Sorrisi arrugginiti (parte uno)
Non c'era.
Non era da nessuna parte.
Aveva controllato ovunque, nello zaino, nelle tasche, nella macchina, persino dentro il bagagliaio, nelle buste in plastica che usava quando doveva fare la spesa e dentro il cruscotto del sedile del passeggero.
Il portafoglio era scomparso.
E lui stava per rischiare un attacco cardiaco proprio per questo motivo.
Di tutte le cose che avrebbe potuto perdere - i taccuini, i quaderni, i libri, le medicine che si portava sempre per sicurezza, l'astuccio, le barrette energetiche e tanto, tanto altro ancora - aveva lasciato alle sue spalle l'unica che in quel momento avrebbe potuto permettergli di sostenere l'esame di letteratura contemporanea col professor Sawyer.
Un esame a cui era già stato bocciato.
Un esame per cui aveva sudato e versato sangue, con ore e ore diurne e notturne passate sopra a libri di testo indecifrabili, a sostenerlo solo la compagnia di Killian e una brocca di caffè che entrambi si sarebbero volentieri iniettati nelle vene.
Stava sudando come non mai e nel petto poteva percepire il bocciolo di un fiore di ghiaccio iniziare a radicarsi nel resto del cuore.
«TimTim» lo chiamò Elize, ma la sua voce apparve a lui estremamente ovattata e distante, nonostante percepisse la presenza della ragazza accanto a sé, le mani di lei a carezzargli le spalle mentre lui, inginocchiato per terra, guardava il contenuto dello zaino ora riversato sul pavimento, «andiamo, son sicura che è qui da qualche parte, non puoi averlo dimenticato.»
No, invece. Aveva cercato ovunque, non era lì. Non lo avrebbe mai trovato per il semplice fatto che il suo portafoglio, probabilmente, non era entrato assieme a lui all'università.
Era rimasto a casa di Edith, dopo che lui era caduto e aveva fatto la sua provvidenziale figuraccia.
«I documenti son davvero necessari?» domandò a quel punto la voce di Patrick, alle sue spalle. «Voglio dire, il professor Sawyer sa perfettamente chi è Timothy, è uno dei pochi che ricorda le facce di tutti gli studenti. L'ultima volta ha rimproverato Killian per non essersi presentato alla lezione precedente, no?»
«Be', sì, Killian è un tipo piuttosto facile da ricordare» asserì la ragazza, con voce incolore. «È difficile dimenticarsi di un cretino simile.»
«Ehi! A chi hai dato del cretino?»
«A te, ragazzo che sta sventolando in faccia al suo amato maritino perché terrorizzato dall'idea che possa svenire da un momento all'altro.»
Timothy non si era nemmeno reso conto del ventaglio che Killian aveva tirato fuori da chissà dove, e che ora gli stava regalando quell'aria che i suoi polmoni non riuscivano più a raccogliere dentro di sé. Non aveva nemmeno badato al fatto che il suo amico si fosse inginocchiato a terra, al suo fianco, per sostenerlo in quel momento.
Tutti loro erano appollaiati all'angolo della stanza, in attesa che la porta in metallo alla parete opposta venisse aperta per permettere a tutti gli studenti di entrare e iniziare quel tremendo esame. Quando Timmy era arrivato lì, in fretta e furia, non aveva badato alla presenza ingombrante di tutti quei ragazzi dentro la camera, stretti fra di loro come in un barattolo sottovuoto di sardine, tanto grande era il sollievo di esser giunto in tempo per l'esame.
Questo, almeno, fino a quando non aveva aperto lo zaino e non si era reso conto della grave assenza del suo portafoglio.
Non riusciva a credere di essere stato così stupido e imbranato. Eppure, era sempre stato attento a queste cose, proprio per la consapevolezza di essere un ragazzo estremamente sbadato. Era il motivo per cui stilava una lista di oggetti da portare sempre con sé, prima di partire per qualche viaggio, e la ricontrollava ogni volta, il motivo per cui metteva una sveglia al mattino per non scordarsi di dar da mangiare ai loro porcellini d'India. Come aveva fatto a non accorgersi che insieme ai libri era caduto il suo portafoglio, poco tempo fa? Come aveva fatto a non pensarci?
