Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

capitolo 23

Silvia camminava lentamente, il cuore ancora pesante di tutte le cose che non riusciva a dire. Stava cercando di non pensare più a Sandro, di non farsi invadere dalle sue ombre. Ogni giorno, cercava di distrarsi, di allontanarsi dalla sua figura che continuava a tormentarla, invisibile, ma sempre presente. Ignorava le chiamate di sua madre, che le urlava al telefono, accusandola di aver distrutto tutto, di essere la causa di ogni cosa che non andava. "Non te lo perdonerò mai," le diceva, e ogni parola le bruciava, ma lei si costringeva a non rispondere. Non voleva più sentire quella voce che l'aveva sempre giudicata. Non era più la Silvia di prima, quella che accettava ogni parola come una condanna. Non oggi. Non più.

Quella sera, sentiva di voler fuggire da tutto, di allontanarsi da ogni pensiero che la legava al passato. Sentiva che qualcosa dentro di sé, in modo oscuro e profondo, la spingeva a lasciare che la sua mente si svuotasse, a mettere distanza tra sé e il mondo che l'aveva ferita. Decise così di fare una lunga camminata. Il lago, a pochi chilometri da casa, l'aveva sempre attirata. La calma delle sue acque e il silenzio che la circondava erano le uniche cose che le offrivano un po' di pace.

Non aveva un percorso preciso in mente, camminò senza una meta, lasciandosi guidare dai suoi passi, come se il tempo, così come il suo pensiero, dovessero fermarsi. Le luci della città scomparivano gradualmente alle sue spalle, e la natura intorno a lei diventava sempre più silenziosa, come un rifugio. La brezza leggera le accarezzava la pelle e il cielo, che si stava tingendo di rosa e arancio, sembrava avvolgerla in un abbraccio delicato. Il tramonto, la sua luce calda, la rendeva più fragile, ma anche più forte.

Silvia camminò a lungo, e il tempo sfuggiva alle sue mani senza che se ne accorgesse. L'aria freschissima le riempiva i polmoni, ma qualcosa dentro di lei continuava a pesare, un pensiero che non riusciva a fermare. Finalmente, quando la luce del giorno stava lentamente cedendo il passo alla notte, Silvia si rese conto di essersi persa. La strada che pensava di riconoscere ora le era estranea, e ogni passo che compiva sembrava allontanarla sempre di più da casa.

Ma, in un modo strano, non si sentì spaventata. Non era la paura a dominare quella solitudine, ma una sorta di tranquillità. Era come se, in quel momento, si trovasse dove doveva essere, senza cercare risposte. Il lago, avvolto dalla penombra del tramonto, le sembrava un luogo sacro, un posto che la stava accogliendo, quasi come se la natura stessa la stesse guidando.

Poi, in lontananza, vide un angolo di spiaggia. Non c'era sabbia, ma ciottoli levigati che scricchiolavano sotto i suoi piedi. Si avvicinò, attratta da qualcosa che non riusciva a spiegare, come se il luogo la stesse chiamando. La sua attenzione si concentrò subito su una piccola lapide, solitaria, posta in mezzo a quel paesaggio silenzioso. Un fiore bianco vi giaceva sopra, delicato, come se fosse stato messo lì recentemente. Silvia si avvicinò e lo osservò da vicino, rapita. Un'orchidea bianca, semplice, ma intensa nella sua bellezza.

Le mani di Silvia tremavano mentre si chinava sulla lapide. Le parole incise non erano molte, ma le penetravano nel cuore, come se fossero state scritte per lei:

"In ricordo di chi ha amato troppo e ha sofferto in silenzio."

Il respiro le si fermò per un istante. Chi era quella persona? Cosa significava quella lapide, quel fiore così perfetto eppure tanto solitario in un angolo così lontano dal mondo? Silvia sentiva un nodo alla gola, una tristezza profonda. Le sembrava di sentire la voce di quella persona, quella che non conosceva, ma che, in qualche modo, aveva condiviso lo stesso dolore. Il dolore di chi aveva amato troppo, forse troppo in fretta, e aveva perso tutto. Il dolore che lei stessa conosceva, che stava cercando di seppellire dentro di sé, ma che tornava sempre a galla.

