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Capitolo 10: 𝓢𝓮𝓻𝓮𝓷𝓭𝓲𝓹𝓲𝓽𝔂 - Parte 1

Dopo una lunga doccia, Orchidea si mise a letto e dormì finché un colpo leggero alla porta, in quel pomeriggio inoltrato di fine ottobre, non la svegliò.

Sua madre entrò nella stanza con un vassoio di legno in mano e un sorriso così grande che avrebbe potuto riempire l'intera abitazione.

«Amore, devi svegliarti e fare un buono e sostanzioso pasto», affermò la donna con il suo solito entusiasmo.

«Va bene, mamma. Grazie», borbottò la ragazza con la neve sulla pelle. Si alzò, avvertendo un terribile capogiro invaderle la testa, e si mise a gambe incrociate sul ripiano vicino alla finestra, dove la madre la raggiunse e si sedette accanto a lei.

«Ti ho fatto dell'arrosto caldo», mormorò Diana.

«Grazie».

«Come ti senti?» domandò timorosa.

«Bene. Un po' stanca, ma sto bene», rispose il fiorellino bianco.

«È perché non mangi da due giorni», l'ammonì la donna che l'aveva messa al mondo.

Osservando tutta quell'apprensione e quell'attenzione, tenendo anche conto quella notte passata senza di lei, Orchidea si rallegrò a tal punto da lacrimare. «Mi sei mancata davvero tanto, mamma», dichiarò lei.

«Oh, tesoro... Anche tu. Non è successo niente, vero?»

«No, mamma», rise la ragazza pallida.

«Me lo diresti nel caso?»

«Certo mamma» fece una pausa. «In realtà ...una cosa è successa... più una curiosità, a dire il vero... perché mi hai chiamato Orchidea?»

Diana distolse lo sguardo. «Pensavo che non me lo avresti mai chiesto...» Accennò un sorriso. «Ero davvero in dubbio quel giorno... l'ospedale mi aveva imposto di metterti il mio cognome dopo aver...  ricevuto la notizia di tuo padre. Ero combattuta e triste». Fece una pausa e si asciugò una lacrima che era a metà del suo percorso. «Nessuno era con me ed ero distrutta... avrei dovuto chiamarti Elisabetta, che era il nome che avevamo pensato io e tuo padre, quando una delle infermiere entrò con i suoi effetti personali... tuo padre mi stava portando delle orchidee... fu lì che decisi di chiamarti Orchidea».

«Mamma, non lo sapevo», sospirò sentendosi in colpa. L'aveva sempre odiata per averle messo quel nome, ma in quel momento tutto le sembrò irrilevante.

Le parole di Cristoph le tornarono subito in testa: «Sono dell'idea che tutto ha un significato e...» Ebbene sì, il suo nome non era solo un gioco di parole involontario, bensì qualcosa di meglio: il simbolo dell'amore di un padre.

«Raccontami», esortò il fiorellino bianco.

«Non voglio annoiarti».

«Voglio sentire, per favore», sospirò la ragazza. «Voglio sapere qualcosa di più su papà».

«Lui era incredibile... ci siamo conosciuti all'università: studiava management aziendale ed io scienze dell'educazione», sorrise Diana. «Era molto timido, perciò feci io il primo passo».

«E?»

«Ci siamo innamorati e a laurea presa, abbiamo deciso di sposarci».

«Chi fece la proposta?» esortò Orchidea curiosa, portandosi alla bocca un pezzo di arrosto, ormai freddo.

«Nonostante fosse lui il più grande tra di noi, fu io a farla: eravamo in cima al campanile di Giotto». Diana continuava a sorridere: la sua mente vagava in un fiume di ricordi che le riempivano il cuore di felicità e al tempo stesso di malinconia.

«Non lo sapevo», sussurrò il fiorellino bianco. «Perché non me l'hai mai detto prima?»

«Non pensavo ci fosse ragione per farlo».

«Ti manca, mamma?»

«Se dicessi di no, mentirei», sospirò Diana a capo chino.

«Mi dispiace».

«Di cosa, bambina mia?»

«Che non sia più qui», bisbigliò la docile ragazza.

«Gli assomigli molto e questo non potrebbe farmi più felice».

«Se ci fosse lui qui al posto...»

«No», gridò subito la madre, alzandosi in piedi. «Orchidea Fiore, non ti azzardare mai più a dire una cosa del genere. Mai più». Era furibonda e si vedeva dal modo in cui i suoi occhi smeraldo cercavano di uscire dalle orbite. «Tu sei mia figlia e sei la mia unica ragione di vita... tuo padre è morto e non ci possiamo fare più niente, perché fa parte del passato. È successo e una cosa del genere non si può cambiare. Ciò che si può fare è correggere il modo con cui si affronta il presente». Aveva il fiatone. Prese un grosso respiro e, tornata un po' più calma, si sedette di nuovo vicino alla figlia. «Bambina mia, smettila di accusarti per una cosa che non hai deciso. Tuo padre non è morto per colpa tua».

«Come... lo... sai...?»

«Oh, tesoro... perché non ti ficchi in quella testolina che ti voglio un bene dell'anima? Io mi preoccupo sempre di te e tuo padre mi avrebbe perseguitato se non lo avessi fatto... e se non lo facessi tutt'ora», ridacchiò Diana dando una gomitata affettuosa.

Orchidea sorrise. Era bello sentire quelle parole, ma dall'altra parte c'era il senso di colpa, che la divorava. Perché faceva soffrire così la madre?

Non lo voleva, eppure nonostante gli sforzi, non era in grado di procurarle nient'altro. Lei era nociva.

Proprio come se avesse avuto una sorta di potere mentale, la madre del fiorellino bianco disse: «Perché non ci parliamo più, Orchidea?»

La figlia rispose facendo spallucce.

«Ti ricordi quando ti venivo a prendere alle elementari?»

«Sì, prendevamo un gelato e, invece, di andare a giocare con gli altri, rimanevo seduta con te sulla panchina».

«Sì, e mi raccontavi quello che avevi fatto durante il giorno e i tuoi piccoli occhi si illuminavano così tanto che sembravano dei piccoli fuochi d'artificio»

Entrambe risero per qualche secondo. Orchidea fu la prima a cambiare espressione.

«Mi dispiace non essere più quella persona»

«Bambina mia... Tu sei ancora quella persona. Hai solo smarrito il sentiero», affermò la madre.

«E se non lo trovassi mai?»

«Sarò sempre al tuo fianco. Ovunque tu sarai. Sempre»

Diana Fiore sentì crescere dentro di lei una radice di speranza: Orchidea si era limitata a esprimere la propria paura, ma fu particolarmente quell'angoscia a renderla felice.

La sua bambina si stava iniziando ad aprire?

Approfittando di quel clima così caldo e tenero, le donne Fiore iniziarono a parlare: l'adulta descrisse l'enormità del suo lavoro e l'adolescente ascoltava con attenzione, facendo qualche risata sincera per le esagerazioni della madre. Muoveva le mani in aria e la sua voce faceva degli acuti così forti che avrebbero potuto sentirla in centro, ma al fiorellino bianco non sembrò importare, perché per una – anzi per la prima – volta da tanto stava parlando con la sua mamma e il suo cuore si sentiva più leggero.

Poi, però, toccò a lei prendere parola...

Spazio autrice

Ciao ragazzi e ragazze!

Come state oggi?

Grazie per aver letto questo capitolo e se ti piace, non dimenticarti di mettere una ⭐. A presto per la parte successiva. Come sapete cerco di aggiornare sempre il prima possibile, cercando di non sforare con la cadenza settimanale, perciò vi ringrazio davvero tanto per l'attesa e l'entusiasmo che state mettendo in questa storia. Mi fate veramente felice.

Sono sempre ben gradite. Un bacio 🌸

Checca B🌻

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