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capitolo 19


Silvia camminava senza meta, il cuore ancora gonfio di rabbia e di dolore. Non aveva un posto dove andare, non c'era una casa che la accogliesse più, almeno non in quel momento. Sandro l'aveva delusa più di quanto avrebbe mai immaginato, e l'incredibile lucidità che provava adesso le faceva male quanto il dispiacere. Non riusciva nemmeno a credere che avesse voluto tentare qualcosa con lui. Le pareva tutto così stupido, tutto così finto. Un gioco che non le apparteneva.

Il rumore dei suoi passi che risuonavano solitari nella strada deserta la faceva sentire ancora più sola. Eppure, dentro di sé, c'era qualcosa che stava crescendo. Un'urgenza di prendere in mano la sua vita, di non permettere che altri la riducessero a un'ombra o a una pedina da muovere come meglio credevano. Sandro, con i suoi sorrisi calcolatori e le sue parole manipolative, era solo l'ultimo di una lunga serie di uomini che l'avevano trattata come se il suo valore fosse legato a quello che gli altri pensavano di lei. Ma oggi, Silvia aveva rotto quella catena invisibile che l'aveva tenuta legata per troppo tempo.

Si fermò davanti a un parco, lo stesso dove aveva passato molte serate con Sandro, dove aveva cercato conforto nei suoi abbracci che ora le sembravano vuoti. La voglia di urlare era forte, ma si trattenne, facendo un respiro profondo. Non voleva piangere. Non oggi.

Si sedette su una panchina, stringendo le mani attorno alle ginocchia, guardando il cielo che cominciava a tingersi di rosa. Sentiva il bisogno di qualcuno che la ascoltasse, ma sapeva anche che quel qualcuno non c'era. Non in quel momento. Non nelle persone che conosceva.

Dopo un po', il suo telefono squillò, interrompendo i suoi pensieri. Non voleva rispondere. Non a lui, non adesso. Ma poi il nome sullo schermo la fece fermare: sua madre. Silvia esitò per un momento, poi accettò la chiamata.

"Ciao, mamma." La sua voce suonò più calma di quanto si sentisse.

"Silvia, dove sei? Stavo cercando di chiamarti. Perché non mi hai risposto?" La voce della madre era tesa, ma non arrabbiata. Piuttosto preoccupata, come se cercasse di nascondere una paura sotto una cortina di rabbia.

"Sono fuori, mamma. Ho bisogno di stare da sola." La risposta uscì automatica, ma qualcosa dentro le dava un leggero senso di colpa. Non voleva deludere sua madre, ma non poteva più vivere sotto il peso di tutte le aspettative che le venivano addosso. Non voleva sentire discorsi o essere rassicurata. Sentiva il bisogno di ricostruire, ma da sola.

"Silvia, non mi piace sentire questa voce... Stai bene? Cos'è successo? Cosa c'è tra te e Sandro?" La madre non sapeva come fare, e in qualche modo Silvia lo capiva. Non voleva che si preoccupasse per lei, ma la verità era che anche lei non sapeva come stava veramente.

Silvia chiuse gli occhi, cercando di calmarsi. "Mamma, non è successo niente che dovresti sapere. È solo che... non è come pensavo." La sua voce si fece più bassa, mentre la sua mente tornava a quel momento, a quella sensazione di essere usata e rifiutata senza nemmeno un'opportunità di spiegarsi.

"Lo sai che ti voglio bene, vero?" la voce della madre le arrivò, più fragile, come se cercasse di confortarla senza realmente capire cosa stesse passando.

Silvia non rispose subito. Per un istante, sentì il peso di quella frase come una mano che cercava di afferrarla, di trattenerla in un abbraccio che non voleva più. Perché non riusciva ad accettarlo? Perché, nonostante tutto, il bisogno di protezione sembrava sempre più lontano? Come se fosse cresciuta troppo velocemente, troppo in fretta, senza averne il tempo.

"Mamma... non voglio più essere quella che ti fa preoccupare ogni volta. Non voglio più fare quello che gli altri si aspettano da me." Le parole le uscirono con una forza che non si aspettava. Era come se avesse finalmente fatto uscire una parte di sé che aveva tenuto nascosta per troppo tempo.

