Capitolo 8
L'aspetto più piacevole di Silvia, e che quasi tutti definivano infantile, era che ogni giorno si alzava dal letto e diceva: «Ce la puoi fare. Fai la dura. Non devi fidarti, mi raccomando».
Ogni mattina, però, appena arrivava davanti alla scuola, falliva la sua missione. Si leggeva tutto sul suo viso e il fatto di avere gli occhi lucidi e rossi non la aiutava certo.
Cercava, o almeno ci provava, di rimanere per conto suo, così da non svelare niente di sé. Malgrado i suoi numerosi tentativi, tutti conoscevano i suoi problemi e tutti la giudicavano.
È importante capire che il mondo di oggi è molto contorto: la società afferma di essere contro gli abusi di qualsiasi tipo, eppure li pratica ancora.
Parliamo di abusi, perché anche una parola malvagia viene considerata tale, e per strada, ma soprattutto sui social, si possono trovare tante contestazioni.
«Io sostengo la comunità LGBTQ+», ma poi è la prima a fare una faccia disgustata quando due persone dello stesso sesso si baciano sul marciapiede.
«Non capisco come si possa stare con qualcuno che ti fa male», ma poi è la prima a farsi usare da un ragazzo che la considera solo per i suoi bisogni sessuali.
«Mi dispiace che ci siano persone che non capiscono quanto il bullismo possa fare male», ma poi è la prima a spargere voci infondate su chi le sta antipatico.
Quanto è ipocrita il mondo di oggi.
Silvia era tornata a casa da poche ore; sua madre dormiva con i gemellini nel lettone, e i raggi del sole avevano appena invaso il piccolo salotto disordinato.
Mise in carica il cellulare, che si era scaricato durante il tragitto verso casa, e quando stava per bloccare lo schermo, una notifica su Instagram attirò la sua attenzione. Un certo Sandro Michelini aveva risposto alla sua storia.
Sandro Michelini ha risposto a una tua storia: Bellissimo.
E questo chi è? Si chiese la ragazza tra sé e sé.
Aprì l'applicazione e decise di rispondere.
È bellissimo
Si, lo è davvero
Dove sei di bello?
Sono stata a Como per un giorno
E sei riuscita a vedere l'alba? che invidia
si è stato bellissimo. il tramonto non si vedeva molto, ma ne sono stata contenta
Eri da sola?
Si, ma non importa
peccato, sarebbe stato bello essere li
ci conosciamo per caso?
Non direttamente, ma ci siamo
incrociati parecchie volte. non so se ti ricordi
dove?
alla fermata degli autobus per esempio e poi mi ricordo che qualche anno fa lavoravi da una Parruchiera vicino al mio. avevi sempre le trecce, ricordo
che coincidenza, wow. non me lo ricordo proprio, scusa
Non so, magari incontrandoci ti verrò di nuovo in mente?
Come, scusa?
Si, dai abitiamo nello stesso quartiere... quindi perché no?
non so se è l'ideale. ho tanto da fare. devo cercare un nuovo lavoro
abiti vicino a me?
si
possiamo uscire dopo che sei andata a fare i colloqui. che ne dici se ti passo a prendere?
Visualizzò l'ultimo messaggio e cominciò a fissare quella chat. Non aveva proprio idea di che tipo di persona fosse quella, e tutto il suo corpo le diceva di non avvicinarsi a lui. Eppure, sentiva quel bruciore in gola, quella sensazione di farfalle nello stomaco che la spingeva a rispondergli.
Per pura fortuna, ricevette una chiamata da un numero sconosciuto a cui rispose, grazie alla quale riuscì per un momento a ignorare quel ragazzo misterioso e affascinante.
«Pronto?»
«Sì, pronto. Buongiorno. Silvia?» L'erbetta fece un cenno d'assenso. «Ciao, sono Rebecca. Ci siamo conosciute durante il tuo stage dell'anno scorso. Ti ricordi di me?»
«Sì, sì, salve. Come sta?»
«Dammi del tu. Ho solo un anno più di te, dai».
«Va bene», sorrise Silvia.
«Senti, ti ho chiamato per conto del beauty salon, come ti dicevo prima. Tua mamma è passata a portarci il tuo curriculum. Abbiamo visto che hai finito la scuola».
«Sì, ma devo fare gli esami finali», rispose l'erbetta.
«Nessun problema, perché vorremmo offrirti un contratto part-time. Sai che il salone è aperto anche di sabato e domenica per mezza giornata, no? In questo caso ti chiediamo di fare il completo. Che cosa ne pensi?»
