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capitolo 24


Il ritorno a casa fu ancora più pesante di quanto Silvia avesse immaginato. Nonostante la sua determinazione, il cuore le batteva forte mentre varcava la soglia della porta. Ogni angolo della casa sembrava testimoni di una storia che non le apparteneva più, ma che non riusciva a scacciare. La casa di sua madre era, in un certo senso, una prigione che l'aveva tenuta legata per troppo tempo. Eppure, ora non poteva fare altro che affrontarla, lontano da tutto e da tutti. Florian, il suo amico, la persona che più di tutti le dava la forza di andare avanti, sarebbe stato una speranza per lei, ma per il momento doveva fare i conti con la realtà.

La madre la stava aspettando in cucina, con il viso tirato e le mani strette in un pugno. Non aveva bisogno di dire molto per far capire che era furiosa. Il suo atteggiamento era carico di quella rabbia che Silvia conosceva bene. Ogni volta che non andava secondo i suoi piani, ogni volta che Silvia faceva una scelta che non le piaceva, la madre si trasformava in una furia inarrestabile.

"Finalmente! Pensavi di fare quello che volevi, eh?" La voce della madre era tagliente, come una lama che scivola sulla pelle. "E dove ti sei nascosta, esattamente? Perché non ti sei nemmeno preoccupata di avvisarmi? Hai deciso di scappare senza nemmeno un avviso? Non ti sembra il caso di chiedere il permesso? Sei una figlia senza testa!"

Silvia non fece una piega. Si era preparata a quella tempesta, ma le parole della madre avevano il potere di ferirla più di quanto volesse ammettere. La rabbia si stava già scatenando dentro di lei, ma Silvia non era più la stessa di prima. Non era più la ragazzina che accettava in silenzio ogni accusa, ogni insulto, ogni intimidazione. Non dopo tutto quello che aveva vissuto a Dobbiaco.

Le sue mani si strinsero a pugno, e per un attimo, il silenzio regnò tra le due. La madre, visibilmente irritata dal suo silenzio, continuò: "Gli assistenti sociali sono venuti e mi hanno portato via i gemelli! Me li hanno portati via, e tu non hai nemmeno avuto il coraggio di restare! Sei scappata, come sempre, e mi hai lasciata a fare tutto da sola!"

Il tono accusatorio della madre fece scattare qualcosa in Silvia. La verità era che non era mai stata lei a causare tutto quel caos. La madre aveva sempre avuto il controllo, l'aveva tenuta prigioniera in una vita di paura e colpa, costringendola a prendersi la responsabilità di cose che non erano mai state colpa sua. Ma quella volta sarebbe stato diverso.

"Non è colpa mia," disse Silvia con fermezza, alzando il volto per affrontare la madre. "Non sono stata io a portare via i gemelli, non sono stata io a fare tutto quello che hai fatto. Non sono la tua immagine, non sono la tua copia. E sai una cosa? Non ti ho mai sentita dire una parola contro mio padre quando mi picchiava. Tu stavi sempre in silenzio, guardavi, e non facevi nulla. Mi lasciavi sola, come sempre."

La madre fece un passo indietro, il volto contorto dalla rabbia. "E tu pensi che questo cambi qualcosa? Cosa credi di fare, fuggendo da me? Pensi davvero che la tua vita sarà migliore lontano da casa? Sei solo una bambina che non sa cosa vuole. E adesso ti ritrovi con nulla!"

Silvia sentì un'ondata di calore attraversarle il corpo, ma questa volta non avrebbe ceduto. Non era più la figlia che nascondeva i suoi sentimenti. Non era più la ragazza che si piegava alla volontà della madre. A Dobbiaco, tra le montagne, aveva trovato qualcosa che le era sempre sfuggito: la sua forza. La sua indipendenza. La consapevolezza che non doveva essere definita da chiunque, e soprattutto non dalla madre.

"Non sono più quella bambina che avevi sotto il tuo controllo," rispose, la voce più forte ora. "Non sono più quella che ti obbediva senza chiedere perché. Non sono più quella che pensava che fosse normale essere trattata così, come se la mia vita fosse un'estensione della tua. Io sono io. E ho il diritto di fare delle scelte, anche se a te non piacciono. E se non ti sei mai messa in mezzo quando mio padre mi picchiava, se non hai mai detto niente, ora non mi importa più."

La madre la guardò, la bocca tesa in un sorriso beffardo. "Credi di aver trovato qualcosa a Dobbiaco, eh? Pensi che gli assistenti sociali ti abbiano dato la salvezza? Sei una ragazza senza radici, senza nessun legame. Pensi che Marica sia quello che ti salverà? Lei ti abbandonerà, come tutti gli altri. Io sono l'unica che ti è rimasta."

Le parole della madre furono come una scossa elettrica. Silvia sentì la frustrazione salire, ma si trattenne. La madre non aveva capito nulla. Non era una salvezza che cercava, ma una vita che fosse finalmente sua. Una vita dove non fosse più un riflesso delle aspettative di qualcun altro.

"Non voglio più vivere sotto il tuo controllo," disse, a voce bassa, ma carica di determinazione. "Io non sono te. Non voglio più essere te. E se vuoi continuare a farmi sentire in colpa, a farmi credere che io sia quella sbagliata, beh, allora lo farai da sola. Ma io non sono più quella che ero."

La madre rimase in silenzio per un momento, come se stesse digerendo le parole di Silvia. La rabbia negli occhi della donna non si placava, ma Silvia aveva sentito una sorta di liberazione, una sorta di sfogo. Non doveva più nascondersi. Non doveva più sentirsi in colpa per ogni singola mossa che faceva.

"Va bene," disse la madre con voce fredda, "resta pure qui, se proprio ci tieni. Ma non aspettarti che le cose siano come prima."

Silvia non rispose. Si voltò e si diresse verso la sua stanza. Non aveva più intenzione di cambiare per piacere a sua madre. La sua vita era sua, e, per quanto fosse difficile, era pronta ad affrontarla

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