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Incubi

Mi spremetti il cuscino sulla testa, rifiutando di alzarmi dal letto al picchiettio sempre più insistente di Lenora. Che donna odiosa. Perché non andava ad occuparsi della padrona di casa, che ogni mattina si alzava con un mezzo urlo che sembrava provenire dall'Erebo?
- Buongiorno, stirpe della Notte.
- Malgiorno anche a te... Miczariel, giusto?
Avevo sentito quella voce farsi più distinguibile in appena due occasioni: all'arrivo di Lenora in casa e al primo colloquio con Leandro, per il quale la demone aveva provato un'immediata e giustificatissima avversione.
- Corretto, figlia dell'Ade.
- In vena di epiteti, oggi?
Mi bloccai a metà di un passo, accorgendomi di avere una strana nebbia sulfurea intorno alle caviglie.
- Ellissa! Apri la porta!
La voce isterica di Lenora mi raggiunse da oltre la soglia, e finalmente compresi il perché di tanta foga: il fumo di zolfo doveva essere penetrato anche oltre la porta, facendole pensare ad un incendio. Strano. Se fossi morta, non ne sarebbe stata felice?
- E' preoccupata per le suppellettili, mia regina - mormorò Miczariel, uscendo dal bagno.
Uscendo dal bagno?
Fui la terza persona ad urlare, quel giorno, tra le quattro mura di casa Apostulos: le voci di Malphas e Adathiel, Miczariel e gli altri demoni erano suoni senza corpo, non avevano mai assunto consistenza e tantomeno le fattezze longilinee di una donna!
- Il mio aspetto non ti soddisfa, padrona? Lo posso cambiare a mio piacimento -, sorrise la demone. Rimasi immobile, mentre la creatura s'inginocchiò di fronte a me.
Che cosa sta succedendo?
- Che diamine succede qui?!
Oltre la porta, anche la voce di Katia mi raggiunse i timpani, stordendoli una volta di più. L'odore di uova marce che ammorbava la stanza, la presenza di una trentenne in armatura nella mia camera da letto e gli strilli sempre più acuti delle due donne con cui dividevo l'esistenza fecero scattare qualcosa in me.
- Basta! 
La porta e le finestre del mio alloggio si spalancarono, quasi in risposta al mio grido. I fumi sulfurei si dispersero, e le due comari tacquero di botto, fissando inebetite me e l'essere che mi stava ancora inginocchiato davanti.
- Porta dell'Inferno, desideri che le uccida?

La tazza di tè che Katia teneva tra le mani tremolava ogni tanto, pur senza lasciar traboccare il liquido che conteneva. Lenora serviva la colazione con un'espressione cerea, facendo attenzione a girare al largo del mio demone da guardia, che le soffiava contro di quando in quando.
- Allora, zietta. Non le racconti la sua storia?
Zariel, voluttuosa, sorseggiava una cioccolata dolce: vestita come un'amazzone, faceva cambiare forma ai suoi occhi con il semplice scopo di disorientare l'interlocutrice, che già aveva il suo bel daffare a mantenere il controllo di sé.

Con quell'assurda tazza di tè davanti.
Come se non ci fosse assolutamente niente da dire.
- Altrimenti lo farò io. L'onniscienza non è certo un nostro attributo, ma abbiamo abitato le profondità della sua mente per moltissimo tempo... Le abbiamo esplorate sin nei minimi ricordi, anche quelli legati alla sua più tenera infanzia. 
- Voi demoni siete capaci soltanto di mentire -, sputò la donna.
Miczariel sorrise, puntando un artiglio contro Katia:
- Pensavo fossero gli umani quelli bravi a inventare meravigliose bugie, persino per ingannare sé stessi... Soprattutto per ingannare se stessi.
Alzandosi in piedi, la demone mi guardò: conosceva di me più di quel che sapevo su me stessa, mentre di lei altro non conoscevo che la voce... Neppure quell'aspetto era suo. Eppure, una parte di me provava un'innata fiducia per quella sconosciuta, un moto d'empatia che non riuscivo a spiegare.
- Hai graziato della vita l'assassina della tua famiglia, Ellissa. Se questa è una menzogna, sta a lei discolparsene: quando avrà pronunciato la sua difesa, starà a te confermare il verdetto. 
Con andatura felina, Zariel andò a posizionarsi dall'altro capo della stanza, lasciando me e Katia l'una di fronte all'altra.
- Parla, Katia. O il tizzone d'Inferno che sta in lei perderà la voglia di starti a sentire.

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