Si alzò lentamente, fissando la lapide con uno sguardo che parlava di qualcosa che non sapeva ancora esprimere. Quella persona, quella lapide, non parlavano di morte. Parlavano di vita, di sofferenza e di speranza. Parlavano di come, anche nel silenzio più profondo, si possa trovare la forza di andare avanti.

Silvia si sedette sui ciottoli, guardando il lago. Il cielo si era ormai fatto scuro, ma l'orizzonte brillava ancora di una luce tenue. Il lago non era come il mare, non aveva quella vastità impetuosa, ma una quiete profonda, che sembrava avvolgere tutto, senza fretta. Era un lago che non chiedeva nulla, che ti accoglieva senza fare domande. Forse, pensò Silvia, anche lei stava cercando la stessa cosa: un posto dove poter essere in pace con se stessa.

La brezza del lago le accarezzò il viso, e la sua mente cominciò a calarsi in un silenzio che non era più quello della paura, ma della comprensione. La sua anima, straziata da anni di violenza emotiva, di abusi da parte di Sandro, si stava finalmente calmando, come le acque tranquille del lago. La lapide, quel fiore, non erano lì per ricordarle un passato doloroso, ma per indicarle che c'era sempre una via di uscita. C'era sempre una possibilità di guarigione, anche quando tutto sembrava perduto.

Silvia si alzò lentamente dalla riva, il cuore che continuava a batterle forte nel petto. Sentiva che qualcosa era cambiato, che quella camminata e quel posto, che prima le erano sembrati così lontani dal mondo, ora erano diventati una parte di lei, un angolo che avrebbe portato dentro di sé per sempre. Il fiore sulla lapide, la sua bellezza semplice ma intensa, sembravano averle sussurrato una verità che ancora faticava a comprendere, ma che sentiva dentro, come un seme piantato nel terreno del suo cuore.

Con un respiro profondo, Silvia decise che era il momento di tornare. La luce del tramonto si stava facendo più fievole, la notte si avvicinava, ma camminava con un passo più lento, più misurato. Sentiva il bisogno di pensare, ma anche di essere lontana da tutto ciò che le faceva male, lontana da casa, lontana da sua madre, da Sandro e dal dolore che li aveva legati.

Ma proprio mentre stava per voltarsi e seguire la strada che l'avrebbe riportata indietro, lo vide.

Era Cristoph.

Silvia non se l'aspettava. Il suo cuore si fermò per un istante, come se il tempo fosse diventato improvvisamente più lento. Lui era lì, al bordo del sentiero che costeggiava il lago, fermo, come se l'avesse cercata per tutto il tempo. Il suo volto era teso, serio, quasi arrabbiato. I suoi occhi fissi su di lei erano pieni di un'espressione che Silvia non riusciva a decifrare, come se qualcosa l'avesse turbato profondamente.

"Silvia..." La sua voce, profonda e suadente, tremava appena. "Cosa fai qui da sola? "

Lei non sapeva come rispondere, non voleva parlare di cosa l'aveva spinta a venire fin lì, di quel bisogno di solitudine che l'aveva condotta sulla riva del lago. Aveva bisogno di tempo, di riflettere, di lasciarsi attraversare da tutte le emozioni che l'avevano colpita in quei pochi minuti di silenzio e di introspezione. Ma gli occhi di Cristoph erano fissi su di lei, e non poteva fare a meno di notare la preoccupazione che aveva sul volto.

"Hai visto la lapide?" Cristoph chiese, finalmente abbassando lo sguardo. La sua voce era più morbida, ma l'ombra di preoccupazione non lasciava il suo viso.

Silvia annuì lentamente. Non riusciva a distogliere lo sguardo dalla lapide, dalla bellezza di quell'orchidea che ancora riposava sopra di essa. "Io..," disse, cercando di non tremare, "Ho trovato questo posto, e... c'era quella... quella lapide. Non so chi sia. Non so cosa significhi."

Cristoph si avvicinò a lei, un passo dopo l'altro, come se non volesse invaderle troppo lo spazio, ma allo stesso tempo sentisse che era qualcosa di importante da capire. "Puoi restare con me. Non voglio che tu faccia ritorno da sola, Silvia."

