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capitolo 13


Il giorno seguente, Silvia si svegliò con una sensazione di incertezza che non riusciva a scrollarsi di dosso. La luce del mattino filtrava tra le tende, ma invece di portare con sé una calma tranquilla, sembrava accentuare il peso che le gravava sul petto.

Aveva dormito poco e male, i pensieri erano ancora troppo vivi nella sua mente, come un eco che rimbombava senza sosta. La conversazione con lui, nel parco, l'aveva lasciata confusa. L'aveva colpita più di quanto avesse voluto ammettere, e ora sentiva come se ogni parola avesse una nuova sfumatura che non riusciva a decifrare.

Silvia si alzò dal letto e si avvicinò alla finestra, fissando il panorama. Il cielo era grigio, il vento portava con sé l'umidità di una giornata che sembrava già pesante. Un altro giorno di incertezze, pensò. Ma cosa voglio veramente?

Tirò su il telefono con una mano, ma prima di aprire qualsiasi app si fermò, riflettendo. Da qualche parte, tra le pieghe dei suoi pensieri, c'era quella domanda che non riusciva a rimuovere: Cosa ci sta succedendo?

Nel frattempo, la luce del telefono lampeggiò, interrompendo la sua riflessione. Era un messaggio di lui.

"Ciao, stasera ci vediamo?"

Silvia strinse il telefono tra le mani, gli occhi fissati sullo schermo. Aveva sempre saputo che sarebbe arrivato quel messaggio, ma ora che era lì davanti a lei, non sapeva come rispondere.

Silvia rimase a fissare il messaggio per qualche secondo, il dito sospeso sopra la tastiera, incapace di scrivere una risposta. Un'infinità di pensieri le attraversava la mente, ma nessuno sembrava giusto. Si chiedeva se fosse davvero pronta a rivederlo, a affrontare quella sensazione di vuoto che spesso provava dopo i loro incontri.

Perché ogni volta sembra che qualcosa mi sfugga?

"Ci vediamo stasera?" Non sembrava una domanda tanto complicata, eppure era così. Lui voleva vederla. Ma Silvia non riusciva a smettere di pensare: E io cosa voglio davvero?

Alla fine, prese una decisione. Rispose con un breve messaggio:

"Sì, va bene. A che ora?"

Pochi istanti dopo arrivò la risposta.

"Alle 19, al solito posto?"

Il solito posto... Silvia chiuse gli occhi per un attimo. Era il parco, ovviamente. Il parco dove si erano incontrati per la prima volta, dove avevano passato così tante ore a parlare, a camminare senza meta, a condividere pensieri che non avevano mai detto a nessuno. Un posto che ormai portava con sé il peso di mille emozioni non dette.

"Va bene," rispose, poi lasciò il telefono sul tavolo e si avviò verso la cucina. Aveva bisogno di un caffè forte, qualcosa che riuscisse a darle un po' di lucidità. Ma la mente continuava a tornare a quella domanda: Cosa ci stiamo facendo?

Mentre il caffè veniva preparato, Silvia si guardò allo specchio. Il riflesso di una ragazza che sembrava più grande di quello che si sentiva, con gli occhi che tradivano stanchezza e dubbi. Era strano come, nonostante avesse cercato di seppellire quelle sensazioni, il peso dell'incertezza continuasse a gravare su di lei. Forse, più che paura, era una forma di frustrazione: una frustrazione per non riuscire a capire cosa stava accadendo tra lei e lui.

E se fosse troppo tardi per capirlo?

Il caffè era pronto, ma Silvia non aveva voglia di berlo. Invece si sedette alla finestra, guardando fuori. Il cielo grigio sembrava riflettere il suo stato d'animo. C'era qualcosa di inevitabile, come se tutto stesse accadendo per una ragione che lei non riusciva a comprendere.

Silvia stava seduta al tavolo della cucina, lo sguardo fisso sulla tazza di caffè che ormai si era raffreddata. Le mani, tremanti, cercavano di stringere il manico della tazza, ma la mente era lontana. Il suono dei gemelli che correvano nel soggiorno si faceva sempre più insistente. Non riusciva a concentrarsi, e ogni tanto si alzava per calmare i bambini, cercando di fare quello che sua madre non riusciva più a fare.

La porta della cucina si aprì, e sua madre, come al solito, entrò senza bussare. Aveva il viso stanco e la voce bassa, quasi rassegnata. Silvia non si girò subito; continuava a fissare la tazza, sperando che fosse solo un altro giorno come tanti, uno di quelli in cui riusciva a non pensarci troppo.