La madre rimase in silenzio per un momento. Poi, con una voce più calma, disse: "Va bene, tesoro. Fai ciò che ti rende felice. Non voglio più vederti soffrire, ma non posso dirti cosa fare. Devi fare le tue scelte, Silvia."

Silvia chiuse gli occhi, sentendo la dolcezza di quelle parole e allo stesso tempo l'amarezza che portavano con sé. Era libera, ma anche sola. E forse, per la prima volta, stava iniziando a capire che non c'era nulla di sbagliato nel voler stare da sola, nel non accontentare nessuno. Aveva bisogno di capire chi fosse, al di là di chi cercava di farle credere che fosse.

"Ci vediamo dopo, mamma. Sto per tornare." Silvia spezzò il silenzio, ma le parole sembravano più una promessa che una necessità. Si alzò dalla panchina e iniziò a camminare lentamente verso casa, non più distratta dal dolore che aveva provato, ma consapevole che il viaggio verso se stessa sarebbe stato lungo e difficile.

Silvia tornò a casa, il passo più lento rispetto a quando era uscita. Il cielo, ormai scuro, rifletteva il suo stato d'animo: confuso, affaticato, ma con una leggera sensazione di sollievo. Aveva parlato con sua madre, ma il peso delle parole non sembrava ancora essersi dissolto del tutto. Come se ogni singola parte della sua mente fosse ancora indietro, bloccata in quello che le era successo con Sandro.

Appena varcò la porta, sua madre la guardò dalla cucina. La sua espressione era preoccupata, ma dietro gli occhi c'era anche una certa freddezza. Silvia sapeva che sua madre non aveva mai visto di buon occhio Sandro, e che ogni volta che lui era entrato nella loro casa, un'ombra di diffidenza le si posava sul viso. Non era mai stata facile per sua madre accettare qualcuno che potesse mettere Silvia in difficoltà.

"Sei tornata," disse la madre, con un tono che non riusciva a nascondere l'amarezza. "Dove sei stata? E come stai?"

Silvia si fermò sulla porta, ancora scossa, ma ormai aveva preso la decisione di non nascondere nulla. Non a sua madre. Non più. "Sono andata a fare una passeggiata. Non stavo bene."

Sua madre si alzò dalla sedia e si avvicinò, ma non la guardava con gli stessi occhi di preoccupazione che aveva qualche istante prima. C'era una strana durezza nella sua espressione. "Non ti senti bene? Non sarà per colpa di quel ragazzo, vero?" La voce di sua madre era più dura, come se avesse appena pronunciato un'osservazione che aveva tenuto nascosta per troppo tempo.

Silvia non sapeva come rispondere. Avrebbe voluto dirle che sì, Sandro l'aveva fatta sentire a disagio, ma non lo fece. Perché, in qualche modo, sapeva che anche sua madre, con la sua disapprovazione silenziosa, non avrebbe mai capito come si sentiva davvero. In fondo, sua madre non vedeva in lui altro che un uomo pronto a sfruttarla, come se fosse una vittima in cerca di una strada da percorrere.

"Non è solo lui, mamma..." iniziò Silvia, ma la frase morì subito sulle sue labbra quando sentì un'ondata di nausea sollevare lo stomaco. Era il nervosismo che l'aveva sempre assalita quando le cose non andavano come dovevano. Quando si trovava a dover affrontare qualcosa che la disturbava troppo. Si fece strada verso il bagno a passi veloci, senza dare il tempo alla madre di rispondere. Non ce la faceva più a rimanere lì, sotto gli occhi di sua madre.

"Silvia, aspetta!" chiamò la madre, ma non era abbastanza. Silvia già si era chinata sopra il lavandino, il suo corpo teso mentre vomitava tutto il dolore che aveva dentro. Ogni volta che accadeva, sentiva di perdere una parte di sé, ma in qualche modo, aveva bisogno di farlo. Per sentirsi più leggera, per liberararsi.