Il tono di Cristoph era diverso, più morbido, più premuroso. Silvia non rispose subito. Si sentiva vulnerabile, ma in quel momento, il pensiero di restare lì, seduta accanto a lui, le dava una sorta di sicurezza che non avrebbe mai immaginato di trovare. Non sapeva perché, ma la sua presenza sembrava calmarla, come se un pezzo del puzzle che stava cercando di ricostruire si fosse finalmente incastrato.

"Va bene," disse finalmente, con voce bassa, e si sedette nuovamente sui ciottoli, sentendo il calore dei suoi occhi su di lei. Cristoph si sedette accanto a lei, senza dire una parola, ma si fece avanti con la sua giacca per coprirla leggermente, come se volesse proteggerla dal freddo che iniziava a calare.

Poi, con delicatezza, Cristoph iniziò a spiegare, quasi come se stesse raccontando una storia che aveva custodito per molto tempo dentro di sé.

"Quella lapide," cominciò, guardando Silvia con occhi che si erano fatti più teneri, "Non è una semplice lapide. È un ricordo. Un simbolo. Quella persona... quella persona amava moltissimo, ma il suo amore, la sua passione, l'ha fatta soffrire. L'orchidea che vedi lì sopra è un fiore speciale, simbolo di bellezza e di purezza, ma anche di fragilità. E chi l'ha scelta per questa lapide sapeva che, come il fiore, quella persona avrebbe potuto sopportare tutto, ma non il dolore che ha scelto di non mostrare mai a nessuno."

Silvia rimase in silenzio, cercando di assorbire ogni parola. Cristoph continuò, come se le sue parole avessero bisogno di essere dette, come se non fosse la prima volta che le raccontava.

"Quell'orchidea... la donna che l'ha scelta, viveva in silenzio. Il suo amore era grande, ma non poteva farne a meno, non poteva scegliere altro che amare, anche se lo faceva in un modo che la stava distruggendo. Era così legata alla bellezza dell'amore che non riusciva a vederne la sofferenza. Ed è per questo che quel fiore è diventato il suo simbolo, perché, come l'orchidea, era vulnerabile, fragile, ma incredibilmente forte nella sua bellezza ed il suo nome."

Silvia lo guardava, il cuore che batteva più forte mentre le parole di Cristoph le penetravano dentro. Sentiva la connessione con quel fiore, con quella persona che, in qualche modo, rappresentava il suo stesso dolore. Ogni parola che Cristoph pronunciava sembrava risuonare nel suo cuore, come un eco di ciò che aveva vissuto, di ciò che aveva sopportato, di ciò che ancora non sapeva se fosse pronto a lasciare andare.

"Così," continuò Cristoph, la voce più bassa e riflessiva, "Quella lapide non è solo un ricordo di morte. È un ricordo di amore, di bellezza, ma anche di quel dolore che non si vuole mostrare agli altri, ma che, dentro di noi, ci fa lottare. Quel fiore rappresenta tutto questo. E forse, Silvia, quel fiore rappresenta anche te."

Un lungo silenzio cadde tra loro, mentre Silvia cercava di elaborare tutto ciò che Cristoph le aveva appena detto. Le sue parole non erano solo una spiegazione della lapide, ma anche un modo per dirle che non era sola in quella solitudine, che quel dolore, pur se nascosto e invisibile, non la rendeva una persona fragile. Al contrario, l'amore che aveva sopportato, quella forza che non aveva mai smesso di cercare, era la stessa che l'orchidea simboleggiava.

Silvia si sentiva diversa, come se finalmente avesse trovato una chiave per comprendere la sua sofferenza. Guardò Cristoph, e gli occhi di lui, che una volta sembravano solo preoccupati, ora si riempivano di comprensione. Una comprensione che lei non pensava di trovare mai, eppure, lì, insieme a lui, si sentiva finalmente accettata per ciò che era.

"Sai," sussurrò, con la voce rotta dall'emozione, "Non credevo di poter mai sentirmi così."

Cristoph le sorrise dolcemente, come se le sue parole fossero tutto ciò che aveva bisogno di dire. "A volte, trovare un luogo dove il nostro cuore può riposare è tutto ciò che ci serve. E se quel luogo è qui, insieme, allora forse siamo esattamente dove dobbiamo essere."

