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Capitolo 16 - 𝔾𝕝𝕚 𝕒𝕣𝕣𝕠𝕘𝕒𝕟𝕥𝕚 𝕖 𝕘𝕝𝕚 𝕚𝕞𝕡𝕖𝕣𝕥𝕚𝕟𝕖𝕟𝕥𝕚 - Parte 1

Era un venerdì davvero interessante: durante la pausa pranzo, le sorelle Maser si erano rappacificate e Cristoph Coser ebbe il coraggio di chiedere di uscire al fiorellino bianco, il quale accettò con una velata riluttanza visto il suo appuntamento serale con la madre del ragazzo che aveva espresso l'invito.

Orchidea Fiore, la ragazza con la carnagione estremamente chiara, era tornata lezione e nel momento in cui si appoggiò sul suo banco, le parve di sentire un borbottio di scuse da parte di Elenì, poco prima dell'arrivo del professore. Ne era felice, ma dall'altra parte aveva il timore che fosse stata soltanto obbligata. Non disse nulla, ma ci rifletté per tutto il tempo fino a quando la campanella nel corridoio non suonò più di quattro volte, confermando la fine di quel giorno di lezione.

Erano le quattro e mezza e, come promesso Cristoph Coser si mise accanto all'entrata in attesa del suo angelo.

«Ehi, Cris!» lo salutò Elisea.

«Hoy», ricambiò lui.

«Ci stai aspettando?»

«Hmmm... Sto aspettando Orchidea», disse Cristoph incapace di nascondere un sorriso entusiasta.

«Uscite?» esortò la cugina felice.

«Eccomi qua», affermò Elenì, apparendo con un balzo e prendendo a braccetto la sorella.

«Cris, ci stavi aspettando..? Noi, però, non andiamo a casa: passiamo da casa di Florian e, poi, andiamo a mangiare qualcosa al ristorante del padre con la speranza di trovarlo lì...»

«No, vado a studiare con Orchidea», rispose Cristoph dubbioso.

Come mai non è ancora uscita? si chiede tra sé e sé.

Non appena si pose quella domanda, però, i suoi occhi dello stesso blu del lago di Dobbiacco incrociarono quelli dello stesso colore del cielo del fiorellino bianco, che con lo zaino in spalla si avvicinava timoroso verso quel piccolo gruppo di amici.

«Cristoph», lo riportò coi piedi per terra la cugina Elenì. «Ho provato a chiamarlo quando sono andata in bagno prima»

«E?» incitò il giovane in ansia.

«Ha accettato la chiamata, ma non appena ho risposto... ha messo giù subito dopo...».

«Dovresti provare anche tu», dichiarò Elisea. «Ciao, Orchidea».

«Ciao», salutò a voce bassa la pallida ormai vicino.

«Ciao», mormorò Cristoph.

«Tutto bene?»

Lei annuì.

«Ti darebbe fastidio se mentre camminiamo verso lo chalet bar provassi a chiamare Florian?» chiese il giovane preoccupato.

«No... assolutamente», disse Orchidea.

Iniziarono a camminare e tanti erano i loro passi, tanti gli squilli a vuoto.

Florian non rispondeva e man mano che Cristoph riprovava, l'ansia nel suo petto di lui cresceva sempre di più.

Così la volta dopo decise di lasciargli un messaggio in segreteria. «Ehi amico. Anche oggi è una giornata in cui hai balzato scuola». Fece una finta risata. «Comunque abbiamo analizzato le poesie di D'Annunzio oggi. Gli appunti li ho sul tablet e... poi... finalmente Orchidea è venuta a mangiare con noi». Parlava con una tale complicità che pareva quasi matto. Fingeva di essere spensierato, ma non lo era. «Volevo anche informarti che la parola di oggi è apodyopsis. Deriva dal greco ed è l'atto di svetire qualcuno con la mente», inspirò e sentendo l'avviso dell'operatore di fine messaggio aggiunse velocemente con la gola secca: «Chiamami, per favore».

Orchidea ascoltò e osservò in silenzio; nonostante il suo aspetto, la sua espressione apatica, che aveva modellato per anni, era preoccupata .

«Sembra una cosa davvero seria», commentò lei.

«Lo é», mormorò lui.

«C'è qualcosa che posso fare?»

«Hai fatto caso alle luci di casa sua? Hai visto se erano accese o spente?»

«Effettivamente non ci ho fatto molto caso», balbettò Orchidea in imbarazzo. Si sentiva tremendamente un'egoista. «È mai successa una cosa del genere?»

Entrarono e si accomodarono in uno dei tavoli dello chalet bar.

«Ti piace la cioccolata al latte?»

«Sì, perché?»

«Ehi, Fred. Ci porti due cioccolate calde normali?»

