Bozza numero 2
ULTIMA POSSIBILITA' PER TIRARSI INDIETRO.
QUESTO CAPITOLO CONTIENE SPOILER.
Io vi avevo avvisato.
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Galatea, entrando, chiuse la porta dietro di sé, senza accorgersi di averla solo accostata. Nel camino della camera di Ottavio ardeva ancora una bella fiamma, unica fonte di luce. Si ritrovarono immersi in quella luce irregolare; erano immobili, eccitati e titubanti, nello spazio tra la porta e il letto. I loro sguardi erano di un'intensità irresistibile, il desiderio traspariva nei loro sorrisi; ma insieme al desiderio, c'era una sottilissima vena di paura. Galatea avvertì per prima un brivido. Si scosse, si chiuse leggermente nelle spalle e sorrise timidissima, distogliendo per un attimo gli occhi dal viso di lui.
Ottavio, da parte sua, sentiva la gola secca e il respiro d'un tratto flebile, insieme a una energia mai covata prima nel suo petto. Nemmeno a caccia aveva provato quell'eccitamento e pur quell'impressione di non voler osare. Temette di vacillare di nuovo e agì d'impulso, prendendo Galatea tra le braccia e tenendola stretta, con la sua camicia da notte che, proprio nascondendola, la rendeva più e più affascinante.
Lei, d'altro canto, reagì altrettanto istintivamente, scostandosi un poco, senza però sfilarsi dal suo abbraccio. Poi capì. Non ci fu bisogno di parole in quel momento per comunicare l'impaccio, poiché li accomunava: entrambi volevano fare il primo passo, ma in segreto desideravano che l'altro li precedesse.
«Cosa dobbiamo fare?» sussurrò Galatea, e provò sollievo a infrangere il silenzio. Ottavio esitò, non volendo ammettere che gli risultava scocciante porre in atto ciò che Matteo, nei giorni precedenti, gli aveva raccomandato di fare. Il suo orgoglio gli suggeriva di fare da sé, di trovare lui stesso il modo giusto, i tempi convenienti.
«Non voglio che pensi che io ti manchi di rispetto» rispose semplicemente.
Galatea sorrise di nuovo, questa volta divertita.
«Rispetto?» lo prese in giro. Cominciò a giocare con la sua cravatta, come per infastidirlo. E lui, da parte sua, la lasciò fare, capendo che una distrazione l'avrebbe aiutata. Vedeva nei suoi occhi un'ombra incombente.
«Perché non me la sfili? Mi faresti un vero favore» disse, per stare al gioco. Galatea ammiccò con aria furba e obbedì, sventolandogli la cravatta sotto il naso e gettandola poi da una parte.
«Ah! Grazie: ora finalmente mi sembra di respirare» le disse, baciandola teneramente sulla guancia.
«Se è così, chissà come ti costringe questa camicia...» continuò lei, procedendo a sbottonargli il colletto. Lui la ringraziò con un accenno di inchino. Ma d'un tratto i suoi occhi si erano riempiti di quell'ombra.
«Senti che bel caldo, qui. Il tuo camino lavora bene» constatò Galatea, sottraendosi al suo abbraccio. Si allontanò ancheggiando involontariamente per via del pavimento freddo sotto i piedi scalzi e Ottavio si trovò a seguirla come se non avesse più una volontà propria; camminando, accusò il calore crescente e si tolse, non visto, la giacca.
La camicia da notte era sottile, ma non trasparente. Il corpo di Galatea era come un'ombra dai contorni indefiniti; questo lo contrariò un poco, ma il duchino non lo diede a vedere.
«Sai?» disse lei in quel momento, ma la sua voce tradiva un certo tremore.
Ottavio la raggiunse e le domandò: «Cosa?»
Vide che ora si rigirava il nastro della camicia da notte attorno all'indice, gli occhi persi nella fiamma del fuoco.
«Nulla... Nulla...» si scusò, senza distogliere lo sguardo.
«Se pensi che sia ancora troppo presto...» cominciò lui, pensando così di interpretare le sue paure.
