contro la televisione mentre guardava la partita. Sebbene non potessi vederlo, la sua presenza era sempre un richiamo alla realtà, un segno che, nonostante la morte di mia madre, la vita doveva continuare. Mi sembrava assurdo, ma c'era anche una certa sicurezza nel suo tono esasperato. Quella voce, che in passato mi avrebbe infastidito, ora era come un filo invisibile che mi legava al mondo.
Mi ricordava che, nonostante tutto, non ero sola.
Un altro tuono esplose proprio davanti alla mia finestra, facendo vibrare i vetri. Un grido sfuggì involontario dalle mie labbra, e senza pensarci chiamai mio padre con voce stridula.
Pochi istanti dopo, lo vidi comparire sulla soglia della mia stanza. La luce del corridoio illuminava il suo volto stanco, gli occhi cerchiati dalla fatica.
«Va tutto bene, tesoro?» domandò, scrutandomi per qualche istante.
Annuii debolmente, ma non riuscivo a nascondere il tremore nelle mani. Papà si avvicinò e si sedette al mio fianco, posando una mano calda sulla mia.
«Non riesco a dormire… potresti raccontarmi di nuovo quella storia?» chiesi con un sussurro incerto.
Lui esitò per un momento, come se stesse pesando il dolore che ogni parola avrebbe riportato a galla. Poi annuì con un lieve sorriso triste.
«Va bene, piccola mia» acconsentì, accarezzandomi la guancia con tenerezza prima di iniziare.
Sapevo che per lui era difficile. Lo era per entrambi, perché avevamo appena perso la persona più importante della nostra vita. Ma quella storia era il nostro legame con lei, il nostro modo di tenerla ancora con noi, anche solo per il tempo di un racconto.
Chiusi gli occhi, lasciando che il suono della pioggia mi cullasse mentre mio padre cominciava a raccontare.
"«C’era una volta, tanto tempo fa, una coppia di giovani ragazzi.
Un giovane soldato di appena ventun'anni, nato in una famiglia agiata, il cui cuore si era indurito a causa delle intemperie della vita e del suo lavoro. Non cercava l’anima gemella, non credeva nella bellezza di quel sentimento così puro.
Dopo mesi trascorsi lontano da casa, in luoghi desolati, circondato dalla povertà e dalla crudeltà umana, aveva perso fiducia nelle persone e nelle loro intenzioni. Le uniche volte in cui trascorreva del tempo con una donna, l’incontro non superava la notte. Come poteva credere nell’affetto, se lungo il suo cammino non ne aveva mai ricevuto?
Vi era poi una giovane fanciulla, da poco divenuta maggiorenne, povera e sognatrice, il cui cuore puro non era mai stato offuscato, nemmeno dalle cattiverie di sua madre.
Quest’ultima, donna dal cuore di pietra, nutriva un amore smisurato per i suoi due figli maggiori, ai quali dedicava ogni attenzione, mentre verso la minore riservava soltanto indifferenza e freddezza. La giovane cresceva in un’ombra di solitudine, soffrendo per l’assenza di quell’affetto che avrebbe tanto desiderato. Così, cercava rifugio nei libri, trovando tra le pagine la tenerezza che le era negata nella realtà. Che importava se quella dolcezza proveniva da personaggi mai esistiti?
Un giovane che fuggiva dai sentimenti e una ragazza che, invece, li rincorreva.
Due esistenze agli antipodi, destinate a incrociarsi.
E così accadde.»"
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