capitolo 11
Mentre i due ragazzi si frequentavano e i loro incontri diventavano sempre più assidui, la madre di Silvia, Elena, attivò il suo istinto materno. Così come la figlia doveva partecipare a incontri mensili con la psicologa, lo stesso valeva per lei. Ne approfittò per parlarne durante una delle sue sedute. Raccontò del lavoro, dei gemelli e, infine, di Silvia. Spiegò ciò che aveva visto dal balcone quella sera e descrisse il cambiamento della figlia da quando stava con Sandro. La terapeuta cercò di tranquillizzarla, invitandola ad analizzare la situazione in modo razionale.
Alla fine dell'incontro, Elena finse di aver capito, ma la paura non l'aveva ancora abbandonata. Salutò la psicologa e si diresse verso il distretto di polizia che conosceva bene. Non era lontano: poco più di dieci minuti a piedi. Quel tragitto le permise di organizzare mentalmente un discorso logico, senza sembrare paranoica o eccessivamente apprensiva.
«Buongiorno, cerco Micolis» disse alla reception.
«Elena, cosa ci fai qui?» chiese una voce alle sue spalle.
Si voltò e vide un uomo dalla carnagione color cioccolato, con una fronte ampia e una barba scura perfettamente curata.
«Ciao, possiamo parlare?» domandò sorpresa.
«Certo, vieni alla mia scrivania.»
Si sedettero a un tavolo piuttosto che a una vera e propria scrivania. Ovunque c'erano fogli sparsi dentro cartellette beige e un mini laptop sulla destra.
«Scusa il disordine» disse lui con un sorriso imbarazzato.
Elena sorrise a sua volta. «Sono io che mi sono presentata senza preavviso.»
«È successo qualcosa?»
«Ho bisogno di un favore. Mia figlia ha iniziato a uscire con un ragazzo...»
Micolis annuì. «Elena, capisco la tua preoccupazione, ma non posso—»
«Non fraintendermi. Mi sono spiegata male.» Fece un respiro profondo. «Il ragazzo che frequenta Silvia è il figlio dell'amico di Marius.»
Il sorriso sul volto del poliziotto si spense, trasformandosi in un'espressione tesa e nervosa.
«Racconta. Dimmi del collegamento tra il tuo ex marito e questo ragazzo.»
«Ai tempi, quando Marius faceva... quello che faceva, una parte di me cercava aiuto nella moglie del suo migliore amico. Poi ho capito che in quella famiglia stava accadendo qualcosa di simile alla mia situazione. Avevo spesso notato lividi sulle mani di Giulio e inizialmente pensavo che fosse lui a comportarsi come Marius. Ma poi ho capito che era Martina a farlo.»
«Stai dicendo che Martina picchiava il marito?» chiese Micolis, sorpreso e confuso.
«Forse. Non so. Ma quello che mi preoccupa davvero è che il figlio abbia ereditato il lato peggiore del genitore. Puoi controllare la storia di questa famiglia, per favore?»
Micolis esitò. «Sai bene che, legalmente, se non ci sono denunce, potremmo non trovare nulla...»
«Lo so, ma tentare non nuoce. Ti prego, in nome della nostra amicizia.»
Il poliziotto sospirò e si mise al lavoro. Digitò il cognome "Michielini" e trovò informazioni interessanti: i due coniugi avevano divorziato due anni dopo il matrimonio, ottenendo l'affidamento congiunto del piccolo Sandro. Tuttavia, la madre se n'era andata, abbandonando di fatto il suo ruolo genitoriale.
Elena tirò un sospiro di sollievo nel sentire quelle notizie. Ringraziò Micolis e continuarono a parlare in modo più rilassato.
Nel frattempo, dall'altra parte della città, a circa mezz'ora di distanza in corriera, Silvia trascorreva la serata con Sandro. Lui l'aveva invitata a casa sua, con la scusa che il padre sarebbe stato fuori per due settimane.
«Ciao» salutò Silvia con un sorriso entrando nell'appartamento, per lei ancora sconosciuto.
«Ciao» rispose Sandro.
«Sono passata al Simply per comprare qualcosa da cucinare. Che ne dici di tagliatelle ai funghi?»
«Mi sembra perfetto» dichiarò lui, avvicinandosi.
Le cinse la vita e la baciò.
«E questo per cosa?» chiese Silvia, sorpresa.
«Avevo voglia di baciarti» ammise Sandro, guardandola intensamente.
Silvia, pazzerella e raggiante, sprizzava gioia da tutti i pori, ma l'unico segno visibile era un sorriso così grande da poter riempire l'intera casa.
