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Partirono che la luna era appena sorta. Li caricarono su un paio di carri tirati da pariglie di muli smagriti. La loro vettura sovraffollata dondolava come una barca tra le onde, ma con il braccio di Tavish intorno alle spalle Shamira si appisolò come una bimba nella culla.
Fu l'unico riposo concesso a tutti loro. Quando giunsero a destinazione era già l'alba e quindi furono immediatamente spediti a lavorare tra i filari carichi di frutti.
Che meraviglia!
Tra i rami festonati di foglie verdi, i grossi pomi rotondi occhieggiavano arancioni come tanti piccoli soli. E il loro profumo!
Tavish raccolse un'arancia e spaccò la buccia rugosa levando una nuvola di aromi irresistibili, mostrandole all'interno gli spicchi simili a quarti di luna vermigli.
- Assaggia! - la invitò con un sorriso.
Il gusto, aspro e dolce insieme, le riempì la bocca facendole salire le lacrime agli occhi. Non aveva mai mangiato qualcosa di così buono.
- Che state facendo?! Siete pagati per lavorare, non per mangiare il raccolto! -ringhiò qualcuno alle sue spalle.
Poi ci fu quel sibilo astioso, di una serpe disturbata da un piede incauto. La mano di Tavish la spinse rudemente a terra, un attimo prima dello schiocco sonoro appena sopra la sua testa. Levando gli occhi in su, un gemito di orrore le montò alle labbra. Sulla guancia barbuta del suo amico capeggiava un lungo sfregio scarlatto.
Quando il secondo sibilo ferì minaccioso l'aria, Tavish scattò in avanti con la rapidità di un leone maculato. Il sorvegliante si trovò inchiodato al suolo prima ancora di capire come ci fosse finito, il braccio armato di sferza torto dietro alla schiena sino al limite consentito dall'articolazione.
- È da ieri che non mangia per venire a faticare qui. Riprovaci e non avrai più braccia per farlo! - gli soffiò all'orecchio con quel tono controllato che suonava come un temporale incombente, accentuando un poco ancora la trazione sull'arto intrappolato.
- Ho capito! HO CAPITO! - uggiolò il prigioniero, persa di colpo tutta la sua tracotanza.
Tavish lo mollò bruscamente abbandonandolo dov'era, senza degnarlo di ulteriore attenzione. Prese Shamira per mano e la condusse a qualche albero di distanza, dove iniziò a raccogliere frutti chiuso in un ostile silenzio.
- Fa tanto male? - la udì mormorare dopo un po'.
- È solo un graffio - rispose staccando con un irritato colpo di cesoie un pomo profumato.
- Non voglio che ti ferire per colpa mia - disse lei con la voce velata dalle lacrime.
Tavish sospirò guardandola dritta in quei suoi occhi scuri di gazzella triste.
- Non è stata colpa tua. Ti ho detto io di mangiarla. E poi non ha la minima importanza. Per i sette gironi di Kariun, non permetterò a nessuno di frustarti! -
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