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- Declan, sta arrivando gente. Un giovane e una ragazza - disse la donna impegnata a stendere un lenzuolo ad asciugare sul filo del bucato.

L'uomo, intento ad affinare il filo della falce con la cote, non si inquietò. Poche cose, in realtà, ci riuscivano.

- Magari staranno cercando lavoro, visto che siamo nella stagione del raccolto. Quando arriveranno lo sapremo, Fiona - disse ripassando la lunga lama ricurva con un gesto lento e preciso. Come era lui.

La vita gli aveva negato molte cose, altre gliele aveva strappate via senza misericordia. Fiona aveva pianto per lui le lacrime che non aveva mai saputo versare. Non perché fosse insensibile, al contrario, ma per ritegno. Il dolore se lo teneva dentro, affidandolo al lavoro intenso e al sudore. Quello era il solo modo di piangere che conoscesse.

Per il resto, si faceva bastare ciò che aveva: una moglie molto amata e la sua piccola fattoria, con la casa che si era costruito con le proprie mani e un appezzamento di terra dissodato palmo a palmo, sufficiente per l'orto, un campo di segale, un piccolo frutteto, un paio di arnie, qualche gallina, alcune pecore e un robusto cavallo da tiro, abbastanza di che garantire a lei e a se stesso un'esistenza dignitosa. Viveva giorno per giorno da uomo onesto e laborioso, non più nel fiore degli anni, ma ancora solido e capace, con la folta zazzera un po' sbiadita dal tempo.

Se aveva un rimpianto, era che tutto ciò che aveva costruito un giorno sarebbe andato perduto. Non gli era stata concessa la gioia di un erede, maschio o femmina non avrebbe fatto differenza per lui, e ormai si era rassegnato all'idea di non avere più parenti in vita, anche se per un certo periodo aveva disperatamente cercato di credere il contrario.

La spessa treccia bionda di Fiona gli ondeggiò davanti al viso, quando la moglie si chinò verso di lui.

- Declan, quei due giovani sono arrivati. -

- E vediamoli, dunque - sorrise deponendo la falce a terra e circondandole la vita ancora snella con il braccio. Posatole un bacio pungente di barba sulla guancia spruzzata di pallide efelidi e rughe sottili, spinse indietro il cappello di paglia e guardò verso il fondo dell'aia, dove i due ragazzi si erano fermati confabulando tra loro.

Lei era una fanciulla esile e slanciata, con una testa di riccioli fitti, scuri come le castagne mature. Lui lo vedeva solo da dietro: stava parlando con la ragazza e non si riuscivano a scorgere che le spalle ampie e solide e la criniera arruffata dei capelli, fulvi come erano stati i suoi un tempo. Dovevano aver camminato parecchio a giudicare dagli abiti impolverati.

Successe a un certo punto una cosa che lo fece sorridere. La giovane, che non gli arrivava nemmeno alle spalle, parve costringerlo a girarsi e spingerlo verso di loro con cenni autoritari.

- Un bel caratterino, si direbbe - ridacchiò Declan divertito.

- A volte è l'unico modo che funzioni con voi - osservò Fiona con intenzione.

Il ragazzo avanzava rassegnato, con le spalle curve e il capo chino come se si portasse sul dorso tutto il peso del mondo. Qualcosa in fondo all'animo dell'uomo vibrò, come se stesse assistendo a una scena già vista, ma con un attore diverso... un ragazzino che risaliva quello stesso lieve declivio, col capo chino e lo sguardo colpevole per aver dimenticato di chiudere bene il recinto delle pecore. Ci avevano impiegato un'intera giornata per radunarle di nuovo e ricondurle all'ovile.

No. Si era sbagliato! Perché quando il giovane infine levò gli occhi, capì che l'unica cosa a esser mutata... era il tempo trascorso.

Sua moglie emise un gemito soffocato, poi gli scivolò via e corse ad abbracciarlo.

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