E insieme, rimasero lì, guardando la lapide e l'orchidea, senza bisogno di altre parole, in quel silenzio che, finalmente, non faceva più paura.

Cristoph aveva raccontato la storia di Orchidea con una delicatezza che quasi sorprendeva Silvia. Parole pesanti, cariche di emozione, avevano attraversato lo spazio tra loro, ma per Silvia c'era qualcosa di più profondo nelle sue parole. La vita di Orchidea, una donna che aveva vissuto sotto il peso del controllo di chi le stava vicino, sembrava riecheggiare nella sua stessa esistenza. Silvia aveva vissuto così tanto tempo nella paura e nelle minacce, incapace di prendere in mano davvero la sua vita. Eppure, quella storia sembrava offrirle una via d'uscita, una possibilità di resistere.

Ma mentre Cristoph parlava, i pensieri di Silvia si ancoravano a una realtà che non poteva ignorare. Florian era ancora in ospedale, il suo stato di salute sembrava migliorare, ma la preoccupazione che Silvia provava per lui non le dava tregua. La sua mente era divisa tra la necessità di stare al suo fianco e l'ombra minacciosa della madre, che incombeva su di lei come una nuvola oscura.

La madre, quella figura autoritaria e distruttiva, non l'aveva mai lasciata in pace. Ogni volta che Silvia cercava di allontanarsi da casa, ogni volta che trovava un po' di indipendenza, la madre era pronta a ricacciare indietro ogni tentativo con minacce di ogni tipo. "Torna a casa o le cose si faranno molto più difficili per te", le aveva detto l'ultima volta, e l'eco di quelle parole risuonava incessante nella sua mente.

Era giunto il momento. Non poteva più rimandare. La sua casa, che un tempo le era sembrata un rifugio, ora le appariva come una prigione. La paura di affrontare nuovamente sua madre, di dover subire quelle aggressioni psicologiche, era più forte di ogni altra cosa. Ma Silvia sapeva che, per quanto doloroso fosse, doveva fare i conti con quella realtà.

Florian. Silvia chiuse gli occhi per un attimo. Il suo cuore le diceva che doveva restare con lui, che doveva fare in modo che il suo recupero fosse il suo obiettivo principale. Ma la voce della madre, come un sibilo velenoso, non le dava tregua. "Non puoi stare lontano da me. Torna a casa adesso, o farai il tuo gioco da sola. E non avrai nessuno che ti sosterrà." Ogni volta che sentiva quelle parole, una parte di lei si sentiva piccola, impotente, come se dovesse rimanere sotto il controllo di quella figura che l'aveva condizionata per tutta la vita.

Cristoph, che ora stava guardando Silvia con uno sguardo attento, non poteva capire completamente la sua lotta interiore. Non sapeva cosa significasse crescere sotto l'ombra di una persona così dominatrice. Ma la storia di Orchidea gli aveva permesso di intravedere il tormento che Silvia portava dentro di sé.

"Se hai bisogno di parlare o di una mano, sai dove trovarmi," disse Cristoph, spezzando il silenzio. La sua voce era calda, ma non intrusiva. Non poteva fare molto, ma voleva che Silvia sapesse di non essere sola.

Silvia annuì, seppur a malincuore. Aveva bisogno di tornare a casa. Non per lei, non per sua madre, ma perché sentiva che doveva affrontare finalmente quella parte della sua vita che l'aveva sempre oppressa. Il suo cuore, diviso, sapeva che stava facendo la cosa giusta, ma ogni passo verso casa le sembrava un passo verso la sconfitta.

In silenzio, si alzò, guardando per un istante Florian nel letto d'ospedale. Il suo stato era stabile, ma Silvia non riusciva a evitare quella sensazione di inadeguatezza che la perseguitava. "Spero di tornare presto", sussurrò a se stessa. "Per ora, devo farlo."

Quando arrivò a casa, la madre la stava aspettando, con l'aria di chi sa di avere il controllo. "Finalmente", disse con un sorriso forzato, che non riusciva a nascondere l'amarezza. "Ti avevo detto che non dovevi andartene."

Il peso delle sue parole era insopportabile. Silvia trattenne un sospiro, sapendo che quel ritorno segnava l'inizio di una nuova battaglia.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro