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Capitolo 14 - ɪʟ ᴄᴀʟᴇɴᴅᴀʀɪᴏ ᴅᴇʟʟ'ᴀᴠᴠᴇɴᴛᴏ - parte 2

La docile ragazza si voltò e vide la piccola Maser, che giocava con le mani e gli occhi gonfi.

«Elisea», sussurrò Orchidea.

«Ciao», salutò Ida.

«Possiamo parlare?» chiese Elisea a disagio

«È successo qualcosa?» balbettò la pallida.

«Hai ragione. È meglio che io vada via...» borbottò la paffuta Maser, scuotendo la testa e voltandosi.

«No, aspetta... vado ad aiutare Diana, così voi potete parlare... o meglio... vieni a pranzo... che cosa ne pensi, Orchidea?» intervenne Ida.

Lo sguardo perduto e triste di Elisea la fece annuire: conosceva bene quella sensazione. «Certo non penso ci sia un problema per la mamma».

«Ma... davvero devo andare a casa e...»

«Insisto!» esclamò Orchidea, facendo un passo in avanti.

Tornarono a casa Fiore nell'esatto momento in cui il campanello del forno fece il suo ultimo trillo; Diana aveva preparato delle cotolette e quando vide l'ospite inatteso fece un grosso sorriso. «Elisea cara, ciao».

«Mamma, può rimanere a pranzo?» domandò il fiorellino bianco.

«Assolutamente sì», esclamò la madre entusiasta, scambiandosi un paio di sguardi con Ida.

Si sedettero a tavola e non appena il piatto le fu messo davanti, la pallida ragazza smise di ascoltare la conversazione avviata.

Doveva mangiare. Doveva mangiare. Continuava a ripeterselo, eppure le sue braccia non volevano muoversi, la sua mano non voleva prendere la forchetta e la sua gola non ne voleva sapere di bagnarsi con la saliva.

«Sì, il medico mi ha suggerito di stare in mezzo alla natura e così ne ho approfittato per chiamarti e di venire qui qualche giorno», disse la voce di Ida.

«Puoi rimanere tutto il tempo che ti serve», affermò Diana.

Fu la parola medico a risvegliare la piccola ragazza con la carnagione estremamente chiara. «Come?» balbettò la pallida. «Perché?»

La donna anziana abbassò lo sguardo. «Circa due settimane fa ho avuto un infarto... sono stata dimessa qualche giorno fa».

«E adesso stai bene?» esortò la docile albina.

«Sto meglio», ammise Ida arricciando le labbra. «Non mangi?»

«Ci provo?» sussurrò Orchidea a disagio.

Tutti avevano già finito, ma il suo piatto era ancora pieno. Elisea lo notò e, cercando di accantonare l'imbarazzo di essere un'estranea a quella tavolata, prese parola. «Diana, avresti delle patatine al formaggio? Possiamo mangiarle nella tua stanza mentre parliamo», esordì la ragazza paffuta nei confronti del fiorellino bianco.

«Certo, è un'ottima idea», concordò la madre speranzosa.

«Perché? Vuoi rimanere?» incespicò Orchidea.

«Sì», rispose la piccola Maser, mettendosi in piedi.

La giovane pallida si sentiva disorientata. Da una parte voleva capire il perché nel bosco Elisea avesse gli occhi gonfi, ma dall'altra non sapeva come comportarsi. Incapace di reagire in alcun modo, il fiorellino Bianco annuì e portò Elisea nella sua stanza sotto gli sguardi speranzosi di sua madre e della sua ex psicologa, le quali non appena le due giovani sparirono dal loro campo visivo e uditivo, iniziarono a parlare.

«È dimagrita ancora», mormorò tristemente Ida.

«Sì... Katrin, la nuova psicologa, mi ha inviato una mail: dice che sta facendo dei progressi. Riesce a relazionarsi un po' di più, ma il peso la preoccupa», rispose Diana.

«A quanto è arrivata?»

«Quaranta chili».

