Capitolo 3 - 𝒫𝑒𝓇 𝒪𝓇𝒸𝒽𝒾𝒹𝑒𝒶 𝒻𝒶𝓇ò 𝒹𝒾 𝓉𝓊𝓉𝓉𝑜 - Parte 1
Il giorno dopo la ragazza il cui nome era un fiore non desiderava altro che sotterrarsi, ma si accontentò delle pesanti coperte color porpora del suo letto. Era sbigottita e, ancor di più, delusa da se stessa: si stava lasciando andare e questo non era da lei. O almeno... non era da lei quando rimaneva da sola. Lasciarsi andare in quel modo? Non se lo permetteva da anni...
Con quell'atteggiamento stava sbagliando e aveva iniziato a capirlo la sera precedente, quando aveva percepito lo sconcerto e il terrore del viso olivastro di sua madre dopo aver aperto la porta della sua stanza e averla vista a terra con una mano insanguinata e il volto intriso di lacrime piene di significato.
Che razza di persona poteva considerarsi Orchidea se non faceva altro che far soffrire sua madre?
La sua dolce e graziosa mamma che era stanca di avere l'angoscia di qualsiasi cosa: sognava spesso che il suo bianco fiorellino morisse per il suo aspetto docile e scarno o per qualcosa di gran lunga peggiore. La sua stessa mente. Tutto questo non la attanagliava solo di notte, ma le occupava la testa nella maggior parte delle ore di luce. «Tesoro», chiamò Diana con voce calda, entrando nella stanza del suo fiorellino bianco.
Orchidea non rispose. Aveva paura di incrociare quello sguardo color smeraldo e di non vedere altro che insoddisfazione, perciò si nascose sotto le coperte con la speranza che la madre capisse il suo disagio, nonostante una piccola parte di lei desiderasse essere abbracciata; quando Diana Fiore le si sedette accanto, sul bordo del letto, Orchidea sentì una lacrima scorrerle sul viso. La madre, sempre con fare gentile, le chiese: «Ti fa male la mano?»
La ragazza con il nome di un fiore decise di mettersi a sedere e, sempre con gli occhi rivolti verso il basso, facendo riferimento alla perfetta fasciatura che le avvolgeva la mano, rispose: «Non molto. La tua crema è magica».
«Va bene, fiorellino. Ti ho portato un po' di brodo», affermò Diana indicando un vassoio con le gambe appoggiato sulla scrivania.
«È di pollo o di verdure?» domandò a voce bassa Orchidea.
«Di pollo. Proprio come piace a te». Alzandosi, la signora Fiore accennò un sorriso e mise davanti a sua figlia il vassoio con il piatto fumante.
«Grazie, mamma», sussurrò la ragazza con la carnagione estremamente chiara. Vedendo sua figlia fissare il piatto fumante con un'aria spenta, la madre fece un grosso sospiro e capì che doveva fare qualcosa di diverso dal solito.
Doveva trovare una soluzione, ma soprattutto non doveva permettere a sua figlia di autodistruggersi, perché era quello che lei vedeva.
Diana annuì e tornò in cucina con una brutta sensazione nel petto che le mangiucchiava il cuore.
«Mamma», bisbigliò Orchidea prima che la madre superasse la soglia della stanza.
«Sì, tesoro?»
«Puoi chiudere la tapparella? Dopo il brodo vorrei dormire un po'», mormorò la ragazza dai lunghi capelli bianchi, mescolando l'acqua al sapore di pollo con un cucchiaio d'acciaio.
«Certo, tesoro», rispose la madre soddisfacendo la sua richiesta.
«Grazie, mamma», sospirò Orchidea. «Mamma... ti voglio bene». Sentire quelle parole, quelle tre semplici parole, fece rinsavire quella parte di Diana, seppur piccola, che voleva arrendersi. La madre si avvicinò alla figlia e, dandole un tenero bacio sulla testa, le sussurrò: «Andrà tutto bene, fiorellino».
A quel punto Diana abbandonò la stanza e si sedette in cucina, anche perché in quell'appartamento non c'erano molti altri luoghi dove stare. In effetti, la casa in cui abitavano era molto piccola: oltre alla stanza di Orchidea c'erano una cucina, un piccolo bagno e una camera da letto, per un totale di quaranta metri quadri di bilocale.
Diana Fiore sospirò, appoggiandosi al bordo del lavello ancora umido, e iniziò a pensare così forte che il rumore degli ingranaggi del suo cervello era percepibile non solo a Firenze, ma addirittura a Pisa.
