Capitolo 1 - Un nuovo inizio (Parte 1)
«Svegliati!»
La guancia venne sferzata da un colpo improvviso e un acuto bruciore s'irradiò in tutto il viso.
Riprese all'istante conoscenza, ma il cervello era ovattato, sopraffatto da un dolore intenso che pulsava in tutto il corpo. Sentiva solo un lieve fischio rimbombare nelle orecchie.
La testa girava, era pesante, ciondolava inerme dalle spalle appoggiate a scomoda superficie acuminata.
Dove si trovava? Non riusciva a ricordare cosa fosse successo.
«Svegliati!»
Trasalì nel sentire quella voce atona, quasi metallica, accompagnata da un secondo bruciante schiaffo.
Spalancò le palpebre.
Gli occhi lentamente misero a fuoco le proprie gambe stese a terra. Delle macchie rosse si stavano allargando sui pantaloni.
Il dolore era talmente intenso che non capiva da quale parte del corpo provenisse.
Cercò di portare le mani sulle cosce ferite, ma dalle braccia scaturirono delle fitte lancinanti e si mossero appena. Le maniche erano ormai completamente intrise di sangue.
Un lamento soffocato uscì dalla sua bocca e il panico si miscelò al dolore, spinto dal cuore che pulsava sempre più frenetico.
Iniziò lentamente a ricordare: la villa, il caos, gli spari, le urla.
Mise a fuoco la propria pistola che giaceva a terra tra le gambe. La canna doveva ancora scottare per tutti i colpi che aveva scoccato, ma non erano serviti a nulla.
Cercò di sollevare la testa, però era troppo pesante. Sentiva il lato sinistro del cranio ribollire pulsando, doveva aver sbattuto da qualche parte.
Riuscì a malapena a piegare il collo per ampliare il campo visivo. Gli occhi bruciavano e quel fischio fastidioso continuava a rimbombare nelle orecchie.
Sul pavimento in parquet scuro rilucevano i bossoli dei suoi stessi proiettili. Qualche metro più in là, un corpo era riverso a terra. Dal foro sulla fronte fluiva del sangue.
Conosceva bene quell'uomo. Aveva ancora gli occhi spalancati e un'espressione di terrore contratta sul volto ormai senza vita.
Deglutì e iniziò a tremare.
«Guardami!»
Gli occhi saettarono sul paio di stivali neri che gli stavano davanti. Quelle gambe erano talmente immobili che non aveva fatto caso alla loro presenza.
Una mano coperta da un guanto scuro invase dall'alto il suo campo visivo, diretta verso la pistola. D'istinto cercò di precederla, ma il braccio dolorante si mosse troppo lento, riuscì solo a emettere un lamento di sconfitta mentre lo faceva ricadere sulla gamba.
La mano ignota avvicinò l'arma al suo viso, fino a premergliela con forza contro la testa.
«Ti ho detto di guardarmi!»
Sollevò a fatica il capo, finché la nuca, spinta dalla pressione della bocca della pistola sulla fronte, sbatté contro le pietre che ricoprivano la parete.
«Alla buonora, eh, era davvero così difficile alzare la testa?»
La figura del suo interlocutore prese forma davanti a sé, stretta in una tuta nera ricoperta di tasche e cinghie.
Fissò con sguardo supplicante il casco che ne celava il volto e distorceva la voce.
«Bene, ora che sei di nuovo tra noi, vorrei da te qualche semplice informazione.»
Le parole raggiungevano ovattate il suo cervello, disturbate da quel fischio incessante.
Un bagliore alle spalle dell'individuo mascherato attirò la sua attenzione. Come un flashback, si materializzò nella sua mente l'immagine della catena che quel tipo faceva ruotare dinanzi a sé; le scintille provocate dai proiettili che si infrangevano su quella superficie traslucida erano uno spettacolo magnifico quanto terrificante.
Smise all'istante di respirare.
Quello non era un semplice fischio nelle orecchie, era il sibilo del cordone metallico che in quel momento stava creando una barriera alle spalle del killer.
«Allora, dimmi un po': chi è il tuo capo?»
La pistola gli batté sulla fronte.
Aprì la bocca, ma nessun suono ne fuoriuscì.
Il suo corpo era pervaso da fremiti sempre più intensi. Gli occhi offuscati dalle lacrime saettarono alla ricerca di aiuto, ma vide solo il cadavere di un altro compagno accasciato a terra dall'altra parte dell'elegante salone. Il volto sfigurato e impregnato di scarlatto.
Ricordava ancora l'agghiacciante schiocco generato dal capo della catena del killer nell'istante in cui gli aveva fracassato il cranio. Gli schizzi di sangue e materia cerebrale avevano raggiunto persino il candido soffitto del soppalco.
«Rispondimi!»
Trasalì.
Mosse le labbra tremanti e solo un lieve sussurro riuscì a vincere i singulti: «N-non lo so.»
Era la verità. Da quando, un anno prima, l'anziano capo era morto, gli ordini avevano continuato ad arrivare senza interruzioni. Solo i più stretti collaboratori avevano avuto qualche fugace incontro con il nuovo boss, ma nessuno sapeva che faccia avesse: aveva sempre celato la sua identità dietro a delle maschere e viveva in solitudine nella sua stanza in quella sontuosa villa, su una scogliera a picco sul mare, che divideva con domestici e collaboratori.