«Pandino, amore mio, calmati.» La voce di Killian, delicata e leggera, pizzicata come sempre da quell'umorismo che gli veniva naturale, stavolta non bastò per rilassare i muscoli annodati sulle sue spalle. Non riusciva nemmeno a sentire il brusio degli studenti in attesa insieme a loro, tanto i suoi pensieri lo stavano flagellando in quel momento. Percepiva solo il sudore colare sulla sua fronte in una cascata di preoccupazioni e biasimi. Era uno stupido, uno stupido, uno stupido. «Stai per andare in iperventilazione, luce dei miei occhi, e sai che mi piace vederti così solo quando scorgi il mio meraviglioso corpo nudo.»
«Perché Timmy non ti ha ancora denunciato alla polizia?» sbruffò Elize.
«Taci, befana» sibilò Killian a quel punto.
A Timmy tutto ciò non importava.
Non gli interessava ascoltare i loro battibecchi, anzi, in parte lo innervosivano. Sentiva il senso d'impotenza accalcarsi insieme ai suoi pensieri, un tarlo tremendo che gli bruciò il respiro.
«Pandino, amore mio, è solo un esame, non ti preoccupare, puoi ridarlo quando vuoi.»
No, non era solo un esame.
Non per lui.
Lui, che aveva lottato e sudato, escogitato terribili sotterfugi che lo avevano fatto sentire sporco e vigliacco, pur di restare lì, aveva appena sprecato tutte le sue fatiche per colpa della sua sbadataggine. Di nuovo, la stupidità del suo cervello aveva prevalso sopra il buon senso e la gentilezza, lo aveva reso ancora una volta un bambino ingombrante, incapace di far nulla di quello che si era prefissato.
Stupido, stupido, stupido Timmy.
Gli bruciavano gli occhi per la frustrazione. Inginocchiato per terra in quel modo, davanti a sé solo le prove della sua incompetenza, arrivò a domandarsi come mai, nonostante tutto, avesse deciso di proseguire per quel percorso lastricato da ostacoli. In fondo, Timmy lo aveva sempre saputo. Aveva sempre saputo di esser nato svantaggiato, con un peso in più, come un peso in più; e quasi gli sembrava di poter sentire la risata di Audrey, in quel momento, il suo sorriso guizzante che gli sussurrava orrori durante le oscurità delle notti più tormentate. I suoi occhi sbiancati dal disgusto e dalla rabbia.
Perché sì, era vero, lui non era mai stato bravo in niente. Non possedeva talenti innati, non disponeva di un carattere piacevole, non era nemmeno in grado di tenere sott'occhio uno stupido, dannatissimo portafoglio per sostenere un esame.
«Pandino, qualunque cosa tu stia pensando, toglitela dalla testa.»
La voce di Killian non riusciva a raggiungerlo, filtrava ovattata nelle sue orecchie, tamponata da quegli orrendi mostri che gli stavano divorando le parole.
«Pandino, non è colpa tua, davvero, capita spesso di dimenticarsi le cose.»
Non così, mai così. Non era la prima volta che accadeva un simile evento nella sua vita e certo non sarebbe stata l'ultima. Perché per quanto lui si sforzasse di fare le cose correttamente, per quanto sudasse e faticasse pur di migliorare, di trasformarsi da bozzolo disgustoso in falena sgargiante, rimaneva sempre fermo e immobile al punto di partenza.
Ogni stupida, dannatissima volta.
«Timmy» lo richiamò Patrick. «Prova a parlarne col professor Sawyer, prima di iniziare. Magari puoi chiedergli di sostenere l'esame e mostrargli i documenti dopo.»
«Vero» asserì Elize. «Dove hai detto che credi di averlo dimenticato? A casa di quella Edith Morrison? Perché non provi a chiamarla e non le chiedi di riportartelo qua indietro, verso la fine dell'esame? Così potrai mostrarlo al professore.»
Come se Edith potesse preoccuparsi per lui.
Come se quella donna, così menefreghista e egoista, potesse anche solo prendere in considerazione la possibilità di sprecare attimi preziosi dei suoi momenti passati a biasimarsi per portare un portafoglio che lui aveva dimenticato.
Lei, che di certo non si sarebbe mai ritrovata in una simile situazione.
Lei, così bella ed elegante, che si muoveva sinuosamente nello sporco della sua vita e continuava a mantenere quel fascino sacro, quasi cristallino, che nemmeno l'odio, la rabbia e lo squallore erano stati in gradi di portarle via.
Non si sarebbe mai sacrificata per lui, mai.
«Pandino!»
