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capitolo 17

Silvia camminò lungo il corridoio con passi rapidi, ma il suo corpo sembrava condurla in un posto che non voleva davvero raggiungere. La porta che si chiudeva dietro di sé lasciò un vuoto che si fece largo nel suo cuore. Ogni passo sembrava più pesante del precedente, eppure cercava di non fermarsi, di non lasciare che le emozioni prendessero il sopravvento. Ma qualcosa dentro di lei continuava a urlare.

Appena arrivata fuori, l'aria fredda le accarezzò il viso, ma non la scosse. Il cielo sopra di lei era grigio, come il suo umore. Non riusciva a liberarsi dalla sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato, eppure non sapeva cosa fosse stato. Forse si stava facendo troppi problemi, pensò, ma il nodo che le serrava lo stomaco non si scioglieva.

Prendendo il cellulare in mano, digitò senza pensarci due righe a sua madre:

"Mi sono sentita strana, vengo a casa. Sto bene."

Poi, senza nemmeno aspettare una risposta, si allontanò dalla porta di Sandro. La strada era silenziosa, eppure il rumore dei suoi passi risuonava forte nella sua mente. Sentiva la sua stessa confusione riflessa in ogni suono che arrivava alle sue orecchie. E ogni volta che pensava a ciò che era accaduto poco prima, la sua mente si affollava di domande. Come se tutto fosse stato troppo veloce. Come se fosse ancora troppo impreparata a vivere davvero quelle esperienze.

Era strano. In fondo, non aveva mai avuto una relazione sessuale prima. La sua vita emotiva era stata così diversa, sempre protetta dalle sue insicurezze e dai suoi dubbi. E ora, con Sandro, sembrava che il passo fosse inevitabile, ma la verità era che non si sentiva pronta.

E poi, c'era la sensazione che non riusciva a scrollarsi di dosso. Quella sensazione di non essere mai veramente libera di decidere cosa voleva. Ogni volta che si trovava davanti a una decisione, c'era quella paura di fare la scelta sbagliata. La paura di essere giudicata o di non riuscire a soddisfare le aspettative. Non solo quelle di Sandro, ma anche quelle che lei stessa aveva nei confronti di se stessa.

Arrivata a casa, la porta si aprì senza fare rumore. Dentro, tutto era tranquillo. Ma Silvia non si sentiva tranquilla. Si guardò intorno, sentendo la solitudine della casa che le pesava ancora di più. I gemelli erano già a letto, e sua madre, evidentemente impegnata, non era in giro. Si lasciò cadere sul divano, cercando di respirare lentamente.

Poi, il telefono vibrò. Una notifica. "Sandro".

"Tutto bene? Sei sicura che vada tutto ok? Mi dispiace se ti ho messo pressione prima."

Le parole di Sandro la colpirono. Non voleva che lui si sentisse in colpa, ma sentiva che dentro di lei c'era troppo da risolvere. Come se avesse bisogno di più tempo per capire cosa stava cercando. Forse non era lui il problema, ma lei. La sua incapacità di lasciarsi andare completamente.

Silvia rimase lì, a fissare il messaggio per un attimo, come se cercasse di raccogliere il coraggio per rispondere. Alla fine, con un sospiro, scrisse:

"Non è colpa tua. È solo che ho bisogno di capire cosa voglio."

Poi, dopo un momento di esitazione, aggiunse:

"Spero che tu capisca."

Mise il telefono sul tavolo e si lasciò cadere indietro sul divano, con il cuore che batteva più forte del solito. Non sapeva nemmeno perché stava scrivendo quelle parole, ma forse stava cercando di mettere in ordine i suoi pensieri. Forse, per la prima volta, stava cercando di ascoltare se stessa, piuttosto che gli altri.

Il suono della porta che si apriva la fece sobbalzare. Sua madre entrò in sala, con l'aria di chi aveva appena finito una lunga giornata di lavoro. Ma prima di dire qualcosa, guardò Silvia e si avvicinò lentamente, con uno sguardo che non tradiva preoccupazione, ma piuttosto una curiosità attenta.

"Tutto ok, tesoro?"

Silvia alzò gli occhi, ma non riuscì a rispondere subito. Non riusciva a dire a sua madre che stava cercando di affrontare qualcosa che non sapeva nemmeno come spiegare. La verità era che, a volte, non riusciva nemmeno a capirlo da sola.

Non appena disse "tutto ok", qualcosa in Silvia si spezzò. Era come se la frase, che aveva cercato di pronunciare con calma, avesse solo aperto una porta che non poteva più chiudere. Senza pensarci, si alzò in piedi e corse verso il bagno, il cuore che le martellava nel petto, il corpo in preda a una nausea che non riusciva a fermare.

Arrivò al lavandino e si piegò in avanti, sentendo l'amaro risalire dalla sua gola come un veleno che non riusciva a espellere abbastanza velocemente. Il respiro affannoso, l'agonia di sentirsi completamente fuori controllo. Le mani tremavano mentre cercava di trattenere il respiro, ma non ci riusciva. Poi, finalmente, il suo corpo si liberò, vomitando tutto quello che sentiva di non poter tenere dentro.

Non voleva che fosse così. Non voleva arrivare a questo punto. Ma la tensione che si era accumulata in giorni, settimane, mesi, si stava facendo esplodere in qualcosa di incontrollabile.

Quando alzò la testa, il riflesso nello specchio non la riconosceva. I capelli scompigliati, gli occhi gonfi di lacrime, il viso pallido. Ma la cosa peggiore era la sensazione che provava dentro. Un mix di paura, di frustrazione, di solitudine. E un'incredibile rabbia.

Il rumore della porta che si apriva dietro di lei la fece sussultare. Sua madre era entrata nella stanza, ma non con la solita calma preoccupata. No, stavolta c'era qualcosa di diverso. Il suo sguardo era carico di rabbia, il volto teso, come se qualcosa avesse toccato un punto che non doveva essere mai sfiorato.

"Cosa diavolo stai facendo?" la voce di sua madre risuonò alta e stizzita, non nascondendo più quel disprezzo che stava prendendo piede. "Ti rendi conto che stai rovinando tutto?"

Silvia si girò lentamente verso di lei, gli occhi pieni di un dolore che non riusciva a esprimere. Voleva rispondere, voleva urlarle, ma la bocca le era secca. Il battito del cuore le riempiva le orecchie, mentre cercava di trovare una via d'uscita da quella situazione.

"Non è come pensi, mamma," cercò di dire, ma la sua voce tradiva la sua stanchezza. Non ci riusciva a farlo sembrare credibile, nemmeno a se stessa. "Ho bisogno di stare un po' sola."

Ma sua madre non si fece fermare. Anzi, il suo atteggiamento cambiò in un attimo. Il volto di Silvia si distorse mentre sentiva la pressione aumentare, come una mano invisibile che la spingeva verso il muro.

"Sola? Sola cosa? Non puoi essere sempre così!" La madre alzò il tono della voce, avvicinandosi a lei con un'espressione che Silvia non aveva mai visto prima. "Tu non hai il diritto di fare tutto questo. Guardati!"

Silvia fece un passo indietro, cercando di evitare il confronto, ma la madre non la lasciò scappare.

"Quante volte ti ho detto che devi smettere di farti schiacciare dalle tue paure? Sei solo una ragazzina!" urlò, il suo viso rigato dalle lacrime che non si era nemmeno resa conto di avere. "E invece di cercare di crescere, continui a fuggire dalla realtà! Guardati! Stai distruggendo te stessa!"

Silvia sentì la rabbia montare dentro di sé. Era come se il peso delle sue scelte le fosse stato scaricato addosso tutto in un attimo. La madre, invece di offrirle supporto, sembrava più interessata a colpirla con parole velenose, come se dovesse punirla per qualcosa che nemmeno lei riusciva a comprendere.

"Non puoi continuare così, Silvia! Devi crescere e prendere le tue responsabilità, smetterla di fare la vittima!" La madre si avvicinò ancora di più, con il volto che ora aveva qualcosa di irriconoscibile, qualcosa che Silvia non voleva vedere. "E smettila di pensare che tutto ti sia dovuto, che la vita ti debba delle spiegazioni!"

Le parole ferivano, più di quanto Silvia avesse mai immaginato. La sua mente era in subbuglio, ma le parole di sua madre la colpirono come un pugno allo stomaco. Non c'era più comprensione, non c'era più spazio per il dialogo, solo un muro insormontabile di rabbia e rifiuto.

Silvia si sentì piccola. Improvvisamente, non c'era più nulla che potesse fare per proteggersi. La madre sembrava troppo lontana, troppo intrappolata nella sua visione di ciò che doveva essere una "figlia responsabile".

Con il cuore che le batteva all'impazzata, Silvia si girò, decise di correre via, di lasciare quella stanza, quella casa, dove il caos non sembrava fermarsi mai. La porta del bagno si richiuse dietro di lei mentre si rifugiava nella solitudine, sperando che il silenzio le desse una tregua, almeno per qualche attimo.

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