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Quattro: le ore passate dall'inizio di quel viaggio. In queste poche ore, tante sono state le volte in cui avrei voluto pregare mia madre di ritornare indietro, salire le scale e rifugiarmi in camera mia, lontano da ogni cosa, lontano dal mondo.
Ogni strada, ogni negozio, ogni singola parte di Roma mi ha ricordato lei, e la nostalgia non ha fatto altro che cercare di trascinarmi giù, a fondo, con lei.
Poi, voltandomi verso mia madre, verso quella donna che in questi mesi non ha fatto altro che versare lacrime per me, mi dico che quel sorriso che ora ha stampato in volto, non posso e non voglio toglierglielo.
«Marco, a cosa pensi?» domanda mia madre, con tono preoccupato.
«Nulla. Pensavo che non abbiamo nemmeno avvisato i nonni. Forse dovremmo chiamarli.» mento. So benissimo che non ce n'è bisogno e mia madre me lo conferma subito dopo: «Sai che i nonni saranno contenti di rivederti. Nonna Paola mi chiede spesso di te. È dispiaciuta del fatto che non la vai a trovare da parecchi anni.»
Mi sento in colpa per aver trascurato la mia famiglia per così tanto tempo:"Sono uno stronzo."
«So di aver sbagliato, ma prometto che non metterò mai più da parte la famiglia.» Mia madre mi guarda, mi sorride e torna a guidare.
La radio suona una vecchia canzone che ascoltavo sempre alla radio, quando ero solo un bambino:'Hotel California'.
Quell'assolo di basso mi fa venire i brividi ogni volta che l'ascolto. Senza accorgermene, inizio a canticchiarla e, poco dopo, si aggiunge anche mia madre: i toni si alzano, le voci sono ben assortite e la complicità è palese. Sorrido all'idea di essere ancora così unito a lei.
Dopo sei lunghe ore di viaggio, senza nemmeno una sosta, scorgo quella via ancora in brecciolino, che porta alla casa sul lago. È oramai sera e il sole sta tramontando: i colori del rosso, arancione e giallo, colorano il cielo.
Sento già l'odore di lavanda che proviene dal campo adiacente al terreno dei miei nonni.
Il cuore inizia a palpitare e un sorriso si allarga sul mio volto: finalmente mi sento felice.
Scorgo la casa bianca in fondo la via e il lago sullo sfondo: la mia mente rievoca i ricordi legati a questo posto. Ricordo una volta che, per una scommessa fatta con Luca, sono salito sul grande albero i cui rami torreggiano sulla superficie lucente di quella pozza d'acqua, e mi sono tuffato da lì sopra. Quando sono arrivato giù, ho sentito una fitta alla schiena e son rimasto senza fiato. Mi sono risvegliato qualche giorno dopo in ospedale, con una frattura alle costole e una bella ramanzina da parte di mia madre. Rido tra me e me per la stupidità di quell'età e rabbrividisco subito dopo al pensiero che potevo morire.
La macchina si ferma dinanzi l'ingresso di casa: una grande veranda bianca li conferisce uno stile americano che a me piace molto. Vedo mia nonna seduta sulla sua sediava dondolo, con indosso la sua solita vestaglia e i capelli argentei raccolti in modo ordinato, assottigliare i grandi occhi verdi. Mi sbrigo a scendere e mi avvio verso quella donna che, in un primo momento, mi guarda titubante e quasi impaurita. Quando poi mi riconosce, scatta in piedi e, con gli occhi pieni di lacrime, mi corre in contro e grida:«Marco! Oh santo cielo, non posso crederci.»
Mi abbraccia stretta, mettendosi in punta di piedi: quanto tempo è passato se penso che l'ultima volta, per abbracciarmi, ha dovuto chinarsi. Sento delle gocce calde bagnarmi la maglietta e capisco che stia piangendo.
«Nonna. Come stai? Dov'è il nonno?» domando, abbracciandola e posandole un bacio dolce sulla testa.
«Io sto bene e tu? Il nonno è andato in citta a comprare alcune cose per casa.» poi si volta verso mia madre e continua «Cristina, tu come stai?»
Le due si abbracciano e mia madre risponde:«Bene mamma. Siamo venuti a trovarti.»
«Sono felice. Quanto rimanete?» domanda nonna Paola, mentre si asciuga le lacrime.
«In realtà non abbiamo una data precisa. Per voi è un problema? Avete dei progetti?» chiedo. In effetti non mi sono posto il problema prima di partire. In realtà non ho pensato a nulla prima di farlo. L'ho fatto e basta: ho seguito il mio istinto, mi sono lasciato guidare dall'impulsività che mi caratterizza, quella che molte volte mi ha cacciato nei guai, ma in altre mi ha fatto ottenere ciò che volevo.
«No figurati, potete restare quabto volete.» risponde con tono dolce Paola. Annuisco, mi volto verso il lago e sento come un richiamo: vado verso quello specchio d'acqua dolce e lo fisso come lo spettacolo più bello del mondo. Lo scritto, pian piano, centimetro per centimetro. Parto da sinistra e cerco di vedere quella piccola grotta nascosta dalle rampicanti che, anni prima, mi aveva fatto vedere mia nonna. Riesco a scorgere la sagoma della scogliera, ma la leggera nebbia della sera la nasconde, rendendola sfocata. Seguo tutto il perimetro con attenzione e, la mia attenzione, viene catturata da qualcosa sito al centro del lago. Assottiglia gli occhi per cercare di mettere a fuoco ma sono troppo lontano. Cammino lungo la riva del lago, fino ad arrivare al pontile: i miei occhi non staccano per un momento lo sguardo da quella sagoma. Salgo sulle travi di legno che scricchiolano sotto i miei piedi: arrivo alla fine di quel ponte e, finalmente, riesco a distinguere due figure: una barca e...una ragazza.
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