capitolo 20
Il viaggio in montagna aveva fatto bene a Silvia, ma l'aria fresca non bastava a cancellare la sensazione di vuoto che le gravava ancora sul petto. Aveva deciso di venire a Dobbiaco, come Marica le aveva suggerito, ma la sua mente era tutt'altro che in pace. Non riusciva a smettere di pensare a tutto ciò che l'aveva portata fin lì: la sua relazione con Sandro, la frustrazione per non riuscire a trovare un posto dove stare in equilibrio, e l'incertezza del futuro.
Arrivata a casa di Marica, sentiva l'ansia crescere. Non era mai stata abituata a situazioni così nuove, dove tutto sembrava estraneo eppure allo stesso tempo offriva una sorta di rifugio temporaneo. Marica, come al solito, sembrava serena, quasi impaziente che Silvia si facesse avanti, ma senza metterle fretta.
Quando finalmente si trovò davanti alla porta della stanza di Florian, il cuore le batté forte, ma non per l'attrazione. Era una sensazione più confusa, come se stesse varcando una soglia verso qualcosa di nuovo, ma non riuscisse a comprendere se fosse positivo o negativo.
Aprì la porta lentamente. Florian era sdraiato sul letto, con uno sguardo tranquillo ma leggermente affaticato, come se stesse portando il peso di qualcosa più grande di lui. Non era il tipo di persona che Silvia avrebbe mai immaginato di incontrare in un contesto come questo. La sua stanchezza era evidente, ma anche un certo distacco, come se volesse preservare se stesso dal resto del mondo.
Quando la vide entrare, Florian sollevò gli occhi. Non c'era nulla di strano nel suo sguardo, ma c'era un qualcosa di profondo che Silvia non riusciva a decifrare. Un sorriso gentile, quasi accogliente, ma senza troppa enfasi. Un sorriso che sembrava più un modo per evitare qualsiasi tipo di pietà.
"Ciao," disse Florian, con voce calma, accennando un sorriso che però non raggiunse mai i suoi occhi.
"Ciao," rispose Silvia, imbarazzata e un po' fuori posto. "Non pensavo fosse così... tranquillo qui."
"Penso che la tranquillità sia l'unica cosa che mi rimanga da apprezzare," rispose Florian, con un tono che non aveva nulla di pesante, ma piuttosto una sorta di rassegnazione. "Sai, non è sempre facile. La malattia non è proprio quello che mi aspettavo di dover affrontare a questa età. Ma va bene."
Silvia si sedette sulla sedia accanto al letto, sentendo che il silenzio tra loro non era imbarazzante, ma piuttosto necessario. Florian non sembrava cercare risposte facili o parole consolatorie, e Silvia apprezzò quella sincerità. Non c'era fretta, non c'era un obbligo di fare conversazione. Era solo un momento che sembrava dare spazio alla riflessione.
"Marica mi ha detto che ti stai facendo curare, che la situazione è complicata," disse Silvia, tentando di entrare in sintonia, ma senza forzare la conversazione.
Florian annuì lentamente. "Sì, la chemio... è difficile. Ma sono abituato. Non cerco compassione, se è questo che pensi."
Silvia scosse la testa, sorpresa dalla franchezza di Florian. "Non pensavo che cercassi compassione," rispose con un sorriso timido. "È solo che... non so, è strano. Immaginavo che fosse più difficile parlare di queste cose."
Florian la guardò con occhi penetranti, ma il suo sguardo non sembrava invadente. "Lo è, ma preferisco essere diretto. La gente ha paura di dire certe cose, ma io non voglio vivere nel silenzio. C'è sempre qualcosa che voglio dire, anche se non so mai come."
Silvia annuì, comprendendo le sue parole. Non era mai stata una persona che amava stare in silenzio quando le cose la turbavano, ma Florian aveva una sorta di tranquillità, una calma che Silvia non riusciva a imitare, ma che sentiva come un rifugio in quel momento.
"Come ti fa sentire tutto questo?" chiese Silvia, per cercare di comprendere meglio la sua situazione. "La malattia... la cura?"
Florian sorrise debolmente. "Mi fa sentire... come se stessi imparando a vivere in modo diverso. Ma non voglio che pensi che sia tutto drammatico, è solo la realtà."