La città d'arte per eccellenza aveva causato alla figlia, il cui nome sembrava un gioco di parole, davvero tanto dolore e la cosa che faceva più male a Diana era il sapere di non sapere. Orchidea era sempre stata una persona riservata e quando la madre era venuta a sapere dai professori delle scuole medie che il suo tenero fiorellino bianco veniva presa di mira dai suoi compagni per una cosa così futile come il suo aspetto, aveva capito che sua figlia non le parlava come avrebbe voluto e che stava soffrendo molto. Con il tempo la situazione si era aggravata e in quel momento, nella cucina di un piccolo appartamento nel centro di Firenze, in un sabato assolato di fine settembre, qualcosa a forma di lampadina si illuminò nella testa di Diana. Prese il cellulare e compose velocemente il numero della persona che rispose dopo un solo squillo. «Diana!» esclamò con il fiato sospeso una voce anziana.
«Ida, ciao! Non volevo disturbarti di sabato, ma ti chiamo per parlarti di Orchidea», mormorò a bassa voce Diana.
«È successo qualcosa?» esortò la donna con il nome di una guerriera. «Orchidea sta bene?»
«Sì, diciamo di sì!» Fece una pausa. «Ieri sera ha avuto una specie di crollo e ha rotto lo specchio dell'armadio».
«È un buon segno», dichiarò con voce sollevata Ida dall'altro capo del telefono, lasciando sbigottita la madre del fiorellino bianco, il quale senza farsi né vedere né sentire origliava la conversazione di Diana dalla porta della sua stanza.
«Dici?» rimandò preoccupata la madre, corrugando la fronte.
«Sì», rispose la psicologa al telefono. «Ha esternato un sentimento, che in questo caso è la rabbia derivante da una tristezza repressa. Gliel'ho chiesto io oggi e sapere che l'ha fatto non può che rallegrarmi».
«Non possiamo continuare così», dichiarò Diana con voce estremamente ferma.
«Vedrai che con le medicine che le ho prescritto e con la nuova terapia che ho in mente riuscirà a migliorare», replicò Ida.
«No, mi dispiace. Quanti anni sono che Orchidea viene da te?» esortò Diana senza pretendere una risposta. «Sono sette anni e...»
«E ha fatto dei miglioramenti», la interruppe la terapeuta.
«E dei peggioramenti», ribatté la madre il cui cognome era Fiore. «Alti e bassi. È questo che ho visto. Ida, hai fatto un ottimo lavoro, non fraintendermi, ma pensò che sia questa città a farla stare male. Ha bisogno di aria nuova».
«Non lo so, Diana. Cambiare ambiente potrebbe aiutarla, ma anche peggiorare la situazione», dichiarò Ida. Proprio in quel momento, Diana si voltò e vide di sfuggita una ciocca bianca svolazzare. Accennò un sorriso timido e, capendo di essere osservata, disse: «Ida, ne parliamo più tardi. Adesso devo andare».
Orchidea, che aveva ascoltato tutta la conversazione, corse sotto le coperte color porpora non appena sua madre si voltò nella direzione della sua stanza e iniziò a pensare a quello che aveva sentito e visto. Sua madre era triste ed esausta... E poi... che cosa significava Ha bisogno di aria nuova? Era questo che la ragazza con il nome di un fiore si domandava.
Una vacanza? pensò. E poi perché sua madre parlava con Ida?
Orchidea si addormentò con mille quesiti nella testa; si svegliò solo per prendere le pastiglie che doveva assumere e si alzò dal letto il giorno dopo. Diana, invece, passò l'intero sabato pomeriggio al computer a cercare su internet qualcosa che facesse al caso suo. Doveva portare via la sua bambina.
La domenica arrivò in uno schiocco di dita, accompagnata dalle campane di Santa Maria Novella, la chiesa vicino a casa Fiore, e con sé portò una soluzione per Diana: verso le dieci, poco prima che andasse a svegliare Orchidea, ricevette una mail in risposta a uno dei tanti annunci che aveva postato su internet il giorno prima.
«Mamma, buongiorno!» disse Orchidea, che si era svegliata da sola.
«Ciao, tesoro», ricambiò con troppo entusiasmo la madre, nascondendo subito la mail che aveva visualizzato sul cellulare.
La ragazza dai lunghi capelli bianchi prese un bicchiere d'acqua e se lo portò alla bocca in silenzio, mentre la madre gongolava per la notizia ricevuta.
