Capitolo 6
Si conobbero nel 1990 alla sagra del quartiere. Si festeggiava qualche santo di cui entrambi non conoscevano i nomi, ma si notarono e iniziarono a parlare grazie a amici di amici.
«Ciao, scusa se te lo dico così, ma non ho mai visto una ragazza bella quanto te».
Elena sorrise. «Grazie»
Iniziarono a parlare, insieme agli altri, di motori e del nuovo cd dei Rollins stone. C'era uno scambio di sguardi costante, lui sorrideva a lei e lei sorrideva a lui, così prima di andare, lui le si avvicinò e le chiese: «Posso chiederti il tuo nome?»
«Elena. Mi chiamo Elena»
«È stato un piacere, Elena, io sono Marius».
Lei sorrise e si convinse che non l'avrebbe più rivisto, ma pochi giorni dopo lo rincontrò dal panettiere. L'uomo ne approfittò e le chiese un appuntamento.
All'inizio sembrava un ragazzo così per bene: era dolce, premuroso e sensibile. Tuttavia, più andava avanti, più passava il tempo e più le cose cambiavano. Malgrado ciò si fidanzarono e in seguito all'imminente fine gravidanza di Elena, lui le chiese la mano, ottenendo così l'allontanamento da parte della famiglia di lei.
Elena partorì poco dopo e da quel momento il loro rapporto cambiò totalmente: per qualsiasi cosa era colpa di lei, perché era poco affidabile. Sbagliava a mettere il sale perché allattava la piccola neonata, non andava a prendere la posta, non buttava gli avanzi che lui lasciava nel lavandino. Partì tutto con piccolezze: Marius iniziò colpirla, prima con uno schiaffo, poi con le nocche delle mani sulla testa. Elena urlava, chiedeva aiuto ma lui le ripeteva che nessuno le avrebbe creduto. Era sempre così: litigavano, lui le dava dell'incompetente, inaffidabile, lui la colpiva e poi andava in bagno per una doccia, sbattendo forte la porta, per poi uscire di casa in fretta e furia.
Elena si ripeteva costantemente che era la foga del momento, che non sarebbe più capitato, che era tutto uno scherzo per rendere il matrimonio un po' più piccante.
Tuttavia, più la bimba cresceva, più Marius passava tempo fuori casa. I giorni passavano molto più lenti e faticosi e Elena era sempre più pensierosa. A lei mancava sempre il respiro quando Marius si infuriava senza una ragione e la picchiava: ai colpi con le nocche sulla testa si era aggiunte le dita sotto le costole, capelli tirati, la pressione delle dita nelle orecchie. Marius non le lasciava mai dei segni visibili, cosicché nessuno potesse crederle se avesse mai voluto parlare, ma lei non osava dire nulla, non credeva neppure lei a quello che stava succedendo, alla violenza subita e a quelle frasi che lui le diceva continuamente. Questo continuò per anni e la piccola erbetta, ogni qual volta che sentiva la voce rauca del padre un po' più alta del solito, si nascondeva sotto il letto della sua mamma, tappandosi le orecchie con tutta la forza che aveva e canticchiando a voce bassissima, cosicché i padre non la sentisse, una canzoncina che le avevano insegnato all'asilo. «Questa è la storia del serpente che viene giù dal monte per ritrovare la sua coda che ha perduto un dì. Ma dimmi un po' sei proprio tu quel pezzettin del mio codin? Sì o no? Questa è la danza del serpente che vien giù dal monte per ritrovare la sua coda che ha perduto un dì. Ma dimmi un po' sei proprio tu quel pezzettin del mio codin? Sì!».
Elena era distrutta ma voleva capire, voleva parlare con Marius, lui doveva darle una spiegazione. Lui la amava, ne aveva la certezza era così geloso... non poteva che amarla. Quindi perché si comportava in quel modo?
La stessa domanda se la faceva la piccola bambina che cresceva con quella figura paterna, che cresceva e vedeva fuori dalla scuola i padre che venivano a prendere le figlie, abbracciandole. Non capiva cosa avesse fatto di sbagliato per avere un papà così, ma infondo era sempre stato così, perché cambiare le cose?
Perché cambiare un qualcosa che è sempre stato così? Fin dalla sua nascita era così, dunque perché cambiare? Era suo padre, quindi le voleva bene per forza. Era suo padre, quindi doveva volergli bene per forza.
Un giorno, però Silvia capì che avrebbe dovuto reagire, la situazione degenerò: Marius tornò a casa ubriaco marcio, dopo una serata con gli amici. Non era mai tornato in quello stato. Erano le tre di notte quando buttò già a calci la porta di casa. «Silvietta! Amore mio! Dove sei?!» Domandò l'uomo con malizia estremamente cattiva nell'ingresso di casa.