La madre la seguì, ma non si avvicinò subito. La guardava da lontano, incapace di avvicinarsi, di dire le parole giuste. Si fermò sulla soglia del bagno, incrociando le braccia come sempre, come se volesse sembrare forte. "Non capisco," disse, con un filo di voce che non sapeva se fosse più rabbia o tristezza. "Non capisco perché devi continuare con lui. Ti fa solo del male. Lo so, lo sento, e tu non vuoi ascoltarmi."

Silvia si asciugò la bocca e si raddrizzò lentamente, respirando a fondo per cercare di calmarsi. "Non è così semplice, mamma," rispose, le parole che le uscivano quasi sussurrate. "Non è solo lui. È tutto. È tutto quello che ho vissuto, tutto quello che ho sentito. E tu, non capisci. Non capisci mai."

La madre sbuffò, non per la sua risposta, ma per quello che sentiva, per come le sembrava che sua figlia fosse intrappolata in un circolo vizioso dal quale non riusciva a liberarsi. "E tu non capisci che lo stai facendo di nuovo. Ti stai rovinando, Silvia. Non posso permetterlo."

Silvia alzò gli occhi, sentendo il peso di quelle parole che le pesavano come macigni. "E tu che fai? Non vedi che non riesco a respirare quando mi tratti come se fossi una bambina? Non vedi che mi fai sentire sempre più incapace di fare qualcosa per me stessa?" La sua voce si alzò improvvisamente, come se l'irritazione e la frustrazione fossero finalmente uscite a galla. "Io voglio solo sentirmi libera, voglio sentirmi viva!"

La madre fece un passo indietro, sorpresa dalla sua reazione. Ma Silvia non si fermò. Non stavolta. Non più.

"Silvia..." la madre sussurrò, e la sua voce era ora piena di una tristezza che colpì Silvia come un colpo al cuore. Nonostante la durezza delle sue parole, nonostante il modo in cui le aveva sempre imposto di agire, Silvia vedeva in quella voce il desiderio di protezione. Ma era troppo tardi.

"Non voglio essere salvata, mamma. Voglio solo trovare la mia strada."

E senza aggiungere altro, Silvia si girò e si allontanò, lasciando sua madre a fissarla in silenzio, incapace di dire niente. Non sapeva se Silvia stesse cercando di ferirla o se fosse solo una ragazza che stava cercando di capire chi fosse. Ma una cosa era certa: in quel momento, Silvia si stava liberando. Anche a costo di fare male a se stessa.

Silvia si allontanò dalla madre senza voltarsi. Sentiva i passi pesanti e il cuore che le batteva in modo irregolare, come se volesse scappare dal suo corpo stesso. La tensione era insopportabile, e il bisogno di fuggire da tutto ciò che la circondava era l'unica cosa che riusciva a percepire.

Arrivò alla porta della sua stanza e la chiuse dietro di sé, senza nemmeno pensare a quanto potesse sembrare una reazione eccessiva. Si gettò sul letto, coprendosi con le coperte, ma non per dormire. Era il solito rifugio, ma stavolta sentiva di essere intrappolata dentro quella stessa stanza, dentro quella stessa vita che non le sembrava più la sua.

Il telefono vibrò sul comodino. Un messaggio da Sandro. Non lo aprì subito. Non voleva cedere alla tentazione di guardare cosa stesse scrivendo. Ma la curiosità la spinse a toccare lo schermo. La sua mente era ancora piena di confusione, ma leggere le parole di Sandro le dava, per un attimo, una sensazione di controllo. Si sarebbe potuto parlare, magari trovare una via di uscita da tutto quel caos. "Come stai? Mi manchi."

Le parole erano semplici, ma dentro di loro c'era qualcosa che la faceva sentire ancora una volta presa in trappola. Sandro sapeva come manipolare la situazione, come farla sentire importante anche quando la realtà era ben diversa. Erano frasi che sembravano piene di intenzioni, ma che alla fine erano solo il riflesso di un narcisismo che aveva imparato a riconoscere troppo tardi.

Silvia lasciò il telefono sul comodino e si sedette al bordo del letto, abbassando la testa. La sua mente continuava a ripercorrere gli ultimi giorni: il dolore, la sensazione di essere stata usata, ma anche il desiderio di non volerlo perdere. La sua parte razionale sapeva che era una trappola, ma una parte di lei continuava a sperare che potesse esserci qualcosa di diverso. Un amore che non avesse paura di mostrarle la verità, un legame che non l'avesse mai ferita.