Nella sua testa stava già programmando tutto: avrebbe chiamato la scuola, il lavoro; sarebbero partite con la macchina, avrebbe chiamato i traslocatori e in meno di una settimana sarebbero state persone nuove in un clima più fresco. Clima. Ecco la parola che la fece sussultare. Dove sarebbero andate, le temperature erano molto più basse rispetto a quelle a cui erano abituate.
Diana guardò la figlia, che giocava con un bicchiere di vetro, e trovò subito una soluzione, proponendogliela all'istante: «Ti va di andare a fare un po' di shopping e poi mangiare al centro commerciale?»
Orchidea sobbalzò non appena le parole shopping e mangiare giunsero al suo orecchio e, mentre nella sua mente si palesavano un sacco di scuse per rifiutare l'offerta, lo sguardo entusiasta della madre fece riemergere in lei il senso di colpa che il giorno prima aveva cercato di reprimere; così accennò un mezzo sorriso e mormorò: «Va bene».
Dopo aver preso le sue pillole, Orchidea tornò nella sua stanza e indossò una gonnellina lilla con le balze e una camicetta meno bianca di lei; a quel punto tornò in cucina, dove la madre la attendeva con in dosso un giubbotto nero leggero. In macchina passarono ben trenta minuti completamente in silenzio. Eppure non era affatto un silenzio tranquillo: da parte della madre c'erano tante speranze soprattutto per la figlia, che invece cercava di non pensare al fatto che si stavano dirigendo proprio in uno di quei luoghi sempre affollati in un giorno festivo come la domenica.
Lasciarono la macchina nel parcheggio sotterraneo. Non appena scesero dall'auto, Orchidea iniziò a guardarsi intorno con l'ansia che le serrava la gola. Superarono le porte scorrevoli e una ventata d'aria condizionata, insieme a mille profumi, confuse Orchidea.
Non era abituata a vedere così tanta gente nello stesso posto ed era pronta a scommettere che tutti si sarebbero girati al passaggio di una ragazza che sembrava un cadavere e di una cicciona bionda. Entrando in un negozio di cui non vide l'insegna, Orchidea abbassò il capo e si limitò a seguire la madre finché quest'ultima non disse qualcosa.
«Ti piace questo maglione?»
«Cosa?» balbettò la ragazza con il nome di un fiore, alzando lo sguardo. Vide l'indumento nelle mani della madre e confusa chiese: «Perché guardiamo i vestiti invernali se l'autunno è iniziato da poco?»
Diana fece il broncio e replicò: «Non mi farò rovinare l'umore da te. Non oggi».
A quella frase Orchidea trasalì, ma Diana era così felice per la notizia ricevuta al mattino che nulla avrebbe potuto rovinarle l'umore. Quando le due donne uscirono dall'ennesimo negozio di vestiti pesanti era già l'una, così si diressero verso il punto ristoro del centro commerciale e, dopo aver preso due piadine con rucola, squacquerone e provola, si sedettero a uno dei tavoli al centro dell'area.
«Com'è? Buona?» esortò d'un tratto Diana.
«Mh», mugugnò Orchidea mangiando a piccoli morsi la piadina, che stava diventando fredda.
«Sono contenta», mormorò la madre con uno strano sorriso che fece venire dei dubbi alla ragazza dai lunghi capelli bianchi, che era sì depressa, ma non stupida.
«Mamma, andiamo da qualche parte?» domandò Orchidea.
«A che cosa ti riferisci?» rimandò la madre, mostrandosi perplessa.
«Beh, abbiamo comprato tanta di quella roba invernale... Non facevamo così tanto shopping da quando...» La ragazza fece una pausa e deglutì. «Da quando sono dimagrita».
La discussione fu interrotta da uno di quei commenti che Orchidea si aspettava dal momento in cui aveva messo piede nel centro commerciale e che la fece sussultare sulla sedia.
«Weio! C'è Fiore e... Oh! C'è anche quella pianta grassa di sua madre!» esclamò una voce acida proveniente dall'ugola di uno scialbo individuo. La ragazza il cui nome sembrava un gioco di parole abbassò il capo di scatto e si pietrificò sulla sedia di legno.
SPAZIO AUTRICE
Ciao ragazzi e ragazze!
Come state oggi?
Ho deciso di dividere il capitolo in due parti, perché sul cellulare leggere i capitolo di oltre 4000 parole può stancare, perciò ecco qui la parte 1.
Come lo avete trovato?
Riempitemi di commenti! Voglio sapere le vostre opinioni, purché siano espresse in modo educato.
Grazie per aver letto questa parte del capitolo 3 e se ti piace, non dimenticarti di mettere una ⭐.
Sono sempre ben gradite. Un bacio 🌸
Checca B🌻
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