Tutti si chiedevano chi fosse e da dove arrivasse quel misterioso individuo, ma chiunque avesse tentato di scoprirlo non aveva avuto fortuna, o non era tornato per raccontarlo. In ogni caso, a nessuno importava davvero della sua identità, ciò che contava era che quegli ordini fruttavano alla banda fiumi di denaro.
Chiunque egli fosse, era davvero bravo a giostrare gli affari loschi di cui si occupavano: da quando era al comando gli introiti erano aumentati esponenzialmente.
«D-davvero... non lo so. N-Non lo sa nessuno!» riuscì a rafforzare il tono della voce, che suonava come una supplica disperata, «Io non-»
L'ennesimo colpetto della canna sulla fronte lo fece ammutolire.
«Zitto! Smetti di piagnucolare. Ti credo.» Il killer inclinò la testa, «È esattamente ciò che mi hanno detto tutti gli altri.» Ridacchiò, poi recuperò la serietà e avvicinò il casco al suo viso, «Ora ho un'altra domanda per-»
Il fragore di uno sparo rimbombò tra le pareti, facendo vibrare le ampie vetrate che davano sul terrazzo immerso nell'oscurità della notte. Una scintilla scaturì dalla barriera traslucida alle sue spalle, là dove il proiettile si era infranto.
L'uomo trasalì, emettendo un gridolino tra le lacrime.
Eve, invece, non si scompose. Rimase immobile, con gli occhi fissi nello sguardo traboccante di terrore della sua preda. Si limitò a ruotare il capo quanto bastava per vedere l'individuo che dall'altra parte della stanza fece nuovamente fuoco contro di lei. Sorrise nel vedere l'ennesima scintilla fiorire sulla barriera che non aveva mai smesso di far vorticare con la mano sinistra.
Con un ghigno si voltò di nuovo verso l'uomo accasciato contro la parete, «Perdonami solo un istante. Un minuto e sarò subito da te. Tu intanto vedi di non muoverti, ok?» Premette sul grilletto e un proiettile gli si piantò nella spalla sinistra; poi si voltò verso il nuovo arrivato e gli scattò incontro, accompagnata dal grido di dolore dell'altro.
Nuovi spari riecheggiarono nel salone dai minimali arredi moderni, per infrangersi sulla barriera che le sibilava dinanzi.
Con un balzo aggraziato salì sull'enorme tavolo in legno scuro che troneggiava al centro della stanza. Lo percorse correndo per tutta la lunghezza; al suo passaggio la catena faceva esplodere le lampadine che scendevano da un'intricata struttura metallica, generando una lucente pioggia di schegge di vetro.
Arrivata all'estremità della tavola spiccò un salto in direzione dell'uomo, che aveva continuato a sparare con le braccia tese davanti a sé, finché il grillettò scattò a vuoto.
Gli atterrò dinanzi. Rimase in piedi immobile con la visiera del casco a una spanna dalla canna dell'arma, «Mi sa che hai finito i proiettili» lo schernì.
Un altro colpo a vuoto.
Scoppiò in una malvagia risata e con un fulmineo calcio gli fece sfuggire la pistola dalle mani. Colto alla sprovvista, gli avvolse la catena al collo e con un colpo sul retro delle ginocchia lo fece piegare a quattro zampe a terra. Gli premette la pistola sulla nuca e si avvicinò al suo orecchio: «E tu, bastardo, l'hai mai vista la faccia del tuo capo?»
«No!» Quello ringhiò e reagì con uno scatto improvviso, ma il dito di Eve sul grilletto fu più veloce. L'uomo si accasciò a terra inerme.
«Come sospettavo.» Fece un ghigno e si chinò per svolgergli la catena dal collo.
Un acuto dolore le sferzò la schiena e cadde a terra. Si sforzò di sopportare e rotolò sul pavimento, giusto in tempo per schivare la sedia che un terzo individuo gli stava scaraventando contro.
Da dove diavolo uscivano tutti quegli uomini?
Da quando aveva fatto irruzione in quella casa ne aveva già affrontati oltre una decina, tutt'altro che inesperti, tra l'altro.
Come poteva quel criminale avere così tanti sottoposti a fargli da cani da guardia in piena notte?
Si sollevò da terra trattenendo un lamento, il colpo alla schiena si era sommato ai vari piccoli traumi che aveva subito durante quell'incursione e alla stanchezza che ormai iniziava ad appesantirle i muscoli. Aveva sprecato molte più energie del previsto per arrivare fin lì.
L'uomo afferrò un'altra delle sedie in legno che circondavano il tavolo e gliela scagliò contro con un urlo di rabbia.
La schivò scartando di lato, poi fece ruotare il capo destro della catena per fargli acquistare sufficiente velocità da scagliarlo contro di lui.
La lama gli affondò nel ventre.