«No, affatto – lo interruppe – Solo che...»
A quel punto si volse a lui, guardandolo dritto negli occhi. Con un gesto disarmante tirò il nastro con cui aveva giocato, finché l'asola non si fu sciolta.
«Fa' piano, per favore – disse atona, come se parlasse da un altro mondo – E... Mi daresti un altro bacio come quello di prima?»
Ottavio le accarezzò dolcemente la guancia e si chinò sul suo viso. Benché fosse stata lei a richiedere quel bacio, inizialmente rimase passiva. Lui la sentì tremare un poco, mentre le posava le mani sulle spalle dopo averle sfiorato i capelli. E lei seppe che lui l'aveva scoperta, seppe cioè che la sua paura gli era manifesta. Allora mise in quel bacio tutta se stessa, per ostinarsi contro un ostacolo che le era divenuto noioso. E lui comprese anche questo, e si ritrovò perfettamente d'accordo con lei.
Galatea reclinò la testa sulla spalla di Ottavio, aggrappandosi a lui quasi con le unghie. Percepì la stoffa tra le dita, i suoi vestiti; vestiti che dovevano essere tolti... Di colpo si ritrasse, come svegliatasi di soprassalto.
«Perdonami, ti prego...» balbettò, affrettandosi a sbottonargli il giustacuore.
«Cosa ti prende?» rise lui, cercando di afferrarle i polsi.
«Sono tua moglie, devo farlo io» ribatté trafelata.
«E chi lo dice?» soggiunse, riuscendo nell'intento di fermarla. Si sfilò da solo il giustacuore e poi la sospinse verso il letto, facendovela sedere.
«Faccio da me, tranquilla... Tranquilla...» le raccomandò con tenerezza e lì, di fronte a lei, quasi per dimostrarle che non era un incapace, si slacciò la camicia, che lasciò cadere a terra dietro di sé.
«Non la raccogli?» bisbigliò Galatea, pronta a farlo al posto suo.
«Lasciala dov'è, Tea. Vieni qui»
In quell'ordine proferito con dolcezza, lei capì che era arrivato il suo momento. C'era qualcosa in quelle parole che le suonava incontrastabile, tutto ciò che potesse fare era obbedire. Si rialzò e mosse due piccoli passi per raggiungerlo.
«Non lo farò, se non lo vuoi» sussurrò lui.
«Lo voglio»
I suoi occhi erano lucidi e gli ispirarono un sentimento più dolce ancora. Mosse le mani lentamente, come se officiasse un rito sacro, e le posò delicato sui suoi fianchi. Galatea prese un respiro e gli accennò di continuare, e solo allora lui cominciò a sollevarle la gonna. Pian piano la camicia si alzava, scopriva i polpacci, le cosce; lo sguardo di Ottavio scivolò sulle sue gambe e la tentazione di non aspettare più lo spinse quasi ad affrettare i tempi. Resistette per lei, per non spaventarla con un comportamento inappropriato e così poco degno di lui. Continuò a sollevare la camicia verso l'alto e Galatea, ad un certo punto, dovette alzare le braccia. Uscita, quasi rinata, dal velo della vestaglia da notte, arrossì d'un colpo e si premette istintivamente contro di lui, privandolo della vista del suo corpo nudo. Poi, però, decise di ritrarsi un poco e, senza guardarlo, di farsi guardare.
«Tea... – sussurrò Ottavio, muovendo un piccolo passo verso di lei – C'è qualcosa che non va»
Galatea si irrigidì: «Cosa dici?»
«La tua testa non è qui... A cosa pensi?»
Era evidente che era preoccupato: ciò che temeva più di tutto era di forzarla. Ma Galatea negò, puntò i piedi e confessò a voce rotta: «Sto ripensando a quello che mi hanno detto durante il fidanzamento con il Damiani e... Ho paura...»
Ottavio sorrise scontato: «Ma io non sono il Damiani. Con me quello che ti hanno detto non vale. Sei tu che decidi, ora»
La fece sorridere; la sua seconda reazione fu coprirsi i seni con le braccia, incurvando un poco la schiena.