Ma in quel momento, la realtà si fece chiara. Si alzò di scatto, il respiro corto. No. Non sarebbe stata più la sua vittima. Non avrebbe più permesso che qualcuno la trattasse come se non avesse un valore. Il dolore era troppo forte, e l'unica cosa che le rimaneva era trovare una via d'uscita. Non solo dalla relazione con Sandro, ma dalla dipendenza emotiva che sembrava averla imprigionata per troppo tempo.

Sentì la porta della sua stanza aprirsi. Sua madre entrò, con il volto pallido, come se fosse già pronta a dire qualcosa che non avrebbe mai voluto sentire.

"Silvia..." La voce di sua madre era più dolce ora, ma Silvia non voleva ascoltarla. Non voleva più sentirla dire che doveva "accontentarsi", che tutto sarebbe stato meglio se avesse seguito le regole.

"Non voglio che tu sia così. Voglio solo che tu sia felice." La madre si avvicinò lentamente, ma Silvia la fermò con un gesto della mano.

"Io lo so, mamma," rispose, mentre si alzava e si sistemava la giacca. "Ma non posso più fare come se non vedessi quello che sta succedendo. Non voglio più nascondermi dietro le tue aspettative. Voglio capire cosa voglio, senza che nessuno mi dica cosa fare."

Sua madre la guardò per un attimo, poi sospirò, come se il suo cuore fosse diviso tra il voler proteggere la figlia e il doverle lasciare la libertà di crescere. "Fai come vuoi, Silvia," disse infine, la voce tremante. "Non ti chiedo di cambiare. Ma spero che tu sappia che sono qui per te, sempre."

Silvia si svegliò presto la mattina, come se il bisogno di scappare fosse diventato un istinto irrefrenabile. La sua mente, ancora scossa dalla notte precedente, non riusciva a darsi pace. Non c'era più spazio per pensare al lavoro, alle parole della madre, alla sua casa. Tutto le sembrava soffocante, ingombrante. Il respiro le mancava ogni volta che si pensava intrappolata in una vita che non riconosceva più come sua.

Era una giornata grigia, ma non c'era nulla di strano, nulla che potesse farle cambiare idea. Senza nemmeno dare un'occhiata alla porta della stanza di sua madre, uscì di casa, decisa a non tornare fino a quando non avesse trovato qualcosa che potesse darle un senso di pace.

Non si fermò, camminò senza una meta precisa. Le ore passarono senza che lei nemmeno se ne accorgesse. La città, con la sua frenesia, sembrava distante. Silvia vagava in un silenzio che non la faceva sentire meno sola, ma che le dava anche la possibilità di allontanarsi dalle pressioni quotidiane. Il pensiero di Sandro, di quella relazione che non riusciva più a definire, la tormentava come un'eco distante, ma cercò di non ascoltarlo.

Abbandonò il lavoro quel giorno, forse perché sapeva che non sarebbe stata in grado di concentrarsi. La sua mente era troppo occupata a cercare risposte a domande che non si potevano risolvere. Non c'era più motivo di farsi pressioni. Silvia si limitò a vagare per i quartieri della città, passando per parchi desolati, sedendosi in panchine senza meta, osservando le persone che passavano senza fermarsi, come se nulla fosse cambiato. Come se il mondo potesse andare avanti, mentre lei stava ferma, senza riuscire a capire come fare il prossimo passo.

Nel frattempo, sua madre rimase a casa, ma non la cercò. Non la chiamò, non bussò alla sua porta. Non sembrava esserci più nessun legame che potesse tenerle unite. La madre di Silvia, purtroppo, era un'ombra distante nella sua vita, più assente che presente. Non c'era più spazio per il confronto, né per il conforto che avrebbe dovuto darle. La relazione con la madre era ridotta a un'incomunicabilità silenziosa che le faceva sentire più sola che mai.

