Capitolo 4 - ᴅᴏʙʙɪᴀᴄᴏ - parte 2
«Oh, cavolo! Non pensavo venisse il sindaco in persona», bofonchiò a disagio Diana.
Il sindaco di Dobbiaco storse la bocca e si limitò a dire: «Il suo capo, signora Fiore, mi ha illustrato le sue gesta. Spero di avere lo stesso onore».
La donna accompagnò le nuove arrivate all'interno della villa e un salotto rustico le accolse: le pareti erano composte da un numero incredibile di mattoni che variavano tra il grigio e rosso scuro, il candido soffitto era sostenuto da travi di legno grandi e spesse, mentre il pavimento, così liscio e senza rialzi, sembrava quasi una pista di pattinaggio, se solo non fosse stato beige.
«Tesoro, va' pure a vedere la casa», mormorò Diana alla figlia. «Io rimango a parlare con il sindaco».
Orchidea annuì e iniziò l'esplorazione con una certa curiosità.
La villetta era già tutta ammobiliata e disponeva di due grandi piani.
Al piano terra si trovava un ampio soggiorno in cui un camino incastrato nella parete est riscaldava l'intera stanza. Davanti a quella fonte di calore naturale giacevano un pouf arancione e due divani più scuri del pavimento. Era lì che Diana e il sindaco di Dobbiaco, Stefanie Miser, si erano messe a parlare, così Orchidea continuò la perlustrazione.
Finì in un altro salone, anch'esso con un camino ma diverso da quello appena visitato, che era più informale. Con colori più candidi, la stanza aveva due sofà del colore della neve disposti uno di fronte all'altro e un tavolino di vetro posto proprio in mezzo alle due sedute, mentre sul fondo giacevano inosservate delle scale incastonate nella pietra, che si abbinavano perfettamente con l'ambiente caratteristico della casa.
Prima di salire al primo piano, Orchidea tornò in corridoio e, percorrendolo in tutta la sua lunghezza, scoprì un'immensa cucina, collegata a una altrettanto grande sala da pranzo che disponeva di un lungo tavolo circondato da sedie grigio chiaro, posto davanti a grandi porte finestra che davano proprio sull'imponente giardino, e ne ammirò ogni angolo. Anch'essa peculiare, la stanza possedeva scaffali e mobili di diversa grandezza e lunghezza e al centro presentava un ampio piano cottura con ben otto fornelli, a differenza dei cinque di una casa normale. Nell'angolo nord, invece, costruito in una struttura piramidale di mattoni collegata al soffitto, si trovava un focolare destinato alla cottura di determinate pietanze che fungeva allo stesso tempo da sistema di riscaldamento.
Successivamente la ragazza dai lunghi capelli bianchi tornò sui suoi passi e salì al primo piano. Non era esattamente una stanza quella che si trovò davanti, ma lo sembrava: era uno spiazzo con un morbido divano davanti a una finestra ad arco, che poi terminava in un corridoio lungo e stretto. La ragazza proseguì l'esplorazione e vide tre porte in legno poste a una certa distanza l'una dall'altra. Aprì la prima e apparve una spaziosa camera che Orchidea lasciò mentalmente alla madre. Al centro della stanza c'era un immenso letto con spesse coperte blu e, quasi per sorreggerlo, ai lati si trovavano due comodini in legno scuro su cui erano adagiate delle lampade artigianali color cremisi. Oltre al pavimento, alle pareti e al soffitto, che erano simili al resto della casa, c'erano un comò e un armadio dello stesso legno scuro delle travi sopra la testa della ragazza, mentre nell'angolo a est giaceva indisturbata una stufa a legna.
Orchidea vide poi una porta, ma pensando che fosse il bagno andò oltre. Ritornò in corridoio e passò alla seconda porta, sulla quale era appesa una targhetta che rivelava a cosa era adibita la stanza: far dormire gli ospiti. Chiunque essi fossero, potevano riposare bene in un ambiente rustico ma comodo. La camera era stata ammobiliata con un grande letto vicino alla porta d'ingresso, un mezzo armadio incastrato nell'angolo ovest e una stufa a legna color cobalto. Anche lì c'era una porta – questa volta aperta – e, dando un'occhiata veloce, la ragazza il cui nome sembrava un gioco di parole capì che aveva ragione. Era il bagno.