«Silvia...» la chiamò sua madre, appoggiandosi allo stipite della porta. La sua voce non nascondeva più preoccupazione, ma delusione. «C'è qualcosa che non va. Lo so, lo vedo.»

Silvia sbuffò, sentendo il nodo alla gola crescere. «Mamma, non c'è niente che non vada.»

Ma la madre non la lasciò scappare. «Non fare quella faccia. So che non ti senti bene. E tu non sei mai stata così distante. Cos'è? È Sandro?»

Le parole della madre furono come un colpo al cuore. Non voleva parlarne. Non ora. Non con lei. Però la domanda aveva risvegliato tutte le sue insicurezze, e in qualche modo sapeva che sua madre l'avrebbe comunque spinta a parlare.

«Non voglio parlare di lui», disse con voce sommessa, ma ferma. «Non voglio parlarne con te.»

La madre si avvicinò di più, e stavolta il tono era più preoccupato, ma anche un po' esasperato. «Non posso ignorare che tu stia soffrendo, Silvia. Lo vedo. So quanto ti importa di quel ragazzo, ma mi sembra che ti stia facendo solo del male. E tu non meriti di soffrire così.»

Silvia alzò finalmente lo sguardo, il viso contratto dalla frustrazione. «E tu cosa ne sai?» rispose, alzandosi dalla sedia. «Cosa vuoi che faccia? Vuoi che lo lasci? Che faccia finta che non sia mai esistito?»

La madre non sembrava affatto intimorita dalle parole di Silvia. Al contrario, sembrava avere una calma rassegnata, come se avesse già affrontato quella conversazione troppe volte. «Io voglio solo che tu stia bene. E tu... tu non stai bene. Vedi solo lui, ma ti stai dimenticando di tutto il resto. Ti stai dimenticando di te stessa.»

Il cuore di Silvia cominciò a battere più forte. Le parole di sua madre risuonavano come un'accusa che non riusciva a ignorare. Si guardò intorno, come se potesse trovare una via d'uscita da quella situazione. Ma la verità era che non c'era scampo. La madre aveva ragione, ma Silvia non era pronta ad ammetterlo.

«Non capisci», disse, le lacrime che le minacciavano di scendere dagli occhi. «Non capisci cosa vuol dire essere sempre quella che deve tenere insieme tutto. Non capisci cosa significa essere l'unica ad occuparsi dei gemelli, mentre tu... tu non fai niente.»

Le parole furono un'onda che travolse entrambe. La madre la fissò in silenzio, come se quelle parole l'avessero colpita, ma anche ferita.

«Io... io non posso più fare tutto da sola, Silvia», disse la madre, la voce incrinata dalla stanchezza. «Non posso più essere la madre che non sono stata. Non posso più tenere tutto insieme.»

Silvia la guardò, e per la prima volta in tanto tempo, vide l'espressione di una donna che stava cercando di sopravvivere, esattamente come lei. Ma non riusciva a perdonarla, non ancora. «Non mi basta quello che hai fatto. Non basta.»

La tensione nell'aria era densa, e l'unica cosa che Silvia sentiva era quel vuoto che cresceva dentro di lei. Sentiva la stanchezza che non riusciva a scrollarsi di dosso, sentiva il peso dei gemelli, del padre, e di tutto il resto. E, in mezzo a tutto ciò, c'era Sandro. La persona che la faceva sentire viva, ma che allo stesso tempo la gettava nell'incertezza.

«Sai,» disse, cercando di calmarsi, «io non so più cosa voglio. Ma voglio solo che tu capisca che non è facile per me. Non lo è mai stato.»

La madre non rispose. Solo un lungo silenzio, che pesava come un macigno tra di loro. Ma le parole non riuscivano a risolvere nulla. Nessuna delle due riusciva davvero a vedere l'altra.

Silvia si avvicinò alla finestra, con la mente che rifiutava di prendere decisioni, ma il cuore che sentiva il peso della solitudine. Era tutto così confuso. Così incerto.

Silvia rimase in piedi accanto alla finestra, fissando il cielo grigio che sembrava rispecchiare il caos dentro di lei. La madre non disse più nulla, ma il silenzio che si era creato tra loro pesava come un macigno. In quel momento, ogni parola non detta sembrava più forte di quelle che avevano appena scambiato.

Il nodo alla gola di Silvia diventò insopportabile. Non riusciva più a trattenere l'incredibile rabbia che le saliva dentro, una rabbia che era cresciuta in lei negli anni, ma che oggi, in quel momento, esplose come un fiume in piena. Si voltò di scatto, guardando sua madre con occhi pieni di furia.