«Grazie» bisbigliò. Ottavio deglutì e, avendo ancora la camicia di lei in una mano, gliela tese, perché si rivestisse: «Non fa nulla»
Lei la prese, la guardò e poi chiuse gli occhi. La camicia scivolò sul pavimento ai suoi piedi e lei la scavalcò, le braccia di nuovo incrociate sui seni, le labbra socchiuse a cercare un altro bacio. Mentre si faceva baciare, gli prese le mani e se le pose sul corpo, lasciando poi che si muovesse da solo. Era un sollievo abbandonavare gli imbarazzi di poco prima, accorgendosi di potersi trovare a proprio agio a fare qualcosa che appariva così strano.
*
Le mani di Ottavio premevano calde sul suo corpo e Galatea respirava quasi a fatica, sopraffatta dall'emozione. La accarezzava sulla schiena, prima piano, poi con sempre maggiore trasporto. E le sue mani calde scendevano lungo i suoi fianchi, risalivano verso le spalle, si avventuravano di nuovo giù, sempre più giù. Galatea non glielo impedì e non protestò, lasciandosi toccare. Di tanto in tanto fremeva, ostinandosi a respirare piano.
Ottavio la sospinse ancora verso il letto, costringendola a indietreggiare affidata al sostegno delle sue braccia. Arrivata al letto, Galatea ci cadde sopra e vide Ottavio apprestarsi a slacciare la cintura. Lo faceva con impazienza e così un'operazione abituale lo metteva in difficoltà.
«Lascia, ti aiuto io» gli disse, facendosi coraggio. Rimase così calma, di una calma che nemmeno lei si seppe spiegare, che ispirò ad Ottavio un rinnovato slancio d'amore. Ma lei si sottrasse, rincantucciandosi in mezzo al materasso ad aspettarlo. Possibile che un momento così atteso, così preparato, così desiderato le mettesse addosso tutta quell'insicurezza? Quale bisogno c'era di tirarsi in disparte, di nascondersi, ora che non aveva nulla per coprire le proprie nudità? In altre mille occasioni si era sentita sul punto di concedersi a lui e solo allora, quando gli si stava concedendo per davvero, dubitava, sentiva un groppo alla gola e aveva quasi paura di lui.
Ottavio salì sul letto e gattonò fino a raggiungerla. Indossava solo la biancheria, ma nel suo caso non bastava a celare quasi nulla. Galatea distolse lo sguardo arrossendo, cercando i suoi occhi, trovandoli come stregati.
«Tea...» sussurrò dolcemente, coricandosi a pancia in giù accanto a lei, accarezzandola con naturalezza sulla coscia. Poi si protese a baciarla e, grazie al bacio, la tranquillizzò o, forse, la stregò con la stessa magia che ormai lo governava.
«Ti va di stenderti meglio?» le disse sottovoce, cominciando a baciarla sul collo. Galatea tremò di piacere e si lasciò scivolare pian piano. Lui approfittò della sua disponibilità per accarezzarle i seni con tocco rispettoso e appassionato insieme.
«Ottavio?» ansimò Galatea ad occhi chiusi.
«Sì?» rispose, facendo scendere la mano sulla sua pancia, solleticandola delicatamente.
«Fa' piano» sorrise lei, stiracchiandosi.
«Non temere...» la rassicurò, spingendo la mano sul suo pube. Galatea fece una buffa espressione di contrarietà, strinse le gambe una contro l'altra e mugolò capricciosa.
«Tea, fa' la brava...» la prese in giro Ottavio, prima di perdersi in un nuovo, lungo bacio. La medicina funzionò ancora una volta: Galatea rilassò le gambe e la mano di lui poté farsi largo calandosi tra le sue cosce, giù, sempre più giù. Lei ansimò più forte, trattenendo il respiro e arcuando la schiena. Ottavio sorrise e prese a chiamarla con nomi diversi, facendosi via via più baldanzoso sia nei movimenti sia nella scelta delle parole. A un tratto, lei sovrappose la propria mano alla sua, guidandolo come più le piaceva.