Elena saltò giù dal letto e urlò: «Silvia, nasconditi!» Il suo unico pensiero era di proteggere la figlia. Per se stessa era troppo tardi. Era stanca di subire tutto quello, ma non aveva il coraggio di reagire. Si sentiva giudicata e osservata da chiunque e non ce l'avrebbe fatta a reggere anche quello. Non voleva gli occhi su di lei.
Silvia corse in salotto dove vide il padre con una bottiglia di vetro in mano e un aspetto malconcio e rimase impietrita.
«Ciao, bambina mia. Vieni dal tuo papà» sibilò Marius.
«Silvia, chiuditi in bagno. Corri» disse troppo tardi Elena.
L'uomo prese la madre per i capelli e la buttò a terra, facendola sbattere contro uno spigolo della cucina, procurandole diversi tagli. Dopodiché si fiondò sulla figlia, le tirò i capelli portando la sua testa all'indietro e la buttò sul divano. Aveva quattordici anni. Solo quattordici anni quando il padre le si mise sopra. Lei cercava di reagire. Si dimenava, lo colpiva ma nulla faceva effetto. Marius le prese i polsi, glieli mise sopra al capo, con il suo busto le teneva le gambe aperte e con l'altra mano le toglieva i vestiti. Silvia piangeva. «Papà. Fermati. Per favore. Basta. Fermati». Suppliche vane.
L'erbetta chiuse gli occhi. Voleva solo vedere il buio. Voleva svenire per non sentire alcun tipo di dolore. Non voleva sentire QUEL dolore.
Elena riuscì ad alzarsi. Le girava la testa e vedeva figure doppie, ma sapeva di dover intervenire.
«Stai zitta, bambina mia. Sei una piccola puttana, proprio come tua madre. Sei un egoista, proprio come tua madre. Una sanguisuga, proprio come tua madre» disse Marius a denti stretti, mentre si toglieva la cintura.
«Adesso basta» riuscì a dire Elena.
Marius si voltò all'istante. Strinse gli occhi e pronunciò: «Oh, tesoro. Arrivo subito da te, ma prima devo punire la nostra bambina, altrimenti come può crescere in questo mondo? Devo darle una lezione».
La donna, con un buco nel cranio, gli saltò addosso, strinse le sue braccia al collo e pensava di farcela, ma l'ubriaco si lanciò all'indietro. Sbatté contro il muro e, girandosi, le strinse la mascella con una mano mentre con l'altra le strappo le mutande. «Vedo che non hai ancora imparato la lezione, puttana». Entrò dentro di lei, con forza finché non lasciò una parte di lui in lei.
Marius era soddisfatto e rimase attaccato alla donna per sentire quella sensazione di piacere, ma questo diede il giusto tempo a Silvia di reagire, per fare quello che la madre aveva paura di fare. Si alzò dal divano, ricomponendosi quanto poteva fare, ruppe la birra che aveva prima suo padre in mano e con il collo della bottiglia pieno di schegge, aggredì Marius. Lo colpì prima una volta, al centro della schiena, e successivamente altre tre volte, finché non vide il corpo cadere a terra. Non c'era bisogno di dire che non sopravvisse. La madre scivolò sul pavimento e si rannicchiò come un neonato, mentre Silvia prese il cordless di casa e chiamò il 112. «Pronto Intervento» rispose un operatrice.
«Pronto... Ho appena ucciso mio padre», dichiarò l'erbetta.
La polizia e un ambulanza arrivarono dieci minuti dopo. Gli agenti non fecero domande: i vicini confermarono il trambusto. Era stata violenza domestica. Elena fu portata in ospedale e Marius all'obitorio. Silvia in una stanza a parte: la visitarono due infermiere e arrivò la dottoressa Daddari, che le fece raccontare tutto nel dettaglio per una deposizione in tribunale. Aveva quattordici anni e poteva finire in carcere, ma aveva tutti i fattori a suo favore. Sua madre aveva segni molto più evidenti, ma Silvia, oltre ad avere i segni delle mani di Marius sui suoi polsi e un livido sul viso, aveva delle cicatrici psicologiche molto evidenti e ferite sanguinanti che non si sarebbero sanate facilmente. Aveva difeso la madre e se stessa. Aveva fatto quello che la madre non aveva avuto il coraggio di fare: aveva reagito. Era stranita, ma soprattutto spaventata. Che cosa sarebbe successo? Che conseguenze avrebbe avuto quella notte? Si faceva tutte queste domande nel corridoio dell'ospedale e fu in quel momento che incontrò Nicolas. Sua madre era stata ricoverata per un ernia qualche giorno prima e così nacque un amore che poi conosciamo tutti.
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