Silvia non rispose subito. Sentiva una sorta di ammirazione per la sua capacità di affrontare la situazione con questa calma, ma al tempo stesso si sentiva più confusa che mai. Non c'era pietà nelle sue parole, solo una resa silenziosa e una forza che Silvia non sapeva ancora come interpretare.
"Non so se capisco, ma penso che tu abbia ragione. La gente tende a complicare le cose." Silvia si alzò dalla sedia, pronta a dire qualcosa di più, ma le parole sembravano non arrivare.
Florian la guardò con un sorriso gentile. "Non preoccuparti. Non c'è bisogno di capire. A volte basta solo stare qui, senza bisogno di parole."
Silvia si girò verso la porta. Non aveva più bisogno di parlare. La conversazione aveva aperto una finestra, ma una finestra che lasciava passare solo aria fresca, senza troppe risposte. Si sentiva più leggera, ma anche più confusa. Non c'era nulla di romantico tra lei e Florian, ma c'era qualcosa che li univa in un silenzioso rispetto reciproco. Un rispetto che Silvia non si aspettava, ma che ora riconosceva.
Silvia si svegliò all'alba, con il cuore in tumulto. Non aveva quasi dormito, e ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva il volto di Sandro, i suoi messaggi insistenti, la rabbia della madre. Si alzò dal letto con una sensazione di urgenza. Forse non aveva ancora deciso del tutto, ma sapeva che se avesse aspettato troppo, avrebbe trovato mille scuse per restare.
Ora era a Dobbiaco. L'aria fresca di montagna le pungeva la pelle mentre camminava accanto a Florian. Lui la osservava con attenzione, con quel suo sguardo pacato che sembrava in grado di scrutare oltre le parole. Si erano seduti su una panchina vicino al lago, il silenzio tra loro era quasi confortevole.
"Non sei abituata a tutto questo, vero?" disse Florian, rompendo la quiete.
Silvia sospirò, abbassando lo sguardo sulle proprie mani. "No. Sono abituata a correre, a non avere mai un momento per me. Qui... è diverso."
Florian annuì, poggiando le mani sulle ginocchia. "A volte, prendere le distanze è l'unica cosa che possiamo fare per capire cosa vogliamo davvero."
Silvia lo guardò, cercando di interpretare il vero significato delle sue parole. Non si conoscevano ancora bene, eppure c'era qualcosa in lui che la metteva a suo agio.
Il telefono vibrò nella sua tasca. Sandro. Ancora. Lo ignorò, stringendo i denti.
Florian le lanciò un'occhiata di lato. "Problemi?"
Silvia esitò, poi scosse la testa. "Niente di importante."
Dopo qualche secondo di silenzio, un nuovo messaggio la fece sobbalzare. Non era Sandro. Era Marica.
"Va tutto bene?"
Silvia sospirò, passandosi una mano sul viso. Florian la osservava con calma, aspettando che fosse lei a parlare. "Marica sa tutto," disse infine Silvia, fissando l'acqua calma del lago. "È sempre stata quella che mi diceva di aprire gli occhi, di smettere di giustificare Sandro. Ma non è facile. Non quando ti senti come se non avessi nient'altro."
Florian rimase in silenzio per un attimo, poi disse: "Forse la domanda giusta non è cosa hai, ma cosa ti meriti."
Quelle parole colpirono Silvia più di quanto volesse ammettere. Lo fissò, cercando un accenno di giudizio nei suoi occhi, ma trovò solo una tranquilla comprensione.
Si accorse allora di quanto fosse stanca. Non solo fisicamente, ma emotivamente. Era fuggita, sì, ma ora? Che cosa sarebbe successo?
Il telefono vibrò di nuovo. Sandro. Ancora.
Florian lo notò. "Vuoi parlarne?"
Silvia scosse la testa. "No. Voglio solo... non pensarci per un po'."
Florian annuì. "Allora iniziamo da qui. Vieni, voglio farti vedere un posto."
Si alzò e Silvia lo seguì, lasciandosi guidare lungo un sentiero nel bosco. Per la prima volta dopo tanto tempo, sentì il cuore alleggerirsi, anche se solo di poco.
Si alzò e Silvia lo seguì, lasciandosi guidare lungo un sentiero nel bosco. Per la prima volta dopo tanto tempo, sentì il cuore alleggerirsi, anche se solo di poco.