Lui si volse sul fianco, con il respiro un po' affaticato. Galatea intuì che si stava sfilando la biancheria e, mossa forse da curiosità, spostò la mano nella sua direzione. Lo sentì sospirare di piacere e sospirò a propria volta, lasciandosi portare da un istinto di cui non aveva mai sospettato l'esistenza. Scoprì di sapere come muoversi, imparò in fretta ciò che gli piaceva; si rese conto, in poche parole, che non sarebbe stata un'esperienza così traumatica come gliel'avevano descritta con vaghe parole durante il suo fidanzamento. E Ottavio, a propria volta, si ritrovò sicuro di sé, convinto di quel che faceva e felice. Con nessun'altra donna sarebbe stato lo stesso: era Galatea a rendere quel momento speciale per lui, perché era una conquista, un traguardo prefisso da tempo e fino a poco prima irraggiungibile. Il piacere fisico non era l'aspetto più importante, né il migliore: la sensazione che gli faceva vibrare le corde più segrete del cuore era essere lì con Galatea, consumare il rapporto con Galatea, possederla e farsi possedere; questo era ciò che cercava, e ogniqualvolta la sua mente si soffermava su quel preciso pensiero, anche il piacere del corpo aumentava a dismisura.
Rispondendo a un bisogno improvviso e famelico, Ottavio si alzò in ginocchio di scatto, facendola sobbalzare. Solo a quel punto Galatea aprì gli occhi e lo vide per come era, nudo. Era il primo uomo in carne ed ossa che avesse mai visto e questo la fece arrossire, dimentica del fatto di averlo già toccato e accarezzato senza vergogna. Lui se ne accorse e sorrise teneramente, arrossendo dopo di lei.
«Ti dispiaccio?» la canzonò, prendendole delicatamente la gamba destra per scostargliela. Galatea si issò sulle braccia, accomodandosi meglio sui cuscini, senza sapere di preciso quale risposta si aspettasse di ricevere. Si adattò alla posizione che lui le accennava, muta come un agnellino, tanto che lui le domandò se avesse perso la lingua. Al che lei, lasciandosi andare, gli fece una smorfia per dargli prova del contrario. Ottavio, intanto, si era inginocchiato tra le sue gambe distese; dalla sua posizione, Galatea poté guardarlo dritto in viso, per osservare la sua reazione alla vista che si offriva dinanzi ai suoi occhi. Così ebbe la conferma di essere a propria volta la prima donna che lui avesse mai visto; non aveva dubbi sulla sua sincerità, ma vederlo tanto coinvolto e allo stesso tempo rispettoso la indusse a sorridere, ad allargare le braccia e a chiamarlo sottovoce. Ottavio le accarezzò delicatamente le cosce, risalendole mentre si coricava tra di esse, con lo sguardo fisso sul suo volto che gli appariva quasi angelico. Si coricò su di lei, puntò i gomiti contro il materasso per non schiacciarla, ricominciò a baciarle il collo, le guance, le labbra, mentre con le dita le sfiorava la pelle. Galatea non rimaneva indifferente alle sue effusioni, ricambiandole come poteva, mordicchiandogli l'orecchio o il mento.
Poi, d'un tratto, Ottavio si volse indietro, le sfiorò la coscia sinistra e le ingiunse con voce tremante: «Piega bene le gambe, Tea...»
Nello stesso tempo, Galatea lo vide poggiarsi tutto sul gomito sinistro; capì e chiuse gli occhi, per sgombrare la mente dagli ultimi timori e lasciare che facesse lui, evitando di rovinare tutto con una parola o un movimento di troppo. Immobile, il cuore impazzito, aspettò che qualcosa succedesse. All'inizio non fu che un timido contatto, poi una leggera pressione. Subito dopo la pressione crebbe gradualmente insieme al fastidio. Storse un po' il naso, respirò tra i denti, si irrigidì ancora di più. Ed ecco, all'improvviso: «Ahi!» gemette, e anche Ottavio ansimò, riabbassando il braccio destro.
