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Capitolo 3

Silvia capì, ma fece finta di nulla. Non voleva rovinarsi la giornata. Aveva già detto addio alla sua quotidianità scolastica. Non voleva, non poteva avere altri pensieri negativi. Rispose al messaggio mostrandosi serena, anche perché lui aveva iniziato a lavorare per uno studio fotografico, dove le sessioni interminabili si svolgevano perlopiù in posti lontani. Era felice di vederlo, ma solo come un amico, e di questo non si rendeva minimamente conto.

Nicolas citofonò con impazienza e, quando lei gli aprì senza nemmeno rispondere, si sentì scocciato. Non voleva davvero salire. Voleva solo...

Iniziò a salire le scale, ma quella salita era diversa dalle altre. Sembrava di essere sull'Everest a parer suo: l'aria si faceva sempre più rarefatta e i gradini sempre più ripidi. Silvia, invece, lo stava aspettando sulla porta, proprio come faceva sempre.

«Ciao» esalò Nicolas. Aveva i polmoni a mille, ma non per i cinque piani, bensì per la sua codardia. Non voleva dire la verità.

Silvia sorrise e lui pronunciò: «Dobbiamo parlare».

«Va bene, possiamo farlo dentro? Ho appena messo nel lettino Carlo».

Lui sospirò, ma l'assecondò entrando solo fino alla soglia di casa. Lei lo notò.

La sensazione di dubbio di Silvia non l'abbandonava: sentiva come una puzza piccante pizzicarle il naso, ma niente emanava quell'odore, solo un essere il cui nome iniziava con la lettera N.

«Sono salito solo per farti capire che ti rispetto».

Silvia non era stupida, aveva capito che c'era qualcosa sotto. «Che cosa stai cercando di dirmi?»

«Credo che l'abbia capito anche tu... insomma, tra noi due non c'è più sintonia e...»

«Mi stai lasciando?» lo interruppe Silvia.

«È per il nostro bene» balbettò lui senza nemmeno guardarla negli occhi. Stava fingendo coraggio fissandole la fronte.

«Il nostro bene? Stiamo insieme da quattro anni ed è la prima volta che mi dici che c'era un problema... Perché non me ne hai mai parlato? Perché non me l'hai detto prima?»

Silvia iniziò a domandarsi che tipo di persona fosse diventato Nicolas... Perché non aveva mai notato che lui non stava bene nella relazione? Si intasò di domande su cosa avesse sbagliato, su cosa avessero fatto giusto e su cosa avrebbe potuto fare per rimediare. Le si leggeva tutto in faccia e lui, codardo com'era, ne approfittò pur di non dire la verità.

«Perché non me l'hai permesso! Senti, volevo finirla in modo amichevole, ma hai fatto tutto tu anche questa volta. Ti auguro davvero tutto il bene, ma è finita. Ciao».

Si voltò immediatamente, dandole le spalle, e corse giù dalle scale, superando il record della persona più veloce del mondo. Silvia, scioccata, rientrò in casa e, mentre cercava di calmare il pianto del fratellino Lorenzo, iniziò a pensare. Ripassò tutto il tempo trascorso con Nicolas, rimuginò e, alla fine, singhiozzò insieme al gemellino di poco più di tre anni.

Come aveva potuto essere così cieca da non accorgersi di quello che stava succedendo? Era proprio vero, quindi? Era vero quello che "lui" diceva? Silvia era un'egoista che pensava solo a se stessa? Non capiva più nulla.

Dopo aver messo i fratellini nel recinto dei giochi che aveva costruito insieme a sua madre, si chiuse in bagno. Si appoggiò con la schiena alla porta e si reggeva al muro con le mani. Faticava a respirare, sentiva una morsa allo stomaco, sudava freddo. Le gambe le tremavano, come se avesse un'incudine sulla schiena. Stava avendo un attacco di panico.

Mentre nel bagno l'aria si faceva sempre più pesante, qualcuno aprì la porta di casa. Sua madre era tornata dal lavoro. Svolgeva mansioni umili, puliva i pavimenti in un piccolo ufficio e un po' se ne vergognava. Non voleva che i suoi figli la vedessero come una "poveraccia". Aveva il costante pensiero di ferire i figli, perché lo aveva già fatto in passato. Non era intervenuta, e Silvia aveva pagato il prezzo più grande.

Diede un bacio sulla fronte di entrambi i gemelli e vide la porta del bagno chiusa. Bussò due volte, avvicinando l'orecchio al legno, e quello che sentì non le piacque. Conosceva bene quei respiri pesanti e, in passato, non era mai intervenuta. Questa volta non avrebbe fatto lo stesso errore.

Aprì la porta, che si bloccò dieci centimetri dopo, e disse: «Piccola mia, che cosa succede?»

«Mamma, non è niente. Mi dai qualche secondo?» chiese Silvia, trattenendo le lacrime.

«Silvia, ho già sbagliato in passato e non potrò mai farmi perdonare da te, ma, per favore, questa volta... permettimi di proteggerti».

Silvia fece un grosso respiro, si mise in piedi e aprì la porta. «Nicolas è venuto a casa e mi ha lasciata».

Si gettò nel petto di Elena, che l'abbracciò all'istante. La strinse così forte che avrebbe potuto ridurla in polvere e le accarezzò i capelli. Si sedettero a terra insieme, proprio come la prima volta che si erano difese a vicenda, e Silvia iniziò a raccontare quello che era successo poche ore prima con Nicolas.

Silvia sapeva che tutto, prima o poi, finisce, eppure ci rimaneva sempre male. Una piccola, minuscola parte di lei credeva che le persone a lei care non potessero mai andarsene o farle del male. Quante bugie si raccontava. Lei stessa lo sapeva, ma aveva paura. Paura di cambiare, come facevano sempre le cose intorno a lei.

Era stanca di dover sempre dire addio, di combattere per qualcosa che non aveva futuro, che non era duraturo, che non rimaneva nel tempo. Ogni volta che si fidava, veniva abbandonata.

«Devi lasciarlo andare, amore mio».

«Come posso? Sono quattro anni. Non quattro secondi!» ribatté Silvia.

«Quattro anni in cui sei diventata una bellissima donna! Guardati».

Elena non sapeva cosa dire, ma sapeva cosa fare. Prese il telefono e chiamò l'unica amica di Silvia che conosceva e di cui aveva il numero: Marica.

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