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7

Le giornate erano sempre più brevi e fredde, il vitto bastava appena a scaldare lo stomaco, ma per Shamira sembrava che fosse tornata l'estate.

Tavish non aveva più cercato di allontanarla. Forse non parlava molto più di prima, ma talvolta sorrideva e sembrava che gli piacesse ascoltarla. Cantare, certo, per tenere lonta­no i sogni cattivi, ma anche parlare, non importava di cosa. Andavano bene i ricordi della sua vita a Kreen, un uccello notato su ramo alto dell'ulivo che stavano ripulendo, un fiore tardivo mai visto. Lui, del resto, li conosceva tutti per nome.

- Si chiamano crochi - disse quando gli mostrò un ciuffo di fiori di un giallo brillante, spuntati in un angolo brullo nei pressi della loro tana. - Dovremo pensare a nuovi vestiti per te. Presto farà freddo. -

- Più freddo così? - borbottò contrariata.

- Più freddo di così - la corresse paziente.

- Di così - ripeté lei per imprimerselo bene nella memoria.

Ci fu uno sgradevole tuffo di panico una sera, al momento della paga giornaliera.

- Tu, aspetta là - disse il caporale indicando a Tavish alcuni lavoranti in attesa in fondo allo spiazzo.

Istintivamente Shamira si aggrappò alla sua mano, spaventata. Raramente nella sua vita i cambiamenti avevano portato qualcosa di buono.

Gli toccò attendere fino alla fine dei pagamenti, mentre il piccolo gruppo si ingrossa­va a poco a poco. Non c'era neanche una donna, notò Shamira sempre più ansiosa.

Il caporale arrivò con tutta calma solo più tardi, il ventre massiccio che metteva a dura prova la resistenza della cinta di cuoio, senza preoccuparsi del fatto che tutti loro ave­vano perso il turno per il pasto serale.

- Da domani si lavora a Gola Secca. Partirete al primo quarto. Lei no! - stabilì reciso guardandola come se fosse una chiazza di sterco che gli intralciasse il passo.

- Lei viene - disse quieto Tavish, stringendo un poco di più la piccola mano sudata nel­la sua.

- Non ci serve! - grugnì il sorvegliante.

- Lei viene - ripeté Tavish. Non aveva gridato, neppure alzato il tono. Eppure la minac­cia del tuono vibrava nella voce ruvida, così come nello sguardo tempestoso dei suoi occhi grigi.

Il sorvegliante deglutì a fatica, come se avesse trovato i vermi bianchi nella scodella del rancio, ma non osò contraddirlo. 

Shamira rilasciò il fiato che aveva trattenuto sino a quel momento. Non le importava che al loro arrivo la mensa fosse già chiusa. E poi non andò troppo male. Il compagno trasse di tra le pieghe sbiadite di quei suoi cenci impolverati una manciata di olive e le spartì con lei. Era la prima volta che le assaggiava dopo tanti giorni che le raccoglieva.

- Gola Secca non è male - disse Tavish sputando lontano un nocciolo.

Shamira provò a imitarlo, ma il suo seme spolpato cadde poco oltre i suoi piedi.

- A me andare bene ogni posto, se ci sei tu! - affermò seria seria.

- Anche a me... - ammise lui in un soffio inudibile tra la barba fitta.

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