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Capitolo 2

Ed è proprio quando inizi a pensare a te stessa che capisci chi sono i veri amici: chi resta e chi se ne va. E soprattutto, realizzi che non puoi deciderlo tu.
Puoi solo cercare di trattenerli finché non ti accorgi di essere l'unica a stringere.

Crescere significa essere felici. Felici di diventare indipendenti, di vivere da soli, di fare ciò che si vuole. Fin da piccoli aspettiamo con impazienza il fatidico giorno dei diciotto anni, convinti che cambierà tutto.
Ma cosa può davvero mutare da un giorno all'altro? Alcuni direbbero nulla, altri tutto. Dipende dal contesto in cui si cresce. E Silvia continuava a domandarselo...

Il suo compleanno si avvicinava sempre di più. Sarebbe diventata maggiorenne e questa idea la terrorizzava tanto quanto la entusiasmava. Sei mesi la separavano da quel giorno e doveva iniziare a pensare a come festeggiarlo. Tutte le sue compagne di classe avrebbero organizzato grandi celebrazioni, ma lei? Cosa avrebbe fatto? Cosa avrebbe voluto fare?

Aveva paura di sentirsi dire: «Ti senti diversa?», perché in fondo lo era sempre stata. Ma a Silvia quella sua diversità piaceva, anche se a volte si sentiva sola. Sapeva che non avrebbe potuto parlare di molte cose, perché la paura la accompagnava costantemente, attenuandosi solo a tratti. Sua madre, nonostante la sua fragilità emotiva dovuta a tutto ciò che aveva vissuto, cercava di rassicurarla: «Andrà tutto bene». Silvia annuiva, ma dentro di sé il suo animo restava in subbuglio.

E poi, cos'è davvero il futuro? Un semplice lasso di tempo pieno di ansie e preoccupazioni.

Quella mattina il sole si nascondeva dietro nubi scure. Silvia si vestì in modo casual, contrariamente a quanto deciso il giorno prima in classe. Prese lo zaino, riempito la sera precedente con tovaglioli di carta e bicchieri biodegradabili, ed uscì di casa.

Nonostante fosse giugno, la brezza del mattino si faceva sentire, e il traffico cittadino non contribuiva a scaldarla. Camminava verso l'ultimo giorno della quarta superiore da parrucchiera. Fortunatamente abitava vicino alla scuola, il che le permetteva di aiutare sua madre, Elena, con i gemelli.

Il quartiere era animato, vicino c'erano un ospedale militare e una fermata della metropolitana, ma aveva comunque un'aria familiare. Silvia riconosceva molte facce... o meglio, molti sguardi che aveva incrociato negli anni.

Quando arrivò, i cancelli erano ancora chiusi, ma notò subito gli occhi curiosi di Marica, sua compagna di classe e una delle sue amiche più care.

«Non puoi averlo fatto davvero, Silvia. Oggi era la giornata elegante!» la rimproverò scherzosamente Marica, avvicinandosi.

«Ho freddo» borbottò Silvia.

«Il freddo non mi ha mai fermata e non dovrebbe fermare nemmeno te. Abbiamo solo diciassette anni! Se non facciamo certe cose ora, quando?»

Come a dire: cosa mai potrà succedere? Come se avere diciassette anni escludesse le responsabilità...

Silvia lo sapeva bene.

Le due erano note in tutta la scuola, soprattutto grazie a Marica. Sempre esuberante, si faceva riconoscere ovunque, in qualsiasi contesto. Silvia, invece, era più riservata. Marica era un leone indomabile, non solo per i suoi riccioli biondi che le incorniciavano il viso, ma per il suo spirito avventuriero. Da sempre rappresentante di classe, sapeva come farsi amici con facilità.

Silvia, al contrario, era introversa. Rifletteva molto sulle conseguenze delle sue azioni, perché ne aveva passate tante e sapeva che la vita aveva ancora molti capitoli in serbo per lei.