Nel pomeriggio, Silvia si fermò su una panchina, ancora una volta immersa nei suoi pensieri. Il rumore del traffico la distraeva per un attimo, ma poi tutto tornava. Quella voce che sentiva dentro di sé, quella sensazione di voler sfuggire da tutto, la faceva sentire soffocata. Non sapeva come, ma doveva capire cosa fare.

Sandro... pensò di nuovo. Ma non voleva. Non voleva pensare a lui, a quanto l'aveva ferita, a come la sua presenza avesse lasciato un segno che ora non riusciva a cancellare. Ma il pensiero di lui continuava ad assalirla, la sua immagine, la sua voce. Le sue risposte che suonavano sempre così perfette, così fatte su misura per farla sentire come se fosse al centro di qualcosa. Ma ora non c'era più nulla che fosse chiaro.

In lontananza, la vista del suo telefono vibrò, ma Silvia non si scompose. Non lo prese. Non ora. Doveva rimanere sola, almeno per quel momento. Non c'era tempo per rispondere alle sue parole vuote. La sua mente era troppo occupata a mettere ordine nei suoi sentimenti, a cercare di trovare una via d'uscita da quella spirale di solitudine e confusione.

Quando la sera arrivò, Silvia si ritrovò di nuovo a casa, ma non voleva entrare. Non voleva vedere sua madre, né affrontare quella casa che le sembrava ormai estranea. Si appoggiò al muro dell'ingresso, respirando lentamente, come se avesse paura di fare un passo avanti.

Il silenzio, finalmente, fu interrotto dalla voce della madre, che arrivò dalla cucina, chiamandola con voce monotona. "Silvia, sei tornata."

Silvia non rispose subito, fissando la porta d'ingresso come se volesse scappare ancora una volta. Alla fine, si avvicinò, ma non entrò. "Mamma... oggi non posso parlare," disse, la voce più vuota di quanto avrebbe voluto. La madre la guardò per un attimo, poi sospirò, come se ormai sapesse che non c'era nulla da aggiungere.

"Va bene," disse, e con quel semplice "va bene", la madre tornò al suo solito silenzio, lasciando Silvia in un limbo di incomprensioni.

Silvia si ritrovò sola, di nuovo. La casa era un posto vuoto, e lei non sapeva più cosa fare. Ogni passo, ogni pensiero, sembrava portarla più lontano da chi era stata un tempo. Non c'era pace. Non c'era speranza che le cose cambiassero.

Silvia non poteva fare altro che rimanere lì, nella sua solitudine, cercando di capire come sarebbe andato avanti tutto. Il pensiero di tornare a casa di Sandro la tormentava, ma sapeva che quella non era la risposta. Doveva trovare la sua via, anche se non sapeva ancora dove portava.

Silvia si svegliò presto la mattina, come se il bisogno di scappare fosse diventato un istinto irrefrenabile. La sua mente, ancora scossa dalla notte precedente, non riusciva a darsi pace. Non c'era più spazio per pensare al lavoro, alle parole della madre, alla sua casa. Tutto le sembrava soffocante, ingombrante. Il respiro le mancava ogni volta che si pensava intrappolata in una vita che non riconosceva più come sua.

Era una giornata grigia, ma non c'era nulla di strano, nulla che potesse farle cambiare idea. Senza nemmeno dare un'occhiata alla porta della stanza di sua madre, uscì di casa, decisa a non tornare fino a quando non avesse trovato qualcosa che potesse darle un senso di pace.

Non si fermò, camminò senza una meta precisa. Le ore passarono senza che lei nemmeno se ne accorgesse. La città, con la sua frenesia, sembrava distante. Silvia vagava in un silenzio che non la faceva sentire meno sola, ma che le dava anche la possibilità di allontanarsi dalle pressioni quotidiane. Il pensiero di Sandro, di quella relazione che non riusciva più a definire, la tormentava come un'eco distante, ma cercò di non ascoltarlo.

Abbandonò il lavoro quel giorno, forse perché sapeva che non sarebbe stata in grado di concentrarsi. La sua mente era troppo occupata a cercare risposte a domande che non si potevano risolvere. Non c'era più motivo di farsi pressioni. Silvia si limitò a vagare per i quartieri della città, passando per parchi desolati, sedendosi in panchine senza meta, osservando le persone che passavano senza fermarsi, come se nulla fosse cambiato. Come se il mondo potesse andare avanti, mentre lei stava ferma, senza riuscire a capire come fare il prossimo passo.

