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Capitolo 13

"Tra i volti della gente del villaggio Larica aveva creduto di scorgere una chioma rossa, scurita dalla pioggia che cadeva lenta..."

Il lieve ticchettio della pioggia accompagnava lo scalpitio degli zoccoli dei cavalli, che pestavano agitati la fanghiglia formatasi durante la notte.

Larica teneva ben salde le redini carezzando al contempo il collo di Edna, che soffiava forte dalle narici per mostrarle il suo disagio. Anche lei si sentiva così, irrequieta e confusa, incapace di ricordare ciò che era accaduto la sera prima.

Nella sua mente si susseguivano immagine sfocate, scure e color nebbia, da cui non riusciva a trarre nulla più di qualche oggetto, parola o emozione; una mano, calda, poi fredda, il sapore del sidro di mele, il rosso borgogna del vino, un sorriso, discorsi che non riusciva ad afferrare.

Poi il dolore, la rabbia, un forte calore irradiato nel petto, un rossore le invadeva la vista mentre qualcosa di acre le risaliva in gola.

Nulla più che immagini fugaci e confuse e sensazioni svanite ormai da ore. O forse qualche residuo era rimasto in lei, perché il suo a tratti batteva forte e sentiva le mani prudere d'impazienza.

Non desiderava altro che andarsene da quel villaggio, lasciarsi alle spalle il nero di ricordi svaniti nel nulla. Temeva persino di chiedersi cosa fosse accaduto. Perché non ricordava nulla della sera prima? Cosa poteva essere successo di così grave da rimuovere i ricordi di un'intera serata? Non aveva cenato? Non era andata a dormire?

Eppure si era risvegliata nel pagliericcio scomodo di una stanza sudicia dell'ostello che ora stava abbandonando e donna Rubia sembrava del solito contrastante umore.
Non riusciva a darsi una spiegazione e più si arrovellava nel vano tentativo di un riscontro, più si scontrava nel nero oblio del vuoto e di quelle nebbiose immagini che la sua mente le rimandava.

Pioveva. Provò a concentrarsi sul suono dolce della pioggia per non impazzire. Sentiva le mani fredde, sudate, sotto i guanti di pelle che donna Rubia le aveva fatto indossare per proteggerle le mani. Tic, tic, tic, la pioggia cadeva tutto attorno, inzuppando lentamente i vestiti di chi come lei in quel momento non si stava riparando sotto a un tetto, ma incapace di lavare via le sue sgradevoli sensazioni.

Una voce che urlava risuonò improvvisa nella sua mente e si rese conto di avere chiuso gli occhi. Li riaprì. I cavalli si stavano muovendo, quella voce era il segnale che erano pronti a partire. Nonostante la pioggia re Ferdinand aveva deciso di riprendere il viaggio. Donna Rubia l'aveva svegliata all'alba e avevano consumato insieme un misero pasto prima di prepararsi.

«So che siete stanca, principessa, ma siamo solo all'inizio» le aveva ricordato la balia mentre le sistemava i capelli sotto al cappuccio scuro del mantello. Sapeva che era vero; non conosceva bene le mappe del regno, ma immaginava che per giungere a Calanthia ci sarebbero volute almeno quattro settimane. Il tempo poi non volgeva certo a loro favore.

«Vai, Edna.» Le diede un colpetto sul collo e uno lieve sui fianchi per incitarla a partire. Si accorse di essere rimasta indietro, ma le andava bene così. Non aveva alcuna intenzione di vedere il principe; si sentiva a disagio non ricordandosi cosa potesse aver fatto o detto in sua presenza.

Poteva scorgerlo appena in testa alla colonna, accanto al re e al fratello. Seguivano la scorta dei Calan, composta da un buon numero di cavalieri e dai servitori che conducevano i carri con armi e provviste.

Re Ferdinand aveva provveduto a far riempire generosamente un carro di tutto ciò che i servi erano riusciti a trovare nel villaggio e aveva rubato loro persino il poco bestiame che avevano.

Larica vedeva i loro volti, degli abitanti del villaggio, osservarli andarsene con sollievo misto a rabbia che reprimevano a stento. C'erano uomini giovani e forti, donne, bambini e anziani. Non tutti sarebbero sopravvissuti fino all'inizio della primavera senza i viveri di cui i Calan si erano appropriati. I più deboli, bambini, anziani e malati, sarebbero morti di stenti.

Distolse lo sguardo dai loro occhi inquieti, incapace di sostenere la vergogna che provava dentro per non aver potuto fare nulla per aiutarli. Erano la sua gente, eppure se ne stava andando lasciandoli morire di fame.

La pioggia velava la sua vista, bagnandole le ciglia. Tolse una mano dalle redini e afferrò il cappuccio per calarlo più in avanti a coprire tutta la fronte.

In quell'istante le parve di scorgere una figura spiccare nel mezzo della gente. Tra cenciose casacche color fango, capelli biondi e castani e occhi nocciola spuntò una macchia rosso fuoco. Strizzò gli occhi per aguzzare la vista. Capelli; erano capelli rossi, che coronavano un volto segnato da ferite non ancora del tutto rimarginate.

Un lampo di consapevolezza attraversò la mente di Larica. Strinse le redini facendo rallentare Edna fin quasi a fermarsi e si volse di più con il busto per vedere meglio. Il ragazzo si era spostato più in avanti e guardava verso la sua direzione. Non riuscì comunque a vedere molto, perché un cavallo si affiancò a lei.

«Vi siete persa, principessa?» Lo spocchioso fratello di ser Myunn, di cui non ricordava il nome. Il cappuccio abbassato fin quasi metà volto non le permise di accertarsi che fosse lui, ma dalla voce profonda e sicura immaginò che non potesse trattarsi d'altri.

«Non mi sono persa, messere, e non credo vi riguardi se decido di fermarmi un momento.»

«Oh, come volete Altezza, noi intanto andiamo. Se poi vorrete raggiungerci...»

Il suo tono arrogante le infiammò il petto. Stava per ribattere quando un volto ben più familiare comparve dall'altra parte. «Sua Altezza è rimasta indietro ad aspettarmi, non è vero?»

Larica sorrise a ser Muynn, che portava il cappuccio appena sopra alla fronte lasciando scoperto il volto allungato e le grandi orecchie a sventola. «Certamente ser, mi chiedevo dove foste.»

«Mi ero dimenticato il cavallo, Vostra Altezza.» Le sue labbra sottili si estesero in un largo sorriso. Anche Larica sorrise, contagiata almeno per un istante dal suo buonumore. Il fratello invece grugnì una risposta acida a cui nessuno dei due badò e diede di sprone al suo destriero per raggiungere la colonna che serpeggiava poco più avanti.

«Vi stava dando noia, mia signora?»

«La sua simpatia è insuperabile.» Larica gli rispose mentre si faceva ripartire Edna.
Nel contempo si guardò indietro per vedere se il ragazzo dai capelli rossi era ancora lì. Lo notò per pochi istanti, poi la sua chioma di fuoco si disperse tra la gente del villaggio, che aveva alzato i forconi in segno di disprezzo verso di loro.

Fu costretta a distogliere lo sguardo per rispondere a ser Muynn: «Chiedo venia, avete detto?»

«Dicevo, principessa, che Ciaran è conosciuto in tutta Calanthia per la sua immensa simpatia.» Sorrideva sotto al cappuccio del mantello, che inzuppandosi di pioggia gli era calato di più fino a coprire buona parte del volto.

«Siete sempre così di buonumore, ser, o vi piace la pioggia?»

«Temo che non sia la pioggia il motivo.» Si volse verso di lei e con una mano spostò un po' all'indietro il cappuccio. Subito goccioline di pioggia si depositarono sulla sua pelle, facendola rilucere ai pallidi raggi del sole. «La vostra presenza è il motivo del mio buonumore, principessa. Bellezze così candide e delicate non esistono da noi a Calanthia.»

Larica si sentì arrossire. Ringraziò il freddo che già le provocava rossori al volto, che in questo modo non sarebbero stati confusi con imbarazzo e compiacimento. Non era abituata alle lusinghe di corteggiatori e cavalieri cortesi, poiché essendo promessa sposa non aveva mai goduto di tale atteggiamento da nessuno.

«Mi lusingate, messere.»

Ser Muynn riportò lo sguardo avanti, forse credendo di aver fatto un errore con quel complimento. «Non era mia intenzione, mia signora. Voi sarete di mio cugino. La mia era solo una constatazione.»

Continuarono per qualche tempo in silenzio. Con la fine della pioggia e il rafforzo del sole che si fece più intenso tentando di scaldare la piana, l'atmosfera tra loro si era invece raffreddata.

Si fermarono per rifocillarsi all'ombra di un gruppetto di alberi solitari.
Il sole del primo pomeriggio non era riuscito a scaldare la frizzante aria che sapeva d'autunno, non di primavera. A Calanthia forse gli alberi erano già in fiore, si disse Larica notando che il cielo plumbeo prometteva ancora pioggia.

Stava mangiando un pezzo di formaggio con un tozzo di pane nero. Rifiutò la carne essiccata che l'ancella le offrì e sorseggiò del sidro. Donna Rubia accanto a lei si era intestardita a continuare il suo ricamo, che aveva iniziato poco prima della partenza dalla capitale. «Debbo finirlo entro il vostro matrimonio mia cara. Vedrete, sarà stupendo.»

Larica non aveva idea di cosa fosse, ma immaginò si trattasse di una qualche antica tradizione varasiana che non conosceva. Dopotutto, il suo maestro non poteva averle insegnato tutto poiché come le ricordava sempre "nella mente di un sol uomo non può esservi tutta la conoscenza."

Sorrise, ripensando a quell'uomo colto ed elegante, che però non mancava mai di farla sorridere. Era morto da quasi un anno, di consunzione. Ripensare a lui la riportò a tutte le persone a cui aveva dovuto dire addio; sua madre, i suoi fratelli, le sue sorelle, persino il castellano e il siniscalco, coi loro modi burberi e l'irritante sarcasmo, le sarebbero mancati. Più di tutti Endin, perché lui era certa non l'avrebbe più rivisto.

La sua mente le rimandò l'immagine del suo volto scavato e deturpato dalla malattia e della sua spada e la sua corona che bruciavano insieme alle sue spoglie.

«Principessa, vi sentite bene?» Donna Rubia le posò una mano grassottella su una spalla, ma lei non aveva voglia di rispondere, troppo presa dalla sua malinconia. «Siete turbata dal nostro sgradevole soggiorno in quel villaggio, vero? Non sarà un bel ricordo per nessuno immagino, a parte il nostro buon re Ferdinand.» La balia sogghignò, tornando poi al suo ricamo.

"Avete ragione, cara balia." Larica si concesse un sorriso a quell'infelice ironia, ma la parola villaggio rimase impressa per tutto il resto della giornata nella sua mente, rappresentata da una zazzera di capelli rosso fuoco.

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