Eppure, di fronte ai diciotto anni, si sentiva impreparata.

«Hai portato tutto il materiale della lista?» chiese Marica quando suonò la campanella.

«Sì, ho preso tutto» sospirò Silvia, incamminandosi verso l'aula. «Ma non verrò dopo scuola... devo stare con i gemelli».

«Immaginavo, tranquilla».

Nei corridoi si sentivano le urla di festa dell'ultimo giorno di scuola. Ogni classe lo celebrava a modo suo: chi cantava, chi mangiava, chi ballava, chi registrava TikTok, chi si salutava tra lacrime e abbracci.

Nella classe di Silvia c'era un po' di tutto.

Mentre Marica ballava anche per lei, Silvia era in contrasto con sé stessa. Era felice di non dover più rivedere certe unghie perfette e trucchi impeccabili, ma sapeva che le sarebbe mancata l'energia incontenibile di Marica. Soprattutto ora che si sarebbe trasferita in un piccolo paese del Trentino-Alto Adige.

Le sarebbe mancato il percorso verso scuola, il suono fastidioso della campanella, l'accettare voti belli e brutti, il ritrovarsi chiusa in bagno per colpa delle porte rotte, il correre per evitare una nota.

Le sarebbe mancata la sua quotidianità.

Ancora non riusciva a credere che fosse già passato così tanto tempo, ma nonostante tutto... il dolore dentro di lei non era mai cambiato.

L'ultima campanella rintoccò, segnando la fine della scuola per chi era all'ultimo anno e l'inizio delle vacanze per gli altri.

Ma per Silvia quel suono significava l'inizio di qualcosa di indefinito. Lei odiava l'ignoto, perché tutto ciò che non conosceva, nella sua vita, l'aveva fatta soffrire.

Salutò tutti, promise a Marica di vederla prima della partenza e tornò a casa.

Congedò la babysitter con un cenno e si sedette sul divano del piccolo salotto, dopo aver controllato il respiro dei fratellini.

Non sapeva cosa fare.

Non aveva mai avuto un pomeriggio libero.

Di solito studiava, badava ai gemelli, aiutava in casa. Ma quel giorno la babysitter aveva già fatto tutto.

Così mandò un messaggio a Nicolas. Non rispondeva sempre, ma ci provò lo stesso. Poi, per combattere la noia, andò in camera sua.

Seduta sul letto, i suoi occhi si posarono sulle foto dei ricordi. Scatti di paesaggi, fiori, e immagini di lei con Nicolas. Quante ne avevano passate insieme.

Non amava farsi fotografare, ma quando lo faceva lui, si sentiva speciale.

Si erano conosciuti proprio quel giorno. Quello che Silvia odiava raccontare. Ma a lui lo aveva raccontato tutto, dalla A alla Z.

Di lui si fidava da quando aveva quattordici anni. Con lui aveva vissuto tante prime volte: l'amore, le guide, i concerti, le fughe da scuola per visitare altre città. Lui tirava fuori quella parte di lei che credeva di non avere.

All'inizio il loro rapporto era pieno di entusiasmo. Lui, più grande di lei, scherzava dicendo: «Sei piccola? Beh, te la cresco io».

Ma con il tempo, le cose cambiarono.

All'inizio restava da lei per aiutarla con i gemelli, perché per lui bastava starle accanto. Poi iniziò a pesargli. La loro relazione divenne abitudine. Gli impegni di Silvia erano troppi, e a lui non piacevano più.

Alla fine, i loro incontri erano solo una formalità. I baci svanirono.

Silvia guardò di nuovo il telefono.

Nicolas non aveva ancora risposto.

Si addormentò.

Un'ora dopo, il pianto del fratellino Carlo la svegliò. Lo prese in braccio, lo cullò e, mentre gli dava il biberon, il telefono vibrò.

Un messaggio di Nicolas.

«Sto arrivando.»

Freddo. Senza emozione.

Silvia capì.

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