«Tea?» la chiamò, con il respiro leggermente affannato. Prima che rispondesse, spinse piano il bacino contro di lei. E lei lo sentiva dentro di sé, le dava sempre più fastidio. Si mosse per mettersi più comoda e lo udì ansimare di nuovo e spingere ancora.
«Mi fai male!» si lamentò con voce acuta, ritraendosi. Allora lui si fermò lì dov'era, piantò bene i gomiti nel materasso e sollevò il busto per guardarla meglio. La sua espressione era molto concentrata e contemporaneamente distratta, intontita. Il suo respiro si ingrossava, il suo corpo fremeva in continuazione.
«Tra poco non farà più male, Tea» le confidò, e pian piano penetrò nuovamente, causandole un mugolio di dolore. Lei trattenne il fiato e, quando la fitta fu cessata, si concesse un sospiro di sollievo. Ottavio si ritrasse un poco e aspettò. Le diede un bacio sulla guancia e uno sulle labbra; Galatea, con espressione corrucciata, batté velocemente le palpebre e lo fissò per un momento.
«Va' avanti» gli ordinò, e parlando strinse nelle mani gli angoli del cuscino che aveva sotto la testa. Le tornavano alla memoria le vecchie raccomandazioni sull'essere docile e sottomessa, secondo il modello della buona moglie: doveva offrirsi ai desideri del marito anche quando questi non fossero stati piacevoli. E che il marito fosse Ottavio o il Damiani, su questo punto pensava non sussistesse differenza. Con tale spirito si sottopose agli amplessi successivi, in cui Ottavio, pur prudente, mise più vigore di prima. Gemeva, era tentata di chiedergli requie, ma allo stesso tempo voleva che provasse quel piacere che a lei si negava. Perché sì, lei lo amava, lo amava al punto da sacrificare se stessa per lui.
«Tea, parlami...» sussurrò Ottavio, cogliendola impreparata.
«Cosa vuoi che ti dica?» rispose con un filo di voce.
«Tutto quello che vuoi»
Galatea si morse le labbra, poi bisbigliò: «Fermati un momento, fa' piano»
Lui si scusò mortificato, ricominciò a baciarla, ad accarezzarla. Per evitare che si perdesse d'animo, Galatea lo richiamò ad altri pensieri: «Il tuo mentore non ti ha insegnato qualche trucco?»
Ottavio rise e al contempo si sentì punto sul vivo.
«Sarò più attento, Tea...» le assicurò. E così fu: badando alle espressioni che lei faceva al più piccolo movimento, il duchino riuscì a farle superare i primi momenti di dolore. Pian piano, Galatea cominciò a sentir diminuire il fastidio a vantaggio di una sensazione più piacevole. Le sue labbra socchiuse, morbide e rosse, e le sue guance di porcellana lievemente tinte di un rosa più acceso... tutto lasciava intuire a Ottavio una disposizione più favorevole.
Assestò una spinta più vigorosa e questa volta Galatea la accolse con un mugolio di piacere. Socchiuse gli occhi e lo guardò grata, quasi trionfante. La presa delle sue mani si allentò, per serrarsi alla spinta successiva.
«Tea...» sussurrò lui prima di baciarla di nuovo. Poi la baciò ancora sul collo, sulla spalla, sui seni, dovunque le sue labbra arrivassero. Galatea ansimava sempre di più, gemeva sempre più forte, senza ritrarsi, anzi protendendosi. Lasciò il cuscino e gli cinse le spalle, immerse le dita tra i suoi capelli, assecondando i suoi movimenti, che via via si facevano più energici.
Ce la stavano facendo, godevano entrambi, vivevano entrambi, contro tutte le previsioni di chi voleva loro del male, di chi si era intromesso nel loro matrimonio e aveva cercato di allontanarli: avvinghiati com'erano nella luce a scaglie del fuoco, sarebbe stato impossibile distinguerli. Erano una cosa sola, lo erano di fatto, e i loro movimenti, anche discordanti, erano fusi in un solo andirivieni, con momenti più placidi e altri forsennati. I loro sospiri, i loro gemiti erano una melodia per le loro orecchie.