Nel frattempo, sua madre rimase a casa, ma non la cercò. Non la chiamò, non bussò alla sua porta. Non sembrava esserci più nessun legame che potesse tenerle unite. La madre di Silvia, purtroppo, era un'ombra distante nella sua vita, più assente che presente. Non c'era più spazio per il confronto, né per il conforto che avrebbe dovuto darle. La relazione con la madre era ridotta a un'incomunicabilità silenziosa che le faceva sentire più sola che mai.

Nel pomeriggio, Silvia si fermò su una panchina, ancora una volta immersa nei suoi pensieri. Il rumore del traffico la distraeva per un attimo, ma poi tutto tornava. Quella voce che sentiva dentro di sé, quella sensazione di voler sfuggire da tutto, la faceva sentire soffocata. Non sapeva come, ma doveva capire cosa fare.

Sandro... pensò di nuovo. Ma non voleva. Non voleva pensare a lui, a quanto l'aveva ferita, a come la sua presenza avesse lasciato un segno che ora non riusciva a cancellare. Ma il pensiero di lui continuava ad assalirla, la sua immagine, la sua voce. Le sue risposte che suonavano sempre così perfette, così fatte su misura per farla sentire come se fosse al centro di qualcosa. Ma ora non c'era più nulla che fosse chiaro.

In lontananza, la vista del suo telefono vibrò, ma Silvia non si scompose. Non lo prese. Non ora. Doveva rimanere sola, almeno per quel momento. Non c'era tempo per rispondere alle sue parole vuote. La sua mente era troppo occupata a mettere ordine nei suoi sentimenti, a cercare di trovare una via d'uscita da quella spirale di solitudine e confusione.

Quando la sera arrivò, Silvia si ritrovò di nuovo a casa, ma non voleva entrare. Non voleva vedere sua madre, né affrontare quella casa che le sembrava ormai estranea. Si appoggiò al muro dell'ingresso, respirando lentamente, come se avesse paura di fare un passo avanti.

Il silenzio, finalmente, fu interrotto dalla voce della madre, che arrivò dalla cucina, chiamandola con voce monotona. "Silvia, sei tornata."

Silvia non rispose subito, fissando la porta d'ingresso come se volesse scappare ancora una volta. Alla fine, si avvicinò, ma non entrò. "Mamma... oggi non posso parlare," disse, la voce più vuota di quanto avrebbe voluto. La madre la guardò per un attimo, poi sospirò, come se ormai sapesse che non c'era nulla da aggiungere.

"Va bene," disse, e con quel semplice "va bene", la madre tornò al suo solito silenzio, lasciando Silvia in un limbo di incomprensioni.

Silvia si ritrovò sola, di nuovo. La casa era un posto vuoto, e lei non sapeva più cosa fare. Ogni passo, ogni pensiero, sembrava portarla più lontano da chi era stata un tempo. Non c'era pace. Non c'era speranza che le cose cambiassero.

Silvia non poteva fare altro che rimanere lì, nella sua solitudine, cercando di capire come sarebbe andato avanti tutto. Il pensiero di tornare a casa di Sandro la tormentava, ma sapeva che quella non era la risposta. Doveva trovare la sua via, anche se non sapeva ancora dove portava.

La notte scivolava via lentamente, avvolgendo la casa in un silenzio che sembrava quasi opprimente. Silvia non riusciva a prendere sonno, il suo corpo stanco, ma la mente troppo in fermento per trovare pace. La casa, che una volta aveva significato sicurezza, ora sembrava un luogo estraneo, dove ogni angolo raccontava una storia che non apparteneva più a lei.

Si alzò dal letto, avvolta nei suoi pensieri, e si diresse verso la finestra. Guardava fuori, senza vedere nulla di concreto. Il cielo notturno era velato di nuvole, e il vento sussurrava tra gli alberi come una promessa di cambiamento. Ma Silvia non si sentiva pronta per cambiare. Non ancora. Tutto in lei chiedeva di fuggire, di staccarsi da tutto, da una vita che ormai sembrava non appartenerle più. Eppure, non sapeva dove andare.

