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capitolo 18


Silvia camminò senza meta, le lacrime che le rigavano il viso, il cuore stretto da un nodo di confusione e frustrazione. Aveva preso una decisione impulsiva, come se scappare fosse l'unico modo per trovare un po' di pace. La rabbia verso sua madre, il dolore che sentiva dentro, sembravano averla fatta fuggire in un luogo che non avrebbe mai pensato di cercare: sotto la casa di Sandro.

Era già buio quando arrivò, il cielo si tingeva di un grigio spento che rispecchiava il suo stato d'animo. La sua mente, piena di pensieri che non riusciva a fermare, la spingeva a un passo in più, come se l'unica cosa che potesse darle un po' di conforto fosse quella presenza. Sandro. Non importava quello che era successo prima, non importava ciò che si era lasciata dietro. Quello che voleva, ora, era solo trovare un angolo dove nascondersi. Forse lui l'avrebbe capita, forse no. Ma in quel momento, lui era l'unica cosa che riusciva a focalizzare nella sua mente.

Arrivò sotto il portone di casa sua, e lo vide. Lì, fuori, circondato dagli amici, come se nulla fosse accaduto. Ridendo, scherzando, con il volto disteso dalla felicità, dalla leggerezza. Quella scena la colpì come un pugno allo stomaco. L'aveva lasciata poco prima, lei in preda alla confusione, mentre lui, evidentemente, era riuscito a scrollarsi tutto di dosso in un battito di ciglia.

Silvia rimase immobile, con la testa bassa, cercando di non farsi vedere. Non voleva che lui la vedesse in quello stato. Ma poi, qualcosa dentro di lei scattò. La rabbia, la frustrazione, tutto quello che non aveva mai detto, tutto quello che non era riuscita a esprimere, emerse in un misto di delusione e di dolore. Si sentiva una stupida, come se avesse esagerato nel suo essere così emotiva, così fragile.

Sandro, alzando lo sguardo, la notò. E non appena i suoi occhi si incrociarono con quelli di Silvia, si accorse immediatamente che qualcosa non andava. Il sorriso che aveva portato con sé fino a quel momento si spense e fu sostituito da un'espressione di sorpresa e preoccupazione. Si staccò dal gruppo e si avvicinò rapidamente a lei.

"Silvia, che succede?" chiese con voce calma, ma sotto c'era una punta di preoccupazione. Ma Silvia non rispose. Le sue labbra tremavano, e prima che potesse farlo, il suo corpo cedette. Si girò di scatto e corse verso il ciglio della strada, incapace di trattenere altro. Vomitò.

Le mani sulle ginocchia, la bocca che ancora cercava di espellere tutto il veleno che sentiva dentro. Non capiva più cosa stesse succedendo. Perché si sentiva così? Perché tutto sembrava andare fuori controllo?

Sandro si precipitò accanto a lei, ma non osò toccarla. La guardava, impotente, senza sapere cosa dire. Era in piedi, accanto a lei, ma sembrava distante. La sua mente correva veloce, ma non riusciva a capire come farla smettere di piangere, come aiutarla a far cessare quella nausea che non era solo fisica.

"Silvia, ascoltami," disse, ma la voce tremava un po', come se anche lui avesse bisogno di respirare. "Cosa ti sta succedendo?"

Silvia sollevò lo sguardo, ma non riusciva a guardarlo negli occhi. La vergogna l'aveva invasa, e la sua mente le diceva che stava esagerando. Era così vulnerabile, e lui sembrava così... tranquillo, come se quel pomeriggio non fosse mai accaduto. Come se tutto fosse stato dimenticato in un batter di ciglia.

"Non lo so, Sandro," sussurrò, la voce strozzata. "Non so cosa mi stia succedendo."

Sandro la guardò per un lungo istante, indeciso su cosa fare. Poi, con un respiro profondo, si chinò accanto a lei, senza avvicinarsi troppo, come se non volesse invadere uno spazio che lei non era pronta a concedergli. Non sapeva nemmeno lui se fosse il momento giusto per dire qualcosa, ma qualcosa dentro gli diceva che doveva fare qualcosa.

Sandro la osservava mentre Silvia si allontanava, ma non mostrava alcun segno di preoccupazione sincera. Il suo sguardo era indifferente, quasi come se non fosse successo niente di significativo. I suoi amici lo stavano aspettando, continuando a chiacchierare, e lui, senza nemmeno un accenno di empatia verso Silvia, si girò verso di loro, pronto a rientrare nel flusso della serata. In fondo, chi avrebbe voluto rovinarsi una serata per una ragazza che, dopo tutto, non sembrava essere che un altro capitolo nella sua lunga lista di conquiste?

Silvia, piegata sul ciglio della strada, vomitava ancora, cercando di riprendersi da un dolore che non era solo fisico. Ma ciò che più la feriva era la consapevolezza che il suo malessere non significava nulla per Sandro. Non c'era stato un gesto di solidarietà, nemmeno una parola gentile. L'unica preoccupazione che lui aveva mostrato era di non sembrare troppo compromesso davanti ai suoi amici.