«Non sarebbe meglio un full-time subito? Tanto gli esami saranno solo tre giorni, quindi sarei praticamente sempre disponibile».
«Purtroppo il mio capo può offrirti solo un contratto da quattro ore al giorno, ma comunque certificheremo tutte le ore in più che farai. Ok? Perfetto!»
«Va bene», balbettò la ragazza. Silvia sapeva che non avrebbe trovato di meglio, quindi: «Quando dovrò iniziare?»
«Questo sabato alle otto».
«Va bene, allora ci vediamo sabato», sospirò.
«A sabato, Silvia», salutò Rebecca.
Concluse la chiamata e, improvvisamente, arrivò la madre. Silvia si spaventò, nessun rumore l'aveva avvisata.
«Quando sei tornata?» chiese la donna in vestaglia.
«Poco fa, mamma».
«Sei riuscita a rilassarti un po' in questa gita fuori porta?»
«Ho riflettuto abbastanza», rispose brevemente la ragazza.
Ci fu un attimo di silenzio: Silvia faceva roteare il telefono bloccato sul mobile della cucina, mentre Elena guardava nel vuoto, finché non decise di preparare la colazione per spezzare quell'imbarazzo. La madre tirò fuori farina, uova, latte e cominciò a sporcare tutta la cucina, mentre Silvia cominciava a pensare al passato.
«Mamma, ti sei mai pentita di aver tenuto i gemelli?»
La pelle di Elena si accapponò; posò lentamente il mestolo e fece un sospiro profondo.
«Me l'hanno chiesto tutti, ma tu non l'hai mai fatto. Perché questa domanda, Silvia?»
«Pensavo a tutto quello che ci è successo».
«Tesoro, per colpa mia hai sofferto così tanto e non volevo...»
«Appunto, perché abbiamo dovuto affrontare tutto questo? Perché hai deciso così?» la interruppe l'erbetta.
«Non volevo permettere a tuo padre di togliermi un'altra cosa!» affermò Elena.
«E non vedi mai la faccia di papà nei gemelli? Perché loro sono nati da quando...»
«Tu la vedi, Silvia? Devo preoccuparmi?»
«No, mamma. Voglio bene ai miei fratelli. Sono solo preoccupata», si scusò Silvia.
«No, comunque. Vedo solo due bambini dolcissimi che devo proteggere e fare meglio di quanto ho fatto con te», borbottò la madre.
«Non sono cresciuta poi così male», si imbronciò Silvia.
Ovviamente, Elena si riferiva a tutti i traumi che aveva subito la sua piccolina in passato e voleva rimediare a tutti i costi.
«Lo so, tesoro». La donna in vestaglia si diresse verso la figlia e l'abbracciò forte, una mano sulla schiena e una sulla testa. «Scusa se non ti ho protetto come dovevo», sussurrò.
«Importa solo che ora stiamo bene», rispose la figlia. «A proposito di stare bene, mi ha chiamato Rebecca! Mi hanno preso al beauty salon».
«È fantastico».
«Non fare la finta tonta. Mi ha detto che sei passata tu ieri a portare il mio curriculum, che oltretutto non avevo ancora fatto».
Elena fece spallucce e tornò a preparare la colazione.
«Mi ha aiutato Mario dell'edicola. Quindi... che cosa ti hanno proposto?» chiese tra farina e latte.
«Un full-time pagato come part-time...»
«Ma davvero? Che schifo l'Italia», commentò la madre.
«In realtà, sono stata io a proporre il full time, ma mi ha fatto intendere che comunque mi pagheranno come un part-time.»
«Rimango comunque senza parole per come l'Italia non protegga i suoi lavoratori.»
Anche questo era vero. Ancora oggi, i deputati italiani promuovono leggi con l'intento di aiutare i giovani nel mondo del lavoro, ma il risultato è spesso quello di renderli ancora più scontenti.
Il problema persiste da anni, ma la pandemia mondiale ha aggravato la situazione. Infatti, molte persone, durante il proprio isolamento, hanno cambiato le loro priorità e il loro stile di vita. I più colpiti sono stati i giovani, i quali, non soddisfatti delle prospettive di carriera e con retribuzioni davvero misere, hanno deciso di cercare un nuovo lavoro.
Purtroppo, Silvia non poteva permettersi di scendere a compromessi: doveva aiutare la sua famiglia e mettere da parte qualcosa per il suo futuro.
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