La scossa che percepì nel suo corpo, l'istante dopo, lo destabilizzò. Con una furia particolarmente accesa, le mani di Killian si aggrapparono alle sue spalle e lo scossero con forza; Timmy percepì la sua testa molleggiare impazzita per quella scarica inattesa e quando riprese coscienza di ciò che aveva attorno, tutto ciò che riuscì a scorgere fu il volto aggrottato del suo migliore amico. «Pandino, ti presto i miei documenti.»
«Come?»
«Ti fingerai me.»
«Scusa, cosa?»
«Non ci vorrà molto» proseguì Killian. «Basterà disegnarti un po' di barba sulla faccia e una tartaruga sulla pancia e andrà tutto bene.»
Patrick, in piedi insieme a Elize, di fronte a loro, trattenne una risatina, mentre l'altra, sbigottita quanto Timmy, inarcò un sopracciglio. «E come lo spieghi al professor Sawyer il fatto che improvvisamente hai perso più di venti centimetri?»
«Dovrà solo dirgli che Pandino mi ha tradito con quella vecchietta» rispose eccitato Killian, un sorriso sornione a scavargli le labbra, e solo in quel momento Timmy capì cosa il suo amico stesse facendo, di quanto si stesse impegnando pur di farlo tornare in sé e impedire ai suoi nefasti pensieri di sovrastarlo.
Inghiottì rumorosamente la saliva accumulatasi sotto la lingua, vergognandosi amaramente per aver ceduto di nuovo alle sue paranoie e alla parte più orribile di sé, quel suo alter ego oscuro e minaccioso, che timbrava ogni volta le parole nella sua testa con fuoco d'odio e di disprezzo.
«Non credo che funzionerà, Kill» gracchiò alla fine, la voce graffiata dall'ansia che, pian piano, stava iniziando a scomparire. Gli occhi verdi di Killian restarono per un attimo fissi su di lui e lui soltanto, e solo quando si accorsero dell'assenza di quei pensieri tremendi nella testa di Timmy, il giovane coinquilino tornò a sorridergli come sempre, con le labbra arpionate agli angoli degli occhi e tutti i suoi denti ben esposti.
«Funzionerà» lo rassicurò. «Il professore sarà pure severo, ma comprenderà benissimo il dolore di un tradimento provocato da una vecchiaccia trentenne-»
«A chi hai dato della vecchiaccia trentenne?»
Una voce gocciolante come la pioggia e sprezzante come un temporale.
Cadde al suolo, quella voce, scivolò sinuosamente sui muri e fra i brusii degli altri studenti, andando poi ad assopirsi nelle orecchie incredule di Timmy, nei suoi occhi spalancati per lo stupore.
A riempirlo fu un nuovo tipo di ansia, un tacito e malandato sussurro di speranza che gli si annidò nella testa e indusse i suoi occhi a sollevarsi, a guardare oltre le spalle di Killian paralizzate.
E lì vide una donna fatta di pioggia e fuoco, una sigaretta spenta fra le labbra e dei vestiti scialbi a ricoprirle il corpo rachitico. Portava l'irritazione per maschera e un broncio per sorriso e fra le mani stringeva una borsa che mai le aveva visto, prima d'ora, grande e ingombrante, rovinata sui bordi da macchie di sporco e dallo scorrere del tempo che ne aveva sfilacciato gli orli in filigrana.
«Edith?»
Il nome esplose dalla sua bocca e ridestò coloro che lo stavano circondando. Elize spalancò la bocca, Patrick voltò lo sguardo stupito e Killian sembrò sul punto di sbiancare e diventare invisibile.
«No, Peppa Pig» fu la risposta acida che provenne dalle labbra di lei, parole mugugnate a causa dell'intralcio della sigaretta trattenuta dentro la bocca. «Devo dire che hai un talento davvero innato, Pandino, per farmi girare i coglioni anche quando voglio restare tranquilla.»
Era troppo sorpreso della sua presenza lì, per preoccuparsi delle parole furibonde che lei gli stava rivolgendo, del passo minaccioso con cui gli stava andando incontro.
«Prima» proseguì la donna, le lentiggini sul suo naso schiacciate fra di loro a causa della smorfia che le stava divorando le labbra, «ti dimentichi il portafoglio in casa mia, dopo mi costringi a ricercare le chiavi della macchina per tutta la casa e a guidare quando io detesto farlo con tutta me stessa, e ora» tuonò infine, fermandosi di fronte a lui in piedi, troneggiando con i suoi occhi grigi squarciati da fulmini carichi d'indisposizione, «mi devo sentir dare non solo della trentenne, ma persino della vecchietta, dal tuo pervertito coinquilino che ha dei porcellini d'India in prognosi riservata al posto del cervello.»