«Subito, ragazzi», rispose un signore dietro il bancone.

«No», ispirò Cristoph.

«Cosa no?»

«No, non è mai successa una cosa del genere. Sono passati quasi quattro giorni ed io non so cosa fare...»

«Dici che sia... morto?»

Il giovane dai capelli ribelli fece un sorriso divertito. «Pensi sempre al peggio tu...»

«Preferisco partire prevenuta. In modo tale da non farmi troppi illusioni», ammise Orchidea facendo spallucce.

«A volte sperare è l'unica cosa che ti rende vivo».

Quella frase fece scattare qualcosa nel fiorellino bianco.

Per tutto quell'arco di tempo in cui si sentiva come morta, era perché non sperava?

«Che cosa pensi che abbia Florian?»

«Non ne ho davvero idea. Io vorrei aiutarlo, ma non so come...» disse Cristoph con un tono del tutto esasperato.

«Ecco qua ragazzi», intervenne una voce sconosciuta posando due tazze fumanti sul tavolo. «Sono bollenti. Proprio quello che ci serve con questo freddo».

«Grazie», mormorò Cristoph.

«Tu dovresti essere Orchidea Fiore».

«Sì, signore. Piacere», bisbigliò lei in imbarazzo.

«Chiamami pure Fred, ragazza».

«Fred è il titolare del bar», spiegò il giovane.

«Sono felice di vedervi insieme. Cristoph parlava sempre di te quando veniva qui con i suoi amici».

«Fred», borbottò il bruno dagli occhi chiari.

«È sempre stato uno che stava sulle sue. Si risparmiava e... sai come si dice dalle nostre parti?»

Il fiorellino bianco scosse la testa.

«Chi sparagna, la gata magna».

«Che cosa significa?» domandò lei.

«Significa Chi risparmia è prudente», replicò il giovane seccato da tutta quella confidenza che Fred, il proprietario dello Chalet Bar, si era preso con la sua creatura divina.

«E Cristoph, si é risparmiato per te», aggiunse l'adulto.

«Ti stanno chiamando altri clienti», mugugnò Cristoph indicando il bancone del bar.

«Va bene. Va bene. Arrivo subito! Buon... divertimento», ridacchiò il proprietario.

Si allontanò e tornò al lavoro.

«Scusa non so cosa gli sia preso», farfugliò Christophe evitando lo sguardo del suo angelo. «Mettiamoci a studiare... Dai... », esortò.

Entrambi i giovani tirarono fuori il tablet, che avevano nello zaino, e per quanto Orchidea volesse parlare di altro iniziare una studiare iniziarono a studiare.

«Che cos'è che trovi difficile?»

«Non so... Ho paura di non riuscire a salvare i compiti e di non riuscire a inviarglieli. Ho il terrore...»

«Respira», disse Cristoph con voce calda.

«Scusa».

Il ragazzo sorrise. «Perché hai così tanta paura di non mandare i compiti? Se avessi dei problemi, loro capirebbero».

«È che...» lo interruppe il fiorellino bianco. «Andare a scuola... fare i compiti... sono le uniche cose che so fare bene».

«Non ci credo».

Orchidea scosse la testa coprendosi il viso con i suoi lunghi capelli bianchi.

«Orchidea», la chiamò lui, ma lei non si mosse. «Io non credo che tu sia brava solo a scuola».

«Ci sono molte cose che... non sai di me», bisbigliò la ragazza.

«Se me lo permetti, vorrei conoscere queste cose».

«Perché?»

«Perché, cosa?» Fece una risata Cristoph.

«Perché mi chiedi sempre il permesso di fare qualcosa?»

«Hmmmm», ridacchiò lui distogliendo lo sguardo. «Ma che gente frequentavi?»

«Ti stupisci, perché mi stupisco?»

«Boh... sì», rise il giovane.

Orchidea venne contagiata così tanto da quell'allegria che il tenero e un po' spavaldo emanava che non si accorse di essere a metà della sua cioccolata.

Che cosa aveva quel ragazzo? Che potere aveva per farla mangiare senza fatica? E, soprattutto, senza accorgersene...

La risposta era piuttosto intrinseca e nascosta: non era lui ad avere qualche potere; era lei che stava affrontando le cose come si presentavano, senza nascondersi. Imparava tante cose nuove e ne riscopriva delle vecchie. Proprio come mangiare in compagnia.

Orchidea stava apprendendo davvero tanto da Cristoph e quel gruppo di amici e per la prima e vera volta dal suo arrivo a Dobbiaco stava apprezzando qualcosa che non fosse inanimato.

«Scusate», proferì una vocina esterna. Il fiorellino bianco alzò il capo e Cristoph si voltò.

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