Silvia, con le mani sulle ginocchia, cercava di respirare, ma le sue lacrime non accennavano a fermarsi. Era tutto troppo. Eppure, quando alzò lo sguardo, lo vide. Sandro stava tornando verso di lei, ma non c'era nulla di premuroso nel suo atteggiamento. Piuttosto, c'era una sorta di fastidio, come se fosse stato costretto a occuparsi di lei solo per mantenere un'immagine impeccabile.

"Silvia, che diavolo stai facendo?" chiese lui, con un tono seccato, ma senza vera preoccupazione. "Stai facendo una scena per niente."

Silvia lo fissò, il cuore che batteva forte nel petto. Ogni parola di lui sembrava un colpo diretto. "Una scena per niente?" Ripeté nella sua mente. "E tu invece che cosa pensi di me? Che sono solo una tua distrazione?"

"Ti stai facendo un sacco di problemi per nulla," aggiunse lui, con voce piatta. Poi, guardò velocemente il gruppo di amici, che lo osservavano, e Silvia avvertì la sua preoccupazione non per lei, ma per come la sua reazione sarebbe stata percepita da loro. Si fece un passo indietro, cercando di ridurre al minimo l'imbarazzo, come se fosse tutto un gioco. "Vieni, vieni, ti faccio una sigaretta, ti calmi e finiamo tutto qua, dai."

Silvia restò immobile, incredula. Non solo lui non sembrava capire la gravità della situazione, ma addirittura cercava di minimizzare il tutto con un gesto superficiale, come se fosse lei la problema, non il modo in cui l'aveva trattata.

"Non mi interessa la sigaretta, Sandro," disse lei, cercando di mantenere la calma, ma il suo corpo tremava ancora. "Non voglio che tu faccia finta che tutto vada bene."

Sandro la guardò come se fosse una bambina capricciosa, come se fosse una cosa che doveva essere sistemata rapidamente, senza troppi drammi. "Non fare la vittima, Silvia. Non serve a nulla." La sua voce era ormai condiscendente, eppure, più lei cercava di fargli capire quanto stesse soffrendo, più lui sembrava indifferente.

Gli amici continuavano a ridere e a chiacchierare in sottofondo, e lui si girò verso di loro per un attimo, lanciando un'occhiata rapida a Silvia, come se volesse assicurarsi che nessuno stesse prestando troppa attenzione. "Ragazzi, facciamola finita con questa roba, ok?" disse, alzando le spalle con nonchalance. Non gli importava più. Il suo ego, la sua immagine, erano tutto quello che gli interessava. Silvia era solo un'altra delle sue conquiste, una che stava per finire nel dimenticatoio.

Silvia sentiva la rabbia crescere dentro di lei. Il suo cuore batteva più forte, e le sue mani tremavano. Lontano dalla realtà, lontano dai suoi sentimenti, Sandro non vedeva altro che un modo per liberarsi di lei senza troppi danni alla sua immagine. Era questo che faceva davvero paura: lui non si preoccupava di lei, non per quello che provava o per quello che aveva passato. Non la vedeva come una persona, ma solo come una pedina da usare, da mostrare agli amici e, forse, da accantonare quando non serviva più.

"Non mi interessa cosa pensano gli altri," disse Silvia, con un filo di voce che però tradiva tutta la sua frustrazione. "Mi interessa come mi fai sentire. Come se non valessi nulla."

Sandro la guardò, il suo volto si contrasse appena. Non aveva mai sentito una sfida simile da parte sua. Lei non stava seguendo il suo gioco. Silvia non si comportava come le altre, e questo lo infastidiva più di quanto volesse ammettere. Ma in qualche modo, il suo ego non permetteva che lui cadesse nell'errore di chiedere scusa, di ammettere la sua indifferenza. Non avrebbe mai mostrato debolezza.

"Cosa vuoi da me, Silvia?" chiese, con un sorriso quasi sprezzante. "Non è un film, non puoi aspettarti che io faccia tutto come te lo immagini. Non sono il tuo cavaliere, capito?"

A quelle parole, Silvia capì definitivamente che era tutto un gioco per lui. Non sarebbe mai riuscita a fargli vedere la sua sofferenza, perché lui non era capace di capire. Sandro non aveva mai voluto un legame vero; quello che cercava era solo una conferma, un altro trofeo da aggiungere alla sua collezione.

Silvia lo guardò, ma non rispose. Si voltò e iniziò a camminare via. La sua mente era un turbine di pensieri, ma la cosa più chiara che le restava in testa era questa: Sandro non l'aveva mai vista davvero. E ora lei si rendeva conto che, per lui, non sarebbe mai stata nulla di più di un altro strumento per alimentare il suo ego.