«Quaranta?! Ha praticamente perso tutto ciò che aveva guadagnato durante l'estate. Devi farla mangiare di più».

«Lo so», sussurrò la madre a capo chino.

«E con il tuo lavoro?»

Le due donne iniziano a parlare, ciononostante quello di cui discutevano al piano superiore, era senza dubbio più interessante.

Orchidea aveva appena chiuso la porta ed Elisea si era seduta sul divano, quando un silenzio imbarazzante invase l'intera stanza. C'era molto da dire, soprattutto da parte della piccola Maser, eppure tra le due ragazze aleggiava del disagio.

Nonostante le parole scambiate la scorsa volta, per il fiorellino bianco non c'era ancora tutta quella confidenza per iniziare una conversazione di sua spontanea volontà.

«Che cosa c'è?» esortò Elisea, notando il malessere della giovane pallida.

«Non so come...»

«Cosa come?»

«Come funzionano queste cose dell'amicizia», inspirò Orchidea.

«Stai pensando a questo?» chiese la piccola Maser accennando un sorriso.

«Come mi devo comportare», borbottò la pallida. «E poi noi ci possiamo considerare amiche

«Magari il nostro rapporto non è iniziato nel migliore dei modi... dopo che ti ho visto con Nicole quel giorno, pensavo che fossi come lei e, poi, ti vidi uscire da casa di mia zia. Nessun essere così superficiale ammetterebbe di aver bisogno di uno psicologo, perciò mi sono ricreduta su di te...» fece una pausa e sorrise. «Non avrei mai detto quelle cose venerdì se non ti considerassi più di una conoscente... spero in un rapporto di amicizia...è un problema che io sia gay?» schernì Elisea.

«È un problema che io sia Albina?»

«No, assolutamente no».

«Nemmeno per me... intendo che tu sia lesbica».

«Sai che non appena ti ho vista, ho fatto delle ricerche? Non avevo mai visto nessuno di così pallido».

«Ma come... qui non c'è nessuno con una tonalità più scura dell' Olivastro», bofonchiò il fiorellino bianco.

«Ti piace essere un albina?»

«No, non tanto. Le persone non ti guardano con un buon occhio, se sei più bianca di un cadavere».

«A mio cugino piaci», disse Elisea senza pensare minimamente che quella frase avrebbe potuto colpire in qualche modo la giovane pallida.

Così fece: per qualche secondo, le sue guance presero il colorito di una perla rosa.

«Pensavamo fosse anche lui dell'altra sponda, ma poi sei arrivata tu»

«Comunque non mi piaccio, non mi sono mai piaciuta e mai mi piacerò», cercò di fare la dura la ragazza con la carnagione estremamente chiara.

«Hai mai pensato di fare qualche cosa invece di lamentarti soltanto?»

Orchidea rimase in silenzio qualche secondo: in effetti aveva provato a fare qualcosa e quel qualcosa era non mangiare più fino a diventare anoressica e non riuscire più a mettere su peso.

«Facciamo così: ho delle tinte per ciglia e sopracciglia nella borsa. Le avevo comprate per nonna qualche giorno fa, ma se sei d'accordo vorrei darle a te», dichiarò Elisea.

«Io non saprei», balbettò la docile candida. L'offerta era allettante, anche perché avrebbe dato un tocco di colore al suo volto pallido. Tuttavia si sentiva timorosa; non aveva mai sentito nulla in merito a delle tinte per ciglia o sopracciglia.

«Se non ti va, nessuno ti costringe».

«No...» espirò d'un fiato il fiorellino bianco. «È solo... che io non saprei come fare... quanto ti dovrei dare per...»

Un'altra caratteristica interessante sulla giovane Orchidea Fiore era che si sentiva sempre e dovunque in debito con le persone; era una sensazione la cui poteva essere desunta dalla sua estrema educazione, dove diceva continuamente «scusa».

Sì, lei tendeva a scusarsi per ogni cosa: per aver calpestato l'erba del giardino, per respirare o persino per essere nata.

