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V.

Erano passate due settimane dalla presentazione della nuova coppia e le cose andavano tutte a gonfie vele, o per lo meno, quasi tutte: Adelle e Raphael erano sempre più affiatati e sicuri del passo che stavano per fare, in particolare andavano perfettamente d'accordo sui dettagli per la cerimonia, una cosa non esageratamente grande, ma comunque molto elegante e principesca.

D'altro canto, però, le cose per Antonio non procedevano: tra lui e Lavina le cose continuavano come sempre, sebbene lui tentasse, principalmente invano, di far notare a lei che le sue azioni non scorrevano sul filo dell'amicizia, bensì su qualcosa di più grande.

Tutto inutile.

Forse anche per causa sua, del suo costante imbarazzo, di quella educata reticenza che lo muoveva in ogni sua azione davanti alla nobiltà. Che fosse la paura di essere giudicato? Il timore di essere valutato male, un arrampicatore sociale con manie di protagonismo?

- Io dico che vi fate troppe domande – aveva affermato Raphael seduto sulla solita panchina.

- Lo so, ma non voglio arrischiarmi.

- Dovreste farlo.

- Ma come?

- Potreste...Suonarle qualcosa. Tra poco ce ne andremo tutti per la battuta di caccia, il palazzo sarà vuoto e voi sarete libero di fare un passo verso di lei senza che nessuno si intrometta: non riuscirebbe mai a rifiutarvi.

- Perché non ci ho mai pensato? E' un'ottima idea, grazie! - si era alzato di colpo, certo di sapere dove trovare Lavina.

- Che la fortuna sia con voi – lo aveva salutato Raphael, alzandosi a sua volta e andando dalla parte opposta.

Quel pomeriggio la tenuta era stranamente silenziosa, una leggera brezza muoveva le foglie dei meli e dei peschi e il sole brillava scarsamente, scaldando appena i prati e il lago cristallino.

Lavina, come sempre, se ne stava riparata sotto il monoptero con "I misteri di Udolpho" tra le mani.

- Non trovi che questa brezza sia davvero fredda? - si era avvicinato Antonio, sedendosi poco distante dalla ragazza: magari riusciva a convincerla ad entrare per portarla nella sala della musica.

Lei lo aveva guardato, aveva chiuso il libro e lo aveva poggiato al suo fianco: - Sì, in effetti hai ragione, non sarebbe una brutta idea entrare.

BINGO. Era stato più facile del previsto.

- Magari possiamo andare nella sala della musica, tanto Magnus non c'è, è andato anche lui alla battuta di caccia.

- Perfetto, allora andiamo – aveva alzato l'ampio abito blu e si era attaccata al braccio di Antonio – Alle volte mi domando come tu faccia a leggermi nella mente.

- Non so, talento – aveva riso leggermente imbarazzato.

- Però mi suoni qualcosa, vero?

- Al pianoforte? O al violino?

- No, no, al pianoforte perché non ti sento mai suonarlo.

- Va bene allora.

Avevano avanzato qualche passo per il sentiero e Lavina aveva ripreso a parlare: - Che pace che c'è, però.

- Già – le aveva risposto pensieroso: non immaginava come nel suo animo la pace fosse invece scomparsa per essere sostituita da un'ansia attanagliante.

Quella sensazione allo stomaco non era scomparsa fino a che, arrivati nella stanza, Antonio non si era seduto al pianoforte e aveva cominciato a suonare il primo movimento della sonata per piano No.15 di Mozart.

Lavina era estasiata, erano rari i casi in cui sentiva Antonio suonare il piano, sebbene sapesse perfettamente che ne era in grado, per di più non l'aveva mai sentito suonare quella composizione così delicata e in fondo allegra.

Seduta sulla sedia poco distante dal piano, si era scomposta in direzione di Antonio per osservarlo e ascoltarlo meglio: muoveva le dita sapientemente sul pianoforte, mentre con la testa leggermente abbassata muoveva i capelli scuri sulla fronte, liberi e sottili, inclinandola al suono della musica.

- Mi piacerebbe imparare a suonare il pianoforte – aveva finalmente parlato Lavina appena il ragazzo aveva fermato le dita sui tasti.

Antonio si era girato verso la ragazza e l'aveva guardata con gentilezza, scostandosi leggermente dalla panca davanti al pianoforte: - Vuoi che ti insegni?

Stava provando a cogliere la palla al balzo, magari arrivava a qualche conclusione.

- Lo faresti?

- Sì, certo – aveva preso una pausa impercettibile – Se ti siedi di fianco a me, ti insegno qualcosa.

Lei, senza farselo ripetere, si era alzata velocemente ed era ricaduta sulla panca al fianco di Antonio: - Sono tutta orecchie.

- Bene, inizia a mettere le mani sui tasti – lei aveva posato le mani scomposte sul piano – No, non così – le aveva sorriso.

- Come allora?

Antonio l'aveva guardata e aveva capito che era il momento di fare un minimo passo: le aveva preso le mani e gliele aveva posate di nuovo sui tasti: - Così – aveva dato una leggera pressione – Questo è un accordo – le aveva spostato le mani, ripetendo la scena – Questo è un giro di accordi.

- Wow, che bello – aveva sorriso tenendo la testa bassa.

- Ora proviamo un pezzettino di qualcosa.

Mani nelle mani, lui aveva ricominciato a guidarla sui tasti, con calma e spiegandole passo passo le note e le posizioni.

Parlava, parlava, parlava, Antonio non riusciva a fare a meno di aprire bocca, lo rilassava e copriva il silenzio che non era mai stato imbarazzante, ma che ora aveva tutto un altro gusto.

- Brava! - aveva alzato lo sguardo, guardandola in viso.

Lavina aveva fatto lo stesso.

In un attimo la distanza era diventata minima, le gambe attaccate, le mani una sopra l'altra, i nasi che si sfioravano. Lei era subito arrossita guardandolo da quella nuova prospettiva, fisso negli occhi scuri.

Per la prima volta, la sensazione di annegamento che provava ogni giorno, sembrava non essere così fastidioso. Antonio, d'altra parte, stava anche lui morendo lentamente dentro nel tentativo di non fare un passo avventato.

Lavina continuava a fare su e giù con gli occhi tra lo sguardo del ragazzo e i tasti del pianoforte, ma al ragazzo continuava a sembrare che lei indugiasse un poco in più sui suoi occhi profondi.

O meglio, lo sperava vivamente.

Cosa doveva fare? Aveva paura, una tremenda paura, il terrore di esagerare.

Doveva prendere in fretta una decisione.

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