Moriva dalla curiosità di vedere l'ultima camera, così, nel limite di quanto le sue fragili gambe le permettevano, corse subito al suo interno. Non appena aprì la porta, rimase a bocca spalancata.
A eccezione delle pareti fatte di mattoni incastrati nel muro nello stesso modo della casa, il resto era interamente in legno, compreso il pavimento. Un moderno camino giaceva sul lato est della stanza e alla sua destra c'era un mobiletto basso, sempre in legno, su cui era sistemato un televisore al plasma e diversi videoregistratori. Di fronte alla tv si trovava un imponente divano grigio scuro all'apparenza morbido.
Tuttavia, due furono le cose che fecero illuminare gli occhi di Orchidea: sulla parete nord della stanza c'erano un letto all'interno di una struttura di legno e, al suo fianco, un ripiano con un piccolo materasso che dava sulla finestra, da cui si vedevano il giardino e delle gigantesche montagne.
La ragazza dai lunghi capelli bianchi si sentì elettrizzata per la prima volta in tanti anni e un briciolo di speranza si depositò sul suo cuore come il pistillo di un tulipano, portato dal vento, si poggiò sull'albero fatato della radura incantata nel film Trilli.
Quella sensazione, però, finì presto: dei rumori provenienti dal piano di sotto la riportarono alla realtà, così raggiunse la madre e il sindaco nel soggiorno informale della sua nuova casa.
«Oh, eccoti!» esclamò Diana con un impeto che disgustò Stefanie. «Ti piace la casa?»
«Sì», sussurrò Orchidea stringendosi nelle spalle alla vista di uno strano ghigno di fastidio sul viso del sindaco.
«Stavo dicendo che la signora delle pulizie verrà ogni giorno alle undici», borbottò la donna rigida celando un certo disprezzo nella voce. «Gli indirizzi che mi ha chiesto si trovano nei fogli che le ho dato. Il resto è deducibile... Toblach è un paese piccolo. Con ciò, vi auguro una buona giornata». Senza aggiungere altro, il sindaco abbandonò il salotto e lasciò le due donne in quella casa enorme. Mentre Diana dava un'occhiata alle mille scartoffie, Orchidea fissò rapita il fuoco che era stato acceso.
«Che cosa ne pensi?» chiese la madre.
«Mi piace», ammise la ragazza dalla carnagione chiara. «È tutto così rustico e caratteristico».
D'un tratto, un colpo alla porta fece sobbalzare le due donne. «Dovrebbero essere i traslocatori. Visto che gli scatoloni sono pochi, che ne dici se li sistemo io e tu vai a fare un giro?» propose Diana.
Orchidea era d'accordo, ma disse: «Va bene, ma io prendo le valigie che abbiamo in macchina».
La madre andò ad aprire e consentì ai traslocatori di portare in casa le poche scatole che si trovavano all'interno di un piccolo camion sul vialetto. Dopodiché, conoscendo l'esigua forza fisica della figlia, la aiutò con le valigie e vide con una strana felicità la stanza che il suo fiorellino bianco aveva scelto. «Posso ordinare una scrivania. Così puoi metterti lì a studiare... Puoi metterla qui, vicino alla porta del bagno», disse Diana indicando lo spazio vuoto.
«Sarebbe perfetto», mormorò Orchidea abbassando lo sguardo. Aveva proprio bisogno di una scrivania, ma anche di una... «E mi piacerebbe avere una libreria, se fosse possibile... Solo che non saprei dove metterla», disse la ragazza pensando alla moltitudine di libri che possedeva.
«Vedrò cosa posso fare», affermò la madre cercando di escogitare qualche soluzione.
SPAZIO AUTRICE
Ciao ragazzi e ragazze!
Come state oggi?
Ecco a voi questa nuova parte di questa storia. Qui vediamo l'inizio della nuova vita (si spera) di Orchidea nella cittadina di DOBBIACO. La conoscevate?
Come lo avete trovato?
Riempitemi di commenti! Voglio sapere le vostre opinioni, purché siano espresse in modo educato.
Grazie per aver letto questo capitolo e se ti piace, non dimenticarti di mettere una ⭐.
Sono sempre ben gradite. Un bacio 🌸
Checca B🌻
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