Si fermò a mezzo metro da lui, le sopracciglia che spiccavano dagli occhi, tremanti e irritate. «Hai la più pallida idea» continuò, «di quanto cazzo tu mi abbia fatta sudare, perché non rispondevi a quel maledetto cellulare e io non avevo la più pallida idea di dove trovarti per restituirti il fottutissimo portafoglio?»
In parte ce l'aveva.
Perché il corpo di lei era coperto di sudore, il magro petto traballava a causa dei respiri scostanti, scontrandosi col tessuto bagnato della felpa, e le sue spalle gracili continuavano a sollevarsi e cedere all'aria ripetutamente, cercando di riafferrare quel fiato perduto per chissà quale corsa.
Non riusciva a parlare, tant'era allibito, completamente sconvolto dalla visione di quella donna di fronte a sé, proprio lì, ad aiutarlo nel momento in cui lui meno si sarebbe aspettato di rivederla.
Edith... Edith era lì.
Arrabbiata, inviperita, ma era lì.
E lui non era in grado di smettere di guardarla.
Continuava a fissarla e si terrorizzava al pensiero che tutto ciò fosse solo una visione, un miraggio indotto dalla sua mente disperata.
Perché Timmy non lo conosceva quel sapore, il sapore di ottenere qualcosa in cambio dopo aver donato tanto. Raramente lui era stato ricambiato per i suoi gesti, in pochissime occasioni aveva ricevuto la possibilità di vedersi aiutato dopo aver teso per primo la mano. Non si era mai arrabbiato per questo, lo aveva sempre considerato naturale, ma quando scorse Edith lì, proprio davanti ai suoi occhi, arrivò a domandarsi come mai la presenza di quella donna al suo cospetto lo rendesse così gioioso e allegro.
Un canto bisbigliato nella sua mente, un sussurro febbrile che gli sollevò le labbra, il suo.
«Perché mi guardi così?» sibilò lei, sfilando i suoi denti aguzzi. «Non mi sta crescendo una seconda testa dalla spalla e sicuro come la morte non ho improvvisamente raggiunto il tuo livello di santità, quindi perché mi fissi come se fossi uscita dall'albero genealogico di Gesù Cristo?»
«Io... non pensavo saresti venuta fin qui per restituirmelo.»
Le guance di Edith avvamparono, le sopracciglia prima inclinate verso l'alto per la frustrazione tornarono ad abbattersi sui suoi occhi come saracinesche, occludendo la rabbia per trasformarla in imbarazzo e vergogna. Il modo in cui rabbrividì, quasi pizzicata da quell'affermazione, ricordò il dolce e fascinoso sibilo di un gatto inviperito. «La bestia continuava a guardarmi con sguardo accusatorio» si giustificò lei. «Non ce la facevo a sentire i suoi occhi che mi volevano far sentire colpevole, nonostante non sia assolutamente colpa mia se ti dimentichi i documenti nella mia casa. E sappi che me la pagherai cara per tutto ciò.» Con un gesto teatrale, infilò la mano nella borsa e ne estrasse il portafoglio, che gli gettò a terra, ai suoi piedi, l'istante dopo. «Odio questo posto.»
«Un momento!» La voce di Killian riecheggiò e ruppe il delicato momento creatosi fra i due. Il ragazzo guardò prima Timmy e poi Edith e viceversa, con il terrore dipinto negli occhi. Si rialzò insieme al suo coinquilino a labbra aperte, sconvolto come tutti per la presenza della donna davanti a loro. «Un momento! Perché la vecchietta è qui, Pandino? Di sua spontanea volontà? Cos'è successo? Da quando è così gentile? Che cosa gli hai dato in cambio? Non mi dirai che le hai concesso il tuo salmone per-»
«Io ti trivello il cervello» sibilò Edith con furia. «Se osi ancora darmi della vecchietta un'altra volta, non troveranno più il tuo cadavere.»
«Killian...» provò a intervenire Timmy, ma la voce di Patrick lo fermò.
«Oh, quindi è per lei che hai deciso di tradire il tuo amato maritino, TimTim?» domandò divertito. «È lei la famosa trentenne che vive in un episodio di Sepolti in casa di Real Time?»
Timmy era piuttosto convinto che se Edith avesse avuto la possibilità di dar fuoco a una persona con una sola occhiata, a quel punto il suo corpo sarebbe già stato carbonizzato.
«Non sono una trentenne» sillabò Edith di nuovo. «Ho ventinove anni. Venti. Nove» grugnì quell'ultima cifra impugnando la sigaretta fra le labbra come se fosse stata un coltello.
«Arrenditi, Killian» commentò Elize con voce monocorde, «la patata avrà sempre la meglio su di te nel mondo di Pandino.»
Killian spalancò ancora una volta la bocca e guardò Elize con orrore. «Non è assolutamente vero! È una coincidenza che lei sia qui, vero, Pandino? Lo hai detto pure tu che è una befana senza scrupoli e sentimenti.»
«Cosa avresti detto che io sono, Pandino?» Edith avanzò di un passo e un altro ancora, Timothy era piuttosto certo che la sua fine sarebbe giunta proprio lì, in quella stanza, in mezzo a studenti sudati e ansiosi per un esame per cui nessuno si sentiva mai pronto. Eppure, Edith si fermò. Si fermò un secondo, quando il cigolio della porta dall'altra parte della stanza risuonò per avvertire i ragazzi che era arrivato il momento di entrare.
La coltre di studenti era troppa per poter scorgere qualcuno sull'uscio, ma la voce del professor Sawyer, in quel momento, così calma e pacata, bastò per ammutolire tutti, persino la donna. «Siamo pronti per l'esame, entrate pure.»
Un altro boato di voci si scatenò in quel momento, non appena a formarsi fu un corridoio di ragazzi pronti per marciare verso l'inferno di quell'esame. Timmy rimase immobile, però, paralizzato sul posto, a fissare una donna che, d'improvviso, si era trasformata in statua di ghiaccio.
«Edith?»
«Pandino, dobbiamo andare» Elize posò la mano sulla sua spalla, cercando di ridestarlo, ma Timmy continuò a rimanere immobile sul posto, gli occhi avvinghiati a quelli della donna, improvvisamente svuotati da qualunque forma d'emozione.
«Edith?»
Lei non rispose subito, aveva le labbra screpolate tremanti e la punta della sigaretta spenta ondeggiava nella sua bocca in un'onda di sussurri incomprensibili. Risollevò piano lo sguardo, il mento appuntito che sembrava tremare per lo sforzo con cui si costrinse a rispondergli. «Odio guidare» gli sibilò, «perciò, quando finirai questo esame, mi riaccompagnerai tu a casa. È il minimo che mi devi, dopo quello che mi hai costretta a fare.»
«Sta cercando di sedurti, Pandino, non cedere» mormorò Killian in quell'istante, per poi venir trattenuto dalla mano di Patrick che, scaltro molto più di chiunque altro in quella stanza, gli coprì la bocca impedendogli di peggiorare la situazione.
«Timmy, dài», Elize lo scosse di nuovo per le spalle. «Il professor Sawyer si arrabbierà, se non entriamo subito.»
«Ha ragione, si arrabbierà sicuramente.» Edith indietreggiò di un passo, per scuotere poi la testa. «Ti conviene sbrigarti, Pandino, prima che...» si fermò l'istante dopo, gli occhi improvvisamente interessati al volto di Elize. Accartocciò le sopracciglia, la perplessità a diramarsi nel suo sguardo nuvoloso. «Hai una faccia familiare, tu.»
Ci fu un breve attimo di silenzio da parte della ragazza che Timmy non comprese, un accenno leggero a un sorriso sulle labbra carnose di lei. «Molti mi dicono che somiglio a Avril Lavigne» rispose poi lei, arcuando il sopracciglio sinistro. «Però io sono più gnocca.»
Le mani di Elize arpionarono il braccio di Timmy, applicando in esso una forza inaspettata per una giovane come lei, nel tentativo di trascinarlo in mezzo alla coltre di studenti e entrare nella stanza. E a muoversi fu il corpo di lui, non gli occhi, ormai calamitati sul volto della donna, legati ad esso da un filo invisibile che gli era stato attorcigliato al cuore senza che se ne rendesse conto.
Lei, così confusa.
Lei, così bella.
E in quel mondo sperduta.
S'inseguirono con gli sguardi, loro due, baci rubati di pupille tramortite l'una dall'altra, e a venir divisi solo