Si diresse in cucina e iniziò a spadellare, mentre lui la osservava con attenzione, catturato da ogni suo minimo movimento. Quando lei prendeva una pentola, lui alzava lo sguardo seguendo il suo braccio; quando si metteva sulle punte, lui si mordeva il labbro. Trovava incredibilmente attraente quella piccola ragazza che si muoveva con disinvoltura in una cucina altrettanto minuta.
Mentre l'acqua bolliva, lui la prese in braccio, sollevandola delicatamente dall'incavo tra le ascelle e le braccia, e la posizionò sul tavolo vicino a loro. Si mise tra le sue gambe e la baciò con trasporto, intrecciando le dita nei suoi capelli e stringendole i fianchi. L'atmosfera si scaldò più dell'acqua nella pentola e i loro respiri affannati sovrastarono persino la musica che Sandro aveva messo di sottofondo.
Silvia si staccò piano, imbarazzata, mentre lui non riusciva a togliersi quel sorrisetto beffardo dal volto. La cena fu servita e i due giovani si misero a tavola, avvolti da un imbarazzo sottile e da una tensione palpabile che nemmeno la televisione accesa riusciva a dissolvere. Mangiarono tra sorrisi timidi e sguardi furtivi. Terminato il pasto, Silvia sparecchiò mentre Sandro si ritirò in bagno.
Il cuore della ragazza batteva all'impazzata. Sentiva che quella sera sarebbe successo qualcosa, anche se non sapeva esattamente cosa. Voleva solo che fosse qualcosa di positivo. Ma la vita aveva in serbo altri piani. Sul tavolo, il telefono di Sandro vibrò improvvisamente. Una notifica. Il messaggio proveniva da Sofia. Quella Sofia. Diceva: "Ti voglio qui."
Silvia sentì il mondo crollarle addosso. Indietreggiò di qualche passo, sconvolta. Sandro uscì dal bagno e notò subito la sua espressione. I suoi occhi seguirono la direzione dello sguardo di lei e capì all'istante.
«Hai toccato il mio telefono?»
«Hai detto che l'avresti chiusa,» rispose Silvia con la voce spezzata dalla delusione, lottando per trattenere le lacrime.
«L'ho fatto.»
«Non mi sembra, a giudicare da quel messaggio.»
«Non avevi alcun diritto di guardare il mio telefono,» ringhiò Sandro, digrignando i denti.
«Hai detto che l'avresti chiusa,» ripeté Silvia, più ferma.
«Lo farò, te lo prometto.»
Silvia si irrigidì, il corpo teso come una corda pronta a spezzarsi. Afferrò in fretta tutte le sue cose e si diresse verso l'ingresso, ma Sandro la bloccò, sollevandola di peso e appoggiandola contro il muro, il suo corpo a schermarla dalla fuga.
«Io amo te. Solo te. Lei non è niente. Se non avessi guardato il mio telefono, ora saremmo di là a goderci la nostra sorpresa.»
«La nostra sorpresa?» domandò Silvia, confusa e incuriosita.
«Vieni.»
Le prese la mano e la condusse lungo il corridoio, decorato con quadri di donne nude. Arrivarono davanti a una stanza con un letto a una piazza e mezza, un armadio sulla parete di destra e un televisore abbastanza grande.
«Siediti al centro del letto, per favore.»
Quella volta vinse la Silvia pazzerella, quella che voleva dargli un'opportunità. Si sedette e attese. Lui si posizionò di fronte a lei e fece partire una canzone di Max Pezzali, "L'universo tranne noi". La strinse in un abbraccio e iniziò a cantarle i versi della melodia, ripetendoli come un mantra.
«Ho scelto te. Guarda cosa le ho risposto.»
Prese il cellulare e le mostrò il messaggio che aveva inviato a Sofia:
Basta. Basta. Basta. Voglio concludere questa frequentazione. Ho conosciuto una persona che già amo. Scusa, ma è così. Mi dispiace non avertelo detto prima.
Silvia sentì le lacrime farsi strada nei suoi occhi, ma la sua rigidità interiore le impedì di scivolare via. Qualcosa dentro di lei gridava che c'era qualcosa di sbagliato, che un giorno lui avrebbe potuto comportarsi nello stesso modo anche con lei. Ma, nonostante tutto, la vera Silvia decise di ignorare quelle sensazioni.
Voleva lasciarsi andare. Con lui.
Voleva sentirsi amata. Amava le bollicine, amava lui e ciò che lui le faceva provare. Non le sensazioni brutte, quelle di dubbio e ansia, ma l'avventura e il senso di pericolo che aveva sempre desiderato sperimentare.
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