Tuttavia questa sua abitudine non era la causa di questo sentore.

«Non mi devi niente», affermò la piccola Maser. «Consideralo un regalo di benvenuto/perdono, visto che ti ho trattato male la prima volta, che ci siamo incrociate».

«Che cosa devo fare?»

«Mettiti sulla sedia della scrivania. Io penso al resto».

Con un timore più grande del suo corpo, il fiorellino bianco fece come richiesto e Elisea si mise al lavoro con allegria. «Chiudi gli occhi e cerca di rimanere ferma, per favore».

«Va bene».

«Ho parlato con mia sorella. Mi ha raccontato di quello che ti ha detto al bar venerdì scorso...»

«Non mi va di parlarne», farfugliò Orchidea. «Non penso di piacerle. È stata chiara».

«È un po' più complicato da raccontare», borbottò la piccola Maser.

«Ovvero? Cristoph mi ha accennato che si comporta in quel modo perché ti vuole proteggere».

«Mia sorella, come si è comportata con te la prima volta che vi siete viste?» esortò Elisea.

«Era gentile e molto pimpante».

«Perché era nella sua fase buona».

«Fase buona? Cosa significa?»

«Elenì è bipolare. Le è stato diagnosticato quando aveva solo quattro anni. Lei non riesce a controllare le sue emozioni e tende ad esagerare per tutte le medicine che prende: ce ne sono alcune per la prima metà del mese, altre per la seconda e altre ancora che deve prendere sempre», spiegò l'ospite. «Hai mai sentito parlare di bipolarismo ?»

«Sì», sospirò Orchidea. «Pensavano che io avessi lo stesso disturbo, ma ho solo degli sbalzi...» si interrompe d'un tratto.

Perché sto dicendo queste cose? chiese tra sé e sé il fiorellino bianco.

«Non corrugare le sopracciglia», disse la paffuta ragazza con i capelli castani.

«Scusa...»

«Non ti preoccupare».

«Come sta venendo?»

«Molto bene».

«Comunque per Elenì non so se dire Mi dispiace... perché è una cosa con cui si deve vivere e basta, mentre tu come stai oggi? Prima ho visto che avevi gli occhi gonfi».

«Oh, l'hai notato», sussurrò Elisea.

«Stai bene?»

Lei scosse il capo. «Hai mai avuto l'impressione di cadere anche se avevi entrambi i piedi per terra?» Orchidea si sentì strana: era come se una mano, quella di Elisea, le entrasse nel petto e le prendesse il cuore in mano.

«Praticamente tutti i giorni».

La piccola Maser accennò un sorriso. «Io non so mai cosa fare; guardo le altre ragazze della mia età e mi domando sempre il perché io abbia tutti questi problemi».

«Sai... in tutti i miei diciassette anni di vita ho capito e studiato molte cose: un problema è considerato tale solo se noi lo consideriamo così»

«Sembri quasi Cristoph», ridacchiò Elisea. «Quando, ma soprattutto dove, hai trovato il tempo di leggere tutti quei libri?»

«Hai cambiato discorso», commentò il fiorellino bianco.

«Non sei costretta a sorbirti tutte le mie cose», borbottò la paffuta ragazza. «Cerca di non muoverti con gli occhi».

«Non mi muovo, ma secondo i miei studi e visto che mi hai detto che mi consideri quasi un'amica... proprio dalla radice della parola amica...»

«Che cosa stai dicendo?» sogghignò Elisea.

«Stavo cercando un modo lungo per dirti che le amiche servono proprio quando il peso del mondo è insostenibile e i tuoi occhi gonfi di prima me l'hanno fatto capire».

Orchidea aveva gli occhi chiusi: per quel motivo si sentiva confidente nel parlare liberamente, proprio perché non poteva osservare la reazione degli altri.

«Vuoi davvero ascoltare la storia della mia vita?»

«Hai praticamente le mani nei miei occhi. Non posso muovermi, perciò mi sembra una giusta alternativa al silenzio imbarazzante...»

«Sembri una persona davvero intelligente, perché non parli mai quando sei in compagnia?» chiese Elisea.

«Ho sempre il timore di dire qualcosa di sbagliato».

«Ci intendiamo anche su questo»

«Che cosa intendi?»

«Non muoverti, per favore», ripeté l'estetista improvvisata. «Intendo che ti capisco. Sembra che ogni cosa che io dica sia sbagliata. Elenì mi ha detto che sei brava a scuola. Io nemmeno quello... se porto a casa un sei, sono fortunata».

«I voti a scuola non determinano il tuo essere», commentò il fiorellino bianco.

«Vorrei tanto che fosse così... mio padre non la pensa come te».

«Non avevi detto che la tua famiglia, che tuo padre vi aveva abbandonato?»

«Sì, ma qualche volta... circa una domenica al mese, si fa sentire per ricordarci quanto lui sia felice di averci lasciate, perché siamo una delusione totale»

«E oggi fa parte di quella famosa domenica?»

«Sì, mamma è andata con Elenì da zia Katrin... questa volta ha esagerato mio padre...»

«Posso chiedere che cosa ha fatto?»

«Ha chiesto la rinuncia di tutti noi al nostro cognome. Dice che si vergogna troppo ad essere associato a una lesbica, una bipolare e a una grassona».

«Mi dispiace», sussurrò Orchidea.

«Oh, ci sono abituata».

«Anche se ci si è abituati, non vuol dire che non faccia male».

«Hai ragione pure tu».

«Quando è successo?»

«Mio padre è medico famoso di Trento... Quindi mia madre non aveva bisogno di lavorare: si occupava di noi. Quattro anni fa i miei fecero una litigata, così io e mia sorella ci chiudemmo nella nostra stanza per non sentirli... dopo quella sera cadde in depressione, oltre alla miseria di essere rimasti senza soldi e mio padre non si fece vivo fino a qualche mese fa... il motivo della loro separazione non l'ho mai saputo... anche se mamma dice che si era stancata del lavoro che lo teneva lontano dalla famiglia, io non le credo».

«Pensi che sia perché sei gay?» esortò il fiorellino bianco.

«Forse... ma in qualunque caso, sono semplicemente stanca di persone che mi dicono chi dovrei essere» mormorò Elisea. «Ho quasi finito».

«Va bene».

Quella storia fece riflettere Orchidea: a quanto pare non era l'unica a soffrire. «Anche io non ho mio padre», disse di un tratto.

«Allora abbiamo un'altra cosa in comune», commentò Elisea sorridendo. «Ho finito», aggiunse pulendo il viso del fiorellino bianco.

Si era trasformato in un tempo davvero strano: nessuna delle due aveva mai passato un pomeriggio con un'amica. Elisea era sempre con sua sorella, mentre Orchidea... Beh, Orchidea non aveva amici. Erano state dette tante cose e nonostante tutto il fiorellino bianco non si aspettava di sentirsi in quel modo... quasi... bene.

Era, dunque, quella l'amicizia? Era dirsi cose sul passato? Era discutere e trovare delle soluzioni insieme? Era farsi belle e raccontare storie l'una sull'altra?

La ragazza con la carnagione estremamente chiara aveva la testa piena di quesiti e mentre si specchiava ammirando il suo nuovo e velato aspetto costituito dalla annerimento delle ciglia e sopracciglia non fece a meno di sorridere.

Le piaceva la casellina, il cioccolato di quel giorno.

Spazio autrice

Ciao ragazzi.

Che cosa ne pensate del capitolo 14 in totale?

Siete ancora dell'idea di voler avere più parti spezzate? o volete tutti i capitolo insieme?

Alla fine di questo capitolo vediamo l'inizio di una vera e propria amicizia, che per Orchidea sarà la prima in assoluto. Cosa ne pensate di Elisea? Quali sono le vostre opinioni?

Se vi è piaciuto commentate e mettete una stellina. Mi farebbe davvero tanto piacere.

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