Tornò al letto, si sdraiò e guardò il telefono, quasi come se sperasse che qualcosa o qualcuno avrebbe interrotto la monotonia dei suoi pensieri. Non c'era nulla, tranne i messaggi mai letti di Sandro, i messaggi che non voleva aprire. Lo sapeva. Lo capiva. Quel rapporto non aveva più senso, ma come poteva separarsi da ciò che le sembrava ormai un'ancora di salvezza, anche se in realtà era solo una prigione?

E proprio mentre si perdeva in queste riflessioni, il suo telefono vibrò, spezzando il silenzio. Un messaggio. Un nome che non aveva più visto da un po'.

"Marica."

Il cuore di Silvia accelerò un po'. Marica, la sua amica, la sola persona che sembrava davvero capire quello che stava attraversando. Nonostante la distanza che si era creata tra loro, Marica era sempre stata presente, anche da lontano. Forse, per una volta, avrebbe trovato qualcuno che l'avrebbe capito senza giudicarla.

Aprì il messaggio.

"Silvia, lo so che non stai passando un bel momento. Ti conosco. Se hai bisogno di parlare o di staccare un po', vieni da me. Sono a casa di Florian, mio cugino. Ti aspetto. Non sei sola."

Le parole di Marica colpirono Silvia come una doccia fredda. Lì, tra le righe, c'era la comprensione, l'invito a non essere più sola. Florian. Non lo vedeva da tempo. Un altro tassello, un'altra possibilità di trovare qualcosa di diverso, qualcosa che non fosse legato alla confusione che si era accumulata nella sua vita.

Silvia si sentì per un attimo sollevata. Ma poi, come al solito, i dubbi tornarono a invadere la sua mente. Doveva davvero andare? Avrebbe potuto affrontare un'altra situazione che le sarebbe sembrata comunque nuova, sconosciuta? Ma la risposta arrivò da sola, nei momenti di silenzio, nei momenti di incertezza. Marica la conosceva, e quel messaggio era l'unica mano tesa che Silvia aveva sentito in molto tempo. La sua mente e il suo cuore, pur contraddittori, avevano finalmente trovato qualcosa di rassicurante.

Si alzò dal letto, guardò il suo riflesso nello specchio, e prese una decisione. Non sarebbe rimasta a vagare nella confusione. Avrebbe accettato l'invito di Marica. Avrebbe visto dove quella nuova strada l'avrebbe portata. Magari sarebbe stato solo un piccolo passo, ma almeno sarebbe stato un passo verso qualcosa di più chiaro. Qualcosa che non fosse Sandro, che non fosse la solitudine di quella casa.

Scrisse velocemente una risposta.

"Vengo. Grazie."

Silvia si fermò un momento, il telefono tra le mani, osservando i messaggi che Sandro le aveva inviato negli ultimi minuti. La sua mente era un turbinio di pensieri contrastanti. Non si sentiva più la stessa, non da quando aveva preso quella decisione. In quel preciso istante, stava cercando di capire se stava facendo la cosa giusta, se veramente riusciva a fuggire, o se stava solo cercando una scusa per non affrontare le proprie paure.

I messaggi di Sandro continuavano a arrivare, uno dopo l'altro, quasi imperiosi: "Mi manchi, dove sei?"; "Perché non rispondi?"; "Dobbiamo parlarne." Silvia, d'altra parte, non sapeva più cosa rispondere. Ogni parola che lui le scriveva sembrava svuotarla un po' di più, come se ogni suo messaggio fosse una pressione che le pesava addosso. In quel momento, tutto ciò che voleva era la libertà da quel peso.

Era da tanto che non si sentiva veramente libera. Non solo da lui, ma da tutta la sua vita quotidiana, da quella casa, dalla sua madre distante. Le sue giornate sembravano ormai tutte uguali: vivere per gli altri, per la casa, per il lavoro, ma mai per se stessa. Sandro, la sua relazione con lui, aveva solo aggiunto un ulteriore strato di confusione, di incertezza. Ogni volta che si parlavano, ogni volta che si incontravano, il vuoto che sentiva dentro diventava sempre più grande.