«Tu non capisci!» gridò, e la voce le uscì stridente, come un urlo soffocato. «Non capisci niente!»

La madre la guardò sorpreso, ma non sembrava pronta a rispondere. Il suo volto si fece ancora più triste, ma anche più rassegnato, come se avesse già anticipato quella reazione. Silvia, però, non si fermò. La rabbia che aveva trattenuto per anni esplodeva ora, senza freni.

«Io sono qui tutti i giorni, mamma!» continuò, con la voce che tremava per la forza di ciò che stava dicendo. «Sono io che mi alzo ogni mattina per i gemelli, che li sistemo, che cerco di farli ridere, di farli crescere come se fossi una madre, quando tu...» La sua voce si spezzò, ma riuscì a continuare. «Tu ti sei chiusa in te stessa! Sei diventata invisibile, e io sono sempre quella che deve fare tutto!»

Le parole le uscivano senza controllo, come se avesse finalmente trovato la forza di dirle, dopo anni di silenzio. «Tu sei quella che dovrebbe essere forte, che dovrebbe prendere le redini, che dovrebbe esserci per me, per loro. E invece sono io che continuo a fare tutto da sola, mentre tu... tu te ne stai lì, come se non ci fosse niente da fare.»

Silvia sentì un'ondata di frustrazione che quasi la soffocava. La madre, che in teoria doveva essere il suo punto di riferimento, quella figura che avrebbe dovuto dare l'esempio e la protezione, si era semplicemente fatta da parte. La rabbia le bruciava la gola e gli occhi.

«Tu non hai idea di cosa significhi essere me!» continuò, le mani strette in pugni. «Ogni giorno, mamma! Ogni giorno mi sveglio e sono io quella che deve dare tutto, che deve tenere insieme i pezzi. E tu cosa fai? Ti nascondi dietro la tua tristezza, dietro le tue scuse. Ma io non ce la faccio più!»

La madre, che era rimasta in silenzio fino a quel momento, sembrò tremare sotto il peso di quelle parole. La sua bocca si aprì per parlare, ma Silvia la fermò, alzando la mano.

«No! Non voglio sentire le tue scuse!» gridò, con un filo di voce che sembrava spezzato dalla rabbia e dalla stanchezza. «Non voglio più sentire che sei stanca, che non ce la fai. Non voglio sentire che sono io quella che deve fare tutto!»

Ci fu un lungo silenzio, durante il quale Silvia guardò la madre negli occhi, cercando di trovare una reazione, qualcosa che potesse rispondere alla sua furia. Ma sua madre abbassò lo sguardo, come se non avesse più la forza di affrontarla. Le sue mani tremavano, ma non parlava. La sua espressione era quella di una persona che aveva perso ogni speranza di poter riparare qualcosa.

Silvia sbatté le mani contro il tavolo con forza. «Lo sai cosa?» disse, il fiato corto. «Voglio andarmene. Voglio sparire per un po' da tutto questo. Non posso più essere quella che si sacrifica ogni giorno, quella che è sempre quella che tiene insieme tutto. Non ce la faccio più!»

Le parole erano come pietre lanciate contro un muro, ma dentro di sé, Silvia sentiva un peso enorme che si stava sollevando. Nonostante la frustrazione e la rabbia, c'era qualcosa di liberatorio nell'esplodere finalmente, nel dire tutto ciò che aveva trattenuto troppo a lungo. Ma nonostante ciò, non si sentiva meglio. Sentiva solo un immenso vuoto dentro.

La madre, finalmente, alzò lo sguardo, ma non sembrava arrabbiata. Solo... triste. «Mi dispiace, Silvia», disse con voce debole, il volto segnato dalla stanchezza. «Non so cosa dirti. So che non faccio abbastanza. Non so come rimediare.»

Silvia chiuse gli occhi, cercando di controllare il respiro. Le parole della madre la ferivano più di quanto avrebbe mai immaginato. Non c'era più nulla che potesse dire o fare per cambiare la realtà. Ma una parte di lei sentiva che, in qualche modo, aveva bisogno di andare avanti da sola. Non era più disposta a essere il pilastro per tutti, a sacrificarsi per una famiglia che non la vedeva mai davvero.

«Non basta», disse infine, la voce spezzata, ma senza più rabbia. Solo una stanchezza che la stava consumando. «Non basta più.»

E con quelle parole, si allontanò, lasciando la madre lì, in silenzio. Le sue parole rimbombavano ancora nell'aria, ma non c'era più nulla che Silvia potesse fare per fermare il dolore che sentiva. Sentiva di essere intrappolata in un circolo senza fine, ma non sapeva come uscirne.

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