Un animalesco urlo di dolore gli deturpò il viso e portò d'istinto le mani verso l'arpione, ma Eve lo ritirò a sé con un violento strattone, ampliando lo squarcio della lama, che sul suo tragitto incontrò un paio di dita, tranciandole di netto.
L'assassina recuperò la catena facendola avvolgere in morbide spire al braccio; quel movimento, però, le provocò una fitta alla schiena, che per un istante la fece vacillare.
L'avversario, spinto dall'adrenalina, si lanciò urlando su di lei e grazie a quell'attimo di distrazione riuscì a sbatterla con tutto il suo peso contro un mobile in legno massiccio.
Incassò trattenendo a stento un grido di agonia e cercò di divincolarsi da quel possente corpo. Con la mano riuscì a raggiungere la pistola e fece fuoco alla cieca.
Accompagnato da un grugnito di dolore, lui fece un istintivo passo indietro, portando le mani mutilate al foro sulla gamba.
Appena si rese conto dell'errore era già troppo tardi. Quando sollevò lo sguardo aveva l'arma del killer puntata in mezzo agli occhi. L'esplosione che illuminò l'interno della canna fu l'ultima cosa che vide.
Eve rimase immobile con il braccio disteso in avanti mentre l'avversario crollava a terra.
Gli occhi saettarono da un punto all'altro dell'ampio salone, pronta a reagire, ma sembrava essere rimasta sola.
Si sforzò di prendere profondi e regolari respiri per cercare di recuperare le energie e vincere il dolore alla schiena.
Appena il battito tornò regolare, percorse a passo lento la stanza, facendo ruotare i capi della catena ai suoi fianchi per precauzione, anche se sperava che le guardie del corpo di quell'ignoto boss fossero finalmente finite.
Raggiunse la parete rivestita in pietra grezza. Il suo prigioniero non era più lì, ma il punto in cui era seduto era ben riconoscibile dalle chiazze rosse che impregnavano i sassi color crema. Imprecò infastidita.
Le bastò seguire la scia di sangue sul pavimento per ritrovare l'uomo che si stava trascinando a terra in direzione delle scale per il piano inferiore.
«Ehi, bastardo, mi sembrava di averti detto di non muoverti!»
Lo raggiunse a lunghe falcate e gli scagliò la lama sulla schiena.
Quello gridò e si contorse sul pavimento.
Ritirò la catena, che si trascinò dietro una pioggia di sangue. Si accucciò davanti a lui e gli avvolse il capo sinistro al collo. Lo tirò verso l'alto per fargli sollevare la testa e guardarlo negli occhi attraverso il casco.
«Dove eravamo rimasti? Ah, già, al fatto che non dovevi muoverti!»
Estrasse fulminea la pistola dalla coscia e gli sparò all'altra spalla.
Trattenne il cappio mentre lui si contorceva dal dolore e attese che smettesse di urlare per continuare a parlargli: «E ora che ho la tua attenzione, ho un'ultima domanda da farti.»
Puntò l'arma verso la parete opposta a quella coperta dall'enorme vetrata a tutt'altezza.
«Dov'è che si nasconde il tuo anonimo capo? Dietro la porta uno, la due...» Indicò con la canna due porte scure che risaltavano sul muro bianco, poi la fermò sulla scala che portava verso il piano superiore, «o la tre?»
Diede uno scossone alla catena, che si serrò più forte sul collo dell'uomo sempre più ansimante. Dagli occhi arrossati continuavano a sgorgare fiumi di lacrime.
«Allora? Sto aspettando! Non ho tutta la notte. Lo vedi che il cielo là fuori si sta schiarendo? Tra poco sarà l'alba e io ho intenzione di essere già lontano da qui ai primi raggi del sole.»
Gli puntò la pistola alla fronte e avvicinò il viso al suo, finché lui fu in grado di specchiarsi sulla visiera nera del casco.
«Il tuo tempo sta per scadere. Pensaci bene, ma rispondi in fretta: porta uno, due o tre?»
I suoi occhi colmi di terrore saettarono un istante sulla cima delle scale, poi sul killer, e di nuovo verso la parete, rimbalzando senza sosta tra le tre alternative.
Anche se l'assassino l'avesse risparmiato, il capo non gli avrebbe mai perdonato un simile tradimento.
La sua mente offuscata da panico e dolore prese infine una decisione. Cercò di prendere fiato tra gli ansimi e biascicò con un filo di voce: «La u-»
«Grazie...» Il dito della killer premette sul grilletto e l'uomo si accasciò a terra con ancora gli occhi spalancati colmi di terrore, «stronzo.»
Gli liberò il collo dalla catena e la avvolse con cura al braccio sinistro.
Guardò la prima porta in legno nero, accanto cui svettava una rigogliosa pianta di un verde sgargiante, uno dei pochi elementi che adornavano il grande salone dal design moderno e minimale; ad arricchirlo non c'erano altro che pochi indispensabili mobili ed eleganti lampadari simili a leggiadre sculture.
«La uno... ha deciso di essere stronzo fino all'ultimo.»
Emise un verso di disprezzo.
«D'altronde, cosa potevo aspettarmi da un aguzzino che fa da cane a un contrabbandiere di droga e di vite?»
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