Silvia camminava a passi veloci, cercando di allontanarsi da Sandro, ma più si allontanava, più la sua mente tornava indietro a quella scena. Le sue parole, la sua totale indifferenza, risuonavano nella sua testa. Come aveva potuto credere che lui fosse diverso? Che, forse, fosse capace di vederla davvero, di capirla, di prendersi cura di lei?

Il cuore le batteva forte, come se ogni passo la stesse portando più lontano da tutto quello che aveva sperato. Le sue lacrime non accennavano a fermarsi, ma non le importava. Non avrebbe mai più permesso che qualcuno, come Sandro, avesse il potere di farla sentire così inutile, così invisibile.

"Silvia!" la chiamò una voce dietro di lei. Non c'era dubbio: era lui. Sandro. Ma stavolta, la sua voce non aveva la stessa sicurezza di prima. Ora c'era un'accusa velata, come se si sentisse ferito dalla sua reazione.

Silvia non si fermò. Non voleva sentirlo, non voleva che le spiegasse, che le dicesse che "tutto andava bene", che non c'era motivo di fare quella scenata. Non c'era niente che lui potesse dire che potesse cambiare come si sentiva.

"Silvia, ti sto parlando!" Sandro la raggiunse, afferrandole un braccio con fermezza. La guardò negli occhi, ma non c'era più quella scintilla di interesse che c'era all'inizio. Ora sembrava più arrabbiato che preoccupato.

"Se pensi che io voglia farti del male, ti sbagli di grosso," disse, ma la sua voce era più tagliente di quanto volesse ammettere. "Non capisco perché stai facendo tutto questo casino. Non ti ho fatto niente di male."

Silvia si liberò con un movimento secco, evitando di incrociare il suo sguardo. "Niente di male?" ripeté, le labbra tremanti. "Hai solo usato me. Ti sei preoccupato solo di non sembrare un idiota davanti ai tuoi amici. Non c'è mai stato nulla di vero in quello che facevi, Sandro."

Lui la fissò per un momento, il suo sguardo che cercava di restare imperturbato, ma qualcosa in lui tradiva un accenno di irritazione. "Non fare la drama queen. Non stai facendo un favore a te stessa."

Il suo tono era diventato più condiscendente, come se stesse cercando di minimizzare ancora una volta la situazione, di ridurre tutto a una semplice incomprensione da parte sua. Ma Silvia non lo lasciò continuare.

"Non è un dramma, Sandro. È la realtà." La sua voce ora era ferma, non più segnata dalla rabbia, ma da una consapevolezza amara. "E la realtà è che tu non mi vedi. Non mi hai mai vista. Io sono solo un passatempo per te."

Quella frase sembrò far scattare qualcosa in lui, ma non nel modo in cui Silvia si aspettava. Sandro la guardò con un sorriso di superiorità, come se stesse affrontando una situazione che non meritava nemmeno tutta quella enfasi.

"Ma guarda che sei un po' troppo sensibile, Silvia," disse, ridendo leggermente. "Lo faccio per te, lo sai? Ti lascio spazio, ti faccio sentire importante. E tu che fai? Lo butti via. Sei tu che non capisci."

Silvia sentì una fitta di dolore, ma qualcosa dentro di lei cambiò. Non era più disposta a mettersi in discussione, a cercare di compiacere qualcuno che non la meritava. Non c'era più spazio per cercare di compiacere Sandro, non c'era più spazio per la sua vanità, il suo ego, il suo modo di trattarla come se fosse solo un'altra conquista.

"Forse ho capito meglio di quanto pensi," rispose, fissandolo negli occhi con una determinazione che non aveva mai avuto prima. "E la verità, Sandro, è che non mi interessa più quello che fai per me. Non mi interessa più come mi vedi. Non sono un tuo trofeo."

Lui la guardò per un momento, quasi per cercare di capire se stesse scherzando. Ma quando Silvia non cedette, quando non si lasciò convincere dalle sue solite frasi, qualcosa cambiò nel suo atteggiamento. Il sorriso che aveva, fino a un momento prima, si spense lentamente, rivelando qualcosa di più oscuro dietro quegli occhi pieni di calcolo.

"Quindi è così che va?" disse, a voce bassa, con un tono che stava perdendo la sua superiorità. "Ok, Silvia. Ma non venire da me quando ti renderai conto che non c'è nessun altro come me."

Quella frase, in qualche modo, suonò come una minaccia velata. Un modo per farle credere che lei non avrebbe mai trovato qualcun altro come lui, ma Silvia non si lasciò intimidire. Sapeva che l'unica cosa che contava era ciò che lei pensava di sé stessa. E in quel momento, non aveva bisogno di nessuno come Sandro nella sua vita.

"Addio, Sandro," disse semplicemente, voltandosi senza più guardarlo. "Non voglio essere un'ombra nella tua vita."

Silvia si allontanò definitivamente, senza voltarsi indietro. Non voleva più essere una pedina in un gioco che non aveva scelto. E, per la prima volta, sentiva una forza dentro di sé che non aveva mai conosciuto.

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