Ma questa volta era diversa. Era una scelta che le sembrava inevitabile. Guardando i messaggi di Sandro, si rese conto che la sua presenza nella sua vita non l'aveva mai colmata. Si sentiva quasi ingabbiata da quella relazione, senza sapere più cosa voleva veramente. Non c'era spazio per lei, non c'era aria.

Decise che doveva andare. Doveva partire.

Senza più pensare, chiuse gli occhi e si concentrò solo su una cosa: la necessità di allontanarsi, anche solo per qualche giorno.

"Non posso più farcela," pensò. "Devo fermarmi. Devo trovare un posto dove respirare senza paura di essere schiacciata da tutto quello che mi sta intorno."

Silvia scrisse rapidamente una risposta a Marica, confermando che sarebbe partita, ma sapeva che avrebbe dovuto affrontare quella sensazione di panico che cresceva dentro di lei. E mentre si preparava a partire, il telefono continuava a vibrare nella sua tasca. "Ti sto cercando. Perché scappi?"

Con un sospiro, Silvia silenziosamente mise il telefono in modalità silenziosa. Non aveva più voglia di leggere quelle parole che sembravano non capire il suo stato d'animo. La sua mente non aveva più spazio per quelle domande, per quel bisogno di spiegarsi che Sandro continuava a chiedere. Si era stancata di dover giustificare se stessa a qualcuno che, in fondo, non l'aveva mai veramente ascoltata.

Arrivò il momento di prendere il treno. I suoi pensieri continuavano a vagare, ma finalmente si sentiva come se stesse facendo qualcosa per sé stessa, per la sua pace interiore. La decisione di partire non era stata semplice. Era il primo passo, ma non sapeva dove l'avrebbe portata. Sapeva solo che non poteva più rimanere. Aveva bisogno di fermarsi, di riflettere lontano da tutto ciò che conosceva. E quel luogo, Dobbiaco, sembrava la scelta giusta. Un posto che le avrebbe permesso di prendersi una pausa dalla confusione della sua vita quotidiana.

Il viaggio, pur lungo, non le sembrò affatto pesante. Guardava fuori dal finestrino, il paesaggio che si distendeva sotto i suoi occhi mentre i suoi pensieri cercavano di fare chiarezza. La neve, le montagne, tutto sembrava distante da quello che stava cercando di lasciare indietro. La sensazione di essere in un posto nuovo le dava una certa sicurezza, ma il cuore le batteva ancora forte, come se ogni battito fosse un passo che la stava allontanando da ciò che conosceva, ma anche avvicinando a qualcosa di sconosciuto.

Arrivò a Dobbiaco nel tardo pomeriggio. Marica era già lì ad aspettarla. Quando la vide, il suo viso, segnato dal peso degli ultimi giorni, sembrò illuminarsi per un attimo. Non disse nulla, ma l'abbraccio che le diede disse tutto.

"Sei finalmente arrivata!" disse Marica, con il suo solito sorriso. "Non devi preoccuparti, qui troverai la tranquillità."

Silvia sorrise debolmente, sentendo che per la prima volta dopo molto tempo, stava facendo una cosa per se stessa.

Marica la guidò verso la casa di Florian, che la accolse senza fare domande. Un'accoglienza silenziosa, ma perfetta per Silvia in quel momento. Non c'erano aspettative, non c'erano occhi giudicanti. Solo un posto dove poteva essere se stessa.

Quando si mise a letto quella notte, Silvia non rispose a nessuno dei messaggi di Sandro. Non voleva più essere scossa da quelle parole che l'avevano sempre fatta sentire intrappolata. I suoi pensieri erano finalmente più tranquilli. Non sapeva cosa sarebbe successo il giorno dopo, ma in quel momento, per la prima volta, sentiva di aver fatto qualcosa che la stava davvero aiutando.

E se fosse stato l'inizio di un cambiamento? Non lo sapeva ancora. Ma per la prima volta, Silvia aveva scelto di mettersi al primo posto.

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