«Ottavio... Ah, Ottavio...» bisbigliava lei quando trovava la forza di farlo.
«Tea...» rispondeva lui tra un gemito e l'altro.
«Ti amo...» diceva talvolta uno dei due, sentendosi replicare: «Anch'io...»
Era la prima volta che si confessavano così esplicitamente innamorati, che corrispondevano puntualmente alle reciproche effusioni. Non c'era disparità nel loro rapporto: erano liberi da tutti i vincoli, tranne che da quello che li univa. Tutto era permesso, perché le loro pulsioni trovavano naturalmente il modo di soddisfarsi senza riuscire offensive o impudiche. Non c'era bisogno di porsi dei limiti, perché si conoscevano fin troppo bene.
Il tempo, per loro, si era fermato; il piacere lo rendeva infinito. Ma Ottavio, da parte sua, cominciava ad accusare gli effetti naturali della passione. Glielo disse sottovoce, perché si preparasse, e lei rimase quasi dispiaciuta, perché sperava che quella notte, come quelle di Giove, potesse prolungarsi secondo il suo gusto. Ottavio tentava di resistere e prolungare il più possibile l'amplesso quando, all'improvviso, gemette più forte e afferrò le lenzuola, immergendovi le unghie. Galatea sospirò sorridendo; mosse un altro affondo e si fermò a riprendere fiato, poi assestò l'ennesima spinta, l'ultima. Alla fine cadde sul fianco sinistro accanto a lei, prendendo respiri profondi. Lei, ad occhi chiusi, rimase per un po' sdraiata a pancia in su, quindi si volse a destra per guardarlo. Lo trovò ancora boccheggiante, leggermente sudato, tremante di piacere.
«Com'è?» gli domandò e lui aprì gli occhi per guardarla. Il solo sguardo le sarebbe bastato a comprendere il suo appagamento, ma il duchino volle essere più chiaro possibile: «Ti amo, Tea, e ti voglio mille volte più di quanto ti volessi prima»
«Anch'io ti voglio» ribatté, abbracciandolo, stringendoglisi vicino, avida del suo odore. Lui la prese accanto a sé, toccandola senza vergogna e senza quell'ardente desiderio di poco prima. Era un modo naturale di starsene vicini perché ci si voleva bene. Fu a quel punto, quando percepì contro la guancia il suo petto nudo, che scoppiò in lacrime. Piangeva istintivamente in piccoli singhiozzi che la scuotevano tutta. E si spingeva ancora di più contro di lui, aggrappandosi al suo corpo pervaso di forza virile. Eppure non voleva piangere, non credeva di avere ragione di farlo; inoltre temeva di offenderlo o di preoccuparlo. E tuttavia le lacrime scendevano copiose, senza tregua. Lui la accarezzava sulla schiena, sulla nuca, le baciava i capelli e la fronte. Era amorevole e per nulla teso, come se si fosse aspettato una reazione simile. Galatea si aggrappò alle sue spalle e si issò verso il suo viso. Alternando i singhiozzi ai baci, gli rese la sua gratitudine e il suo amore. Ottavio si lasciò baciare senza opporle freni, godendo di ogni suo respiro.
«Non so perché piango» confessò in un sospiro che sciolse definitivamente i sussulti del suo petto. Lui la accarezzò ancora per qualche secondo, poi la strinse contro di sé: «Non c'è nulla di male...»
«Anch'io ti amo, anch'io ti voglio» ribadì, nel timore che potesse fraintendere. E lui annuì piano con un leggero mugolio che le ricordò quando, poco tempo prima, era sopra di lei. Rabbrividì, chiudendosi nelle spalle; ma lui non se ne preoccupò affatto, riprese a baciarla delicatamente sui capelli, sfiorandole le spalle con la punta delle dita.
«Sei bellissima...» sussurrò coricandosi sulla schiena e tirandosela sul petto. Lei giacque inerte, scossa dagli ultimi singhiozzi. Poi si quietò al ritmo dei suoi respiri e, nel giro di pochissimo tempo, si addormentò di un sonno profondo.
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