Dopo qualche minuto di cammino, Florian si fermò e si sedette su un masso coperto di muschio. Silvia fece lo stesso, osservandolo mentre sembrava raccogliere i pensieri.
"Sai, a volte sembra che tutti abbiano le risposte per gli altri, ma nessuna per se stessi," disse Florian, abbassando lo sguardo. "Io e Elenì... le cose non vanno bene da un po'."
Silvia lo guardò sorpresa. "Davvero? Non sembravate così distanti."
Florian abbozzò un sorriso amaro. "Forse perché cerco di nasconderlo. Ma la verità è che... c'è sempre qualcosa che si frappone tra di noi. O meglio, tra lei e me. Io non posso darle tutto quello che merita."
Silvia rimase in silenzio, aspettando che continuasse.
"La mia malattia... il cancro," sussurrò Florian, il tono della sua voce più pesante. "Elenì vuole starmi accanto, dice che non le importa, ma io vedo quanto soffre. E io... io non voglio che la sua vita si fermi per stare dietro alla mia battaglia."
Silvia sentì un brivido correrle lungo la schiena. "Florian..."
Lui scosse la testa con un sorriso stanco. "Non dirmi che sono egoista. Lo so già. Ma ho paura. Paura di non farcela, paura di vederla distruggersi per qualcosa che forse non posso controllare."
Silvia abbassò lo sguardo, sentendosi improvvisamente piccola di fronte alla grandezza di quel dolore. "Non credo che tu sia egoista. Credo che tu stia cercando di proteggerla a modo tuo."
Florian annuì, poi sospirò profondamente. "E tu? Cosa vuoi proteggere davvero, Silvia? Te stessa o l'idea di ciò che pensi di dover essere?"
Quelle parole la colpirono più di quanto volesse ammettere. Forse era il momento di iniziare a cercare una risposta.
Silvia si svegliò con la mente ancora intrappolata nelle parole di Florian. Il modo in cui aveva parlato di Elenì, del suo amore travagliato, della sua malattia, l'aveva colpita più di quanto volesse ammettere. Guardò fuori dalla finestra: il cielo di Dobbiaco era un grigio denso, pesante, come se stesse trattenendo un temporale.
Si strinse nel maglione e si alzò dal letto, cercando di mettere in ordine i pensieri. Aveva sempre vissuto nella convinzione che la sofferenza fosse qualcosa da cui fuggire, da nascondere sotto strati di abitudine. Ma Florian l'affrontava con una quiete disarmante, come se avesse accettato il dolore come parte di sé. Eppure, dentro di lui, Silvia aveva percepito un'ombra di paura.
All'improvviso, un suono la fece sobbalzare. Un rumore secco, doloroso. Tossii soffocate, seguite da conati violenti.
Silvia corse fuori dalla stanza e trovò Marica in piedi accanto alla porta del bagno, il volto contratto dall'ansia.
"Devi tornare in ospedale, Florian!" gridò Marica, la voce spezzata dall'agitazione.
Florian, piegato in due sul lavandino, respirava a fatica. Gocce scure di sangue macchiavano il lavandino bianco.
"Florian..." sussurrò Silvia, avvertendo un nodo serrarsi nel petto.
Lui sollevò lo sguardo verso di lei, e per un attimo fu come se il tempo si fermasse. Non c'era rabbia nei suoi occhi, solo una stanchezza infinita, una rassegnazione che faceva male da guardare.
"Non voglio... stare di nuovo lì..." sibilò Florian, cercando di rialzarsi.
Marica gli afferrò il braccio. "Non puoi fare come se nulla fosse! Ogni volta peggiora!"
Florian chiuse gli occhi per un istante, poi annuì debolmente.
Silvia lo osservò mentre si lasciava guidare fuori dalla casa, con un senso di impotenza che le divorava il petto. Voleva dirgli qualcosa, qualsiasi cosa, ma le parole restavano incastrate nella gola.
Il silenzio che seguì la loro partenza fu assordante.
Si lasciò cadere sul divano, stringendosi le mani sulle ginocchia. Non riusciva a togliersi dalla mente l'immagine di Florian, così fragile, così umano. Sentì un brivido freddo scorrerle lungo la schiena. Per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare un senso a tutto questo dolore.
Un bussare alla porta la fece sussultare.
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