capitolo 25
Silvia si svegliò presto il mattino seguente, ma non riusciva a trovare pace. La luce del giorno penetrava dalla finestra della sua stanza, ma la sensazione di claustrofobia che provava non la lasciava. La casa, la madre, tutto sembrava avvolgerla in una spirale di ricordi dolorosi. Il cuore le batteva forte e la testa le era piena di pensieri confusi, ma una cosa era certa: doveva andare avanti. Non poteva più rimanere imprigionata nel passato, anche se sembrava volerla risucchiare.
Il rumore di un piatto che cadeva dalla cucina la fece sussultare. La madre stava preparando la colazione, e non era difficile immaginare che le sue mani tremassero, come sempre accadeva quando era arrabbiata o frustrata. Silvia non voleva affrontarla di nuovo, non subito. Non era pronta per un altro scontro, ma sapeva che, inevitabilmente, sarebbe arrivato.
Si alzò dal letto e si avvicinò alla finestra. Guardò fuori, il cielo grigio, le montagne all'orizzonte. La stessa vista di sempre, ma stavolta qualcosa era diverso. Non era più la ragazza che si sentiva intrappolata tra quelle pareti. Non più.
Si fece una doccia veloce, si vestì con abiti che avevano un sapore di libertà, un sapore di qualcosa che la madre non poteva controllare. Quando uscì dalla stanza, il suo passo era più deciso. Doveva trovare un modo per rimanere, ma senza cedere, senza rinunciare a se stessa. La sua vita ora apparteneva a lei, e nessuno, nemmeno sua madre, poteva impedirglielo.
Entrò in cucina con passo fermo. La madre era seduta al tavolo, le mani sul volto, come se cercasse di raccogliere la forza per parlare. Non appena la vide, la sua espressione cambiò, ma non nel modo in cui Silvia si aspettava. Non c'era rabbia questa volta, solo una stanchezza che le pesava sul viso, una sorta di resa silenziosa. Ma Silvia non si fece ingannare. Sapeva che quella donna, anche quando sembrava essere esausta, nascondeva sempre una forza pronta a esplodere.
"Buongiorno," disse Silvia, cercando di mantenere la calma, ma con una punta di freddezza nella voce.
"Buongiorno," rispose la madre, ma la sua voce tradiva una certa riluttanza. "Volevo parlare con te."
Silvia fece un passo avanti e si sedette. Non era il momento di fare marcia indietro. Doveva ascoltare, ma non avrebbe ceduto alle parole velenose che la madre cercava di inocularle.
"Ho sentito quello che mi hai detto ieri," continuò la madre, "sai, quando mi hai detto che non ero mai intervenuta quando tuo padre ti picchiava. È vero, Silvia. Non l'ho mai fatto. Non l'ho mai fermato."
Le parole della madre caddero come pietre sul pavimento, pesanti e inaspettate. Silvia fissò la donna, sorpresa da quella confessione, ma non per questo più disposta a perdonarla. Non più. Non ora che aveva trovato una parte di sé che non poteva più ignorare.
"Non mi hai mai protetta," disse Silvia, la voce bassa ma ferma. "Non mi hai mai messo al primo posto. Ho passato anni a chiedermi perché non l'avessi fatto, ma ho capito. Perché in fondo pensavi che fosse giusto. Pensavi che fosse normale. Io non voglio più essere la tua bambina, la tua prigione."
La madre abbassò lo sguardo, le lacrime che stavano minacciando di sfuggire, ma non parlò. Silvia, pur sentendo il suo cuore tremare, non cedette. Non doveva. Non avrebbe mai potuto rimettere insieme un rapporto che era stato distrutto da anni di silenzio e indifferenza.
"Non ti ho mai chiesto di essere perfetta," continuò Silvia, "ma mi hai lasciata sola quando avevo bisogno di te. E adesso, mentre cerco di ricostruire la mia vita, non voglio più essere la figlia che ti serve per sentirti meno vuota. Voglio essere me stessa."
Silenzio. La madre non rispose. Nessuna recriminazione, nessuna difesa. Solo silenzio.
Silvia si alzò lentamente, il cuore che batteva forte, ma con una sensazione di sollievo che cominciava a permeare la sua pelle. Era libera. Finalmente libera.
"Se vuoi che resti, devi capire una cosa," disse, mentre si avvicinava alla porta. "Non vivrò più sotto il tuo controllo. E se questo ti fa arrabbiare, se ti fa sentire come se non fossi più tua figlia, beh... allora sarà così. Ma io sono stata costretta a crescere troppo in fretta per farmi ancora influenzare dalle tue aspettative."
La madre non alzò lo sguardo. Restò immobile, quasi come se stesse accettando, finalmente, quella separazione emotiva che Silvia aveva costruito con tanto dolore. Le parole che aveva pronunciate erano vere, non un grido di ribellione, ma una dichiarazione di indipendenza che non poteva più essere ignorata.
"Vado a trovare Florian," disse Silvia, con un sorriso appena accennato, prima di uscire dalla porta e dirigersi verso la strada. La sensazione di camminare verso una nuova vita la riempiva di forza. Non sapeva cosa sarebbe successo, non sapeva se sua madre l'avrebbe mai perdonata o compresa, ma sapeva che quella era la sua vita. E finalmente, non aveva paura.
La strada che portava a Dobbiaco sembrava più lunga del solito, come se ogni passo fosse un tentativo di fuggire da ciò che l'aspettava. Silvia aveva preso la decisione di non fermarsi, di non guardarsi indietro. Florian. Lui era la sua ancora di salvezza, la persona che le dava la forza di respirare, di credere che ci fosse ancora un futuro possibile. Ma quella mattina, mentre il vento le sferzava il viso e le montagne svanivano nella nebbia, Silvia sentiva un nodo in gola. Forse non era solo la madre a trattenerla. Forse era anche il passato, che non si lasciava dimenticare con tanta facilità.
Quando arrivò a Dobbiaco, il cielo si era fatto più scuro, come se anche il tempo rispecchiasse il peso che portava dentro. Florian la stava aspettando fuori dalla sua casa, un sorriso timido che non riusciva a nascondere una preoccupazione che Silvia conosceva troppo bene. La sua presenza le dava una sensazione di calma che le mancava da quando era tornata a casa. Eppure, c'era qualcosa di diverso, come se entrambi sapessero che non sarebbero riusciti a scappare dalle ombre che li avevano sempre perseguitati.
"Sei arrivata," disse Florian, facendo un passo verso di lei. I suoi occhi erano sempre così sinceri, ma oggi c'era qualcosa di più profondo nel suo sguardo, una sorta di silenzioso invito a parlare, a raccontarsi.
Silvia annuì, cercando di non far trasparire troppo la fatica che sentiva dentro. "Ho bisogno di parlarti," disse, la voce che tradiva un'emozione che non riusciva a nascondere. "Ho visto mia madre."
Florian si fece serio. "E com'è andata?"
"Non so se è andata bene o male," rispose Silvia, mentre si allontanava leggermente dalla porta di casa, come se volesse allontanarsi anche da quel momento. "Le ho detto che non volevo più vivere sotto il suo controllo, che non sarei più stata la figlia che voleva. Ma... credo che l'abbia presa male. Non mi ha nemmeno guardata negli occhi alla fine. Era come se fosse rassegnata."
Florian la guardò con attenzione, ma non disse nulla per qualche istante. Non c'era bisogno di parole in quel momento. Silvia sapeva che lui capiva, che non doveva spiegarsi ulteriormente. Ma il peso che portava dentro sembrava non volersi sgonfiare.
"Non ti manca?" chiese Florian, finalmente.
Silvia chiuse gli occhi per un attimo, la sua mente che correva tra i ricordi di un passato difficile e doloroso. "Mi manca la persona che avrei voluto che fosse, ma non la madre che mi ha lasciato sola ogni volta che avevo bisogno. Non mi manca la persona che mi ha fatto sentire sbagliata, che non mi ha mai difesa quando mio padre... quando tutto era troppo per me. No, non mi manca."
La sua voce si ruppe a metà, come se stesse lottando con la verità che le usciva di bocca. Florian non disse nulla. Le prese delicatamente la mano, come se non volesse farla sentire sola. La sua vicinanza le dava conforto, ma Silvia sapeva che la sua battaglia non era solo contro sua madre, ma contro se stessa, contro le cicatrici che non si sarebbero mai cancellate.
"Non posso fare a meno di sentirmi in colpa, però," continuò Silvia, guardando il suolo. "Non posso evitare di pensare che avrei dovuto fare di più. Avrei dovuto cercare un modo per aiutarla a cambiare. Perché, in fondo, lei è la mia madre. Eppure non riesco a perdonarla."
Florian la guardò con dolcezza, sollevando il mento di Silvia con un dito. "Non sei tu quella che deve essere perdonata, Silvia. Non hai mai avuto il controllo su ciò che è successo. Sei stata una figlia, ma anche una persona che ha dovuto crescere troppo in fretta. Non puoi farti colpe per le sue mancanze."
Silvia lo guardò, un piccolo sospiro che le sfuggiva dalle labbra. Era strano sentirsi capita da qualcuno che non aveva vissuto la sua stessa vita, ma che sapeva ascoltare senza giudicare. Florian era la sua salvezza, la sua forza in un mondo che sembrava lacerarla.
"Lo so," disse Silvia, un po' più leggera, ma ancora lontana dal trovare una vera pace. "Ma è difficile accettarlo. Mi fa sentire come se fossi io la persona sbagliata, come se fossi io quella che non ha fatto abbastanza."
"Non sei sbagliata," ripeté Florian, con un sorriso che non cercava di nascondere la preoccupazione che gli aveva preso il volto. "Non lo sei mai stata."
Silvia lo guardò per un lungo istante, sentendo il calore delle sue parole che la raggiungevano, lentamente. Poi, senza pensarci troppo, si avvicinò e lo abbracciò, con la sensazione che, in quel momento, fosse l'unico posto dove potesse sentirsi veramente al sicuro.
"Grazie," sussurrò, mentre le sue mani si stringevano attorno a lui, cercando di raccogliere tutto il coraggio che le serviva per continuare.
Florian rimase fermo, tenendola stretta a sé. "Non hai bisogno di ringraziarmi. Io ci sarò sempre, Silvia. Sempre."
Silvia stava per rispondere quando un rumore proveniente dalla porta la fece sobbalzare. Un'ombra si fece strada nel corridoio. Era Marica.
Florian si staccò lentamente da Silvia, guardandola con un'espressione indecifrabile, mentre Silvia si preparava a fare i conti con quella nuova presenza. Un altro capitolo della sua vita stava per iniziare, e la sua mente, nonostante il caos emotivo, sapeva che questa volta sarebbe stata pronta ad affrontarlo.
Marica entrò nella stanza con un passo leggero, quasi indeciso, come se non volesse interrompere un momento che già sapeva essere intimo. Quando vide Silvia e Florian separarsi, capì subito che qualcosa stava cambiando. Non c'era bisogno di parole: gli sguardi si incrociarono, e Marica sentì una leggera tensione nell'aria, una frizione che non era lì prima.
"Mi scuso se vi disturbo," disse Marica, con voce più morbida del solito. "Volevo solo vedere come stavi, Silvia."
Silvia non sapeva se rispondere con indifferenza o con sincerità. La sua mente correva, cercando di trovare le parole giuste, ma si fermò quando vide l'espressione di Marica. C'era qualcosa di gentile nei suoi occhi, qualcosa che andava oltre la freddezza che aveva imparato a riconoscere. Non sapeva cosa fosse, ma sentiva che Marica non stava solo cercando di riempire un silenzio. Sembrava esserci di più.
"Sto bene," rispose Silvia, cercando di sorridere, ma senza riuscirci completamente. "Ho parlato con mia madre, ma non so se qualcosa sia cambiato. Lei non capisce."
Marica si avvicinò lentamente, sedendosi sul bordo della poltrona vicino a Silvia. Il suo sguardo si spostò su Florian, che ora sembrava aver capito che il momento non era più solo tra loro due. In silenzio, fece un passo indietro, lasciando spazio per il confronto che sapeva stesse arrivando.
"Non è facile, Silvia," disse Marica, la sua voce calma ma pesante di un'esperienza che, purtroppo, Silvia aveva già intuito. "Quando una persona è abituata a controllare, a manipolare, a fare di te ciò che vuole, è difficile accettare che tu stia cercando di liberarti. E non sempre lo accettano, nemmeno quando glielo chiedi con tutto il cuore."
Silvia annuì, ma c'era una fitta di rabbia che le stringeva il petto. "Non voglio più essere la sua bambina. Non voglio più sentirmi in colpa per ogni passo che faccio, per ogni scelta che prendo. Ma mi sento... in qualche modo... tradita. Non so come spiegare."
Marica la guardò con una comprensione che Silvia non si aspettava. "A volte, il vero tradimento non viene da chi ci fa del male, ma da chi ci ha dato la vita e non ci ha mai davvero difesi. Non ci ha mai insegnato a proteggerci."
Le parole di Marica colpirono Silvia come una folata di vento, un riflesso di verità che non riusciva a ignorare. C'era qualcosa di liberatorio in quello che stava dicendo, eppure c'era anche una tristezza che Silvia non poteva scansare. La madre non l'aveva mai protetta, mai davvero vista. E ora stava cercando di mettere insieme i pezzi di una relazione che, forse, non avrebbe mai potuto funzionare.
"Ho bisogno di tempo," disse Silvia, mentre si alzava dalla sedia. "Non posso forzare nulla. Non posso fare finta che tutto vada bene, che tutto si risolva da solo."
Marica si alzò a sua volta, avvicinandosi a lei. "E non devi. Non devi mai forzare nulla. Quello che stai cercando, Silvia, è qualcosa che non si trova in un giorno. E non si trova nemmeno con le parole. Ma ci sono persone che possono aiutarti a trovare la strada."
Silvia la guardò, vedendo qualcosa di più dietro i suoi occhi. Un'incredibile forza che le parlava in silenzio, un invito ad aprirsi a qualcosa di nuovo. "E tu? Cosa farai?"
Marica sorrise, ma con una dolcezza che nascondeva una forza profonda. "Quello che ho sempre fatto: essere qui per te, come ho sempre cercato di fare. Non ti lascerò da sola, Silvia."
Florian, che stava osservando in silenzio, fece un passo avanti. "Marica ha ragione," disse con un sorriso timido ma rassicurante. "Non sei sola in tutto questo. Insieme possiamo affrontare ciò che viene."
Silvia non seppe dire se fosse sollevata o se quella sensazione di leggera frustrazione si stesse già dissolvendo, ma un'onda di calore si diffuse dentro di lei. Sentiva di poter finalmente respirare, di poter fare un passo in avanti senza paura di essere respinta. La sua famiglia non era solo quella che le aveva dato la vita, ma anche quella che aveva scelto. E Florian e Marica erano il suo riflesso di libertà, il suo segno di speranza.
"Non so cosa accadrà," disse Silvia, "ma so che devo andare avanti. Anche se è difficile, devo farlo. Voglio essere io."
Marica le sorrise, e Florian annuì con approvazione. "Allora, andiamo avanti insieme," disse lui, "un passo alla volta."
Le parole di Florian le risuonarono nella mente mentre il pomeriggio cominciava a scivolare via. Era un giorno qualsiasi, ma per Silvia era il giorno in cui aveva iniziato a riprendersi la sua vita, senza paure, senza rimpianti.
Marica, Florian e lei. Tre persone legate da una sorta di accordo silenzioso, un patto di sostegno reciproco che non sarebbe mai stato spezzato.
Il passato non poteva essere cancellato, ma il futuro... il futuro era nelle sue mani.
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