Capitolo 5
Lui era proprio lì, davanti a me.
I miei occhi erano fissi sui suoi, mi sorrideva.
Aveva un sorriso indescrivibile, così dolce e genuino da illuminare quella classe buia colma di anime perse, che si stavano risvegliando in quel momento.
Non smisi di guardarlo nemmeno per un secondo temendo che fosse tutto frutto della mia mente contorta, che, in quei giorni, non faceva altro che pensare a quel misterioso ragazzo alla fermata del pullman.
Nessuno rimase immune al suo fascino, persino gli altri ragazzi lo guardavano con ammirazione.
"Allora Dallas, può accomodarsi accanto alla signorina Grier." Il professore riportò tutti con i piedi per terra e le voci di sottofondo cominciarono di nuovo a crescere.
Solamente quando vidi Cameron avvicinarsi riuscii davvero a capire che non era un sogno.
Era la solita brutta realtà.
Si sedette accanto a me, al secondo banco della fila di sinistra, dove mi sedevo ormai ogni anno nonostante il cambiamento annuale delle classi.
"Hei." Disse una volta finito di sistemare i suoi libri.
Non risposi, non riuscivo a parlare in quel momento, sentivo soltanto il battere del mio cuore che accelerava al suono della sua voce.
"Beh? Non hai intenzione di presentarti?" Domandò sorridendo.
"Ashley Grier." Sussurrai abbassando lo sguardo.
"Sappi che non ti lascerò stare sola anche oggi." Disse con un filo di voce per poi voltarsi per seguire la lezione.
Le sue parole suonavano strane.
Perché voleva 'aiutarmi'? Io stavo bene, molto bene. Nonostante la mancanza di mio fratello avevo creato la mia bolla dove potevo stare bene da sola.
Insomma, stare da soli è bello.
È bello leggere da soli in una biblioteca.
Fa bene ascoltare musica da soli.
È bello stare a casa da soli a guardare un film strappalacrime in una domenica di pioggia.
Quando si sta soli poi, si riesce a pensare sempre più chiaramente.
Ma, 'essere soli' è una storia completamente diversa.
Sei solo quando ti senti come se non ci fosse nessuno al tuo fianco, non sei emotivamente vicino a nessuno, quando ti senti come se tutte le tue paranoie ti stessero mangiando vivo e non hai nessuno con cui confidarti.
In alcuni momenti la solitudine ti soffoca fino a quando non ti lascia respirare più, e quando vorrai urlare al mondo i tuoi problemi, nessuno ti vorrà più sentire.
È bello stare da soli, ma essere soli, è la cosa peggiore che possa capitare nella vita di qualcuno.
Il suono della campanella mi riportò alla realtà.
Erano davvero passate 4 ore?
Mi girai verso la porta e notai tutti i miei compagni di classe spingersi a vicenda per poter uscire, il solito.
Cominciai a sistemare la mia roba nello zaino mettendolo poi lo sulle spalle ed incamminandomi verso l'uscita ormai libera.
Le vecchie abitudini non mi abbandonavano mai.
Misi le cuffiette nelle orecchie guardandomi attorno, la piazza era bluricante di ragazzi che parlavano e ridevano tra di loro. Solite amicizie scolastiche.
"Ecco la bella addormentata!" Mi urlò Cameron nell'orecchio.
Sbuffai mettendo in pausa la canzone.
"Hai bisogno di qualcosa?" Chiesi con tono brusco nonostante cercassi di non essere acida.
"Volevo solo parlare con te e accompagnarti a casa." Propose sorridendo.
"Oggi proprio non mi va, facciamo un'altra volta." Risposi guardandolo.
Quando i nostri sguardi si incotrarono mi resi conto di quanto apparisse incoerente il mio comportamento nei suoi confronti.
Volevo parlarci.
In qualche modo mi sentivo attratta da lui, non c'era un vero motivo, ma avrei voluto scoprirlo, scoprire chi era lui di così speciale da farmi sentire più idiota di quanto mi sentissi normalmente.
Ma la parte razionale di me diceva che era meglio sparire e dimenticarmi di lui, del suo sorriso, del suo sguardo profondo che mi entrava dentro e non mi abbandonava per un istante.
Avevo paura di affezionarmi.
"Non ho chiesto la tua opinione, quindi si fa come dico io." Mi pizzicò la guancia destra tirandola appena, mi venne spontaneo sorridere.
"Allora signorina Grier, da dove viene? Sembrerebbe una domanda scontata ma, sai, il tuo accento e il tuo nome non si addicono a questa città." Domandò mettendo il braccio attorno alle mie spalle mentre camminavamo verso casa.
"Sono nata nel North Carolina." Alle mie parole sentii i suoi muscoli contrarsi e l'immediato cambiamento della sua espressione.
"Tutto bene?" Mi fermai preoccupata.
"Emh, si, non preoccuparti stavo pensando ad una cosa, niente di che." Disse velocemente sorridendo appena. Quello si che era un comportamento strano, ma in quel momento non gli diedi tanto peso.
Parlammo del più e del meno fino a quando non arrivammo davanti al portone di casa.
Scoprii che anche lui non era italiano, si era trasferito insieme a qualche amico per quest'anno sembrava tanto una specie di poliziotto sotto copertura.
"E i tuoi?" Mi domandò mentre cercavo di aprire la porta con le chiavi inutilmente.
"Vivo da sola." Mi limitai a dire.
Non avevo mai raccontato la verità a nessuno e di certo un ragazzo conosciuto da qualche ora non mi avrebbe fatto cambiare idea, nonstante si trattasse di Cameron.
Si avvicinò a me poggiando la mano sulla mia.
"Ti aiuto." Aprì la porta facilmente la porta al posto mio ed io arrossii per l'imbarazzo.
Figuraccia quotidiana fatta.
Lo salutai con la mano ed entrai dentro senza dire una parola, corsi per le scale verso camera mia e senza pensarci due volte chiamai Ambra.
Il telefono squillò per un tempo che sembrava l'eternità, finché la sua voce non interruppe quel suono fastidioso.
"Ash? Tutto apposto?" Chiese immediatamente, dal tono di voce era evidente la sua preoccupazione.
"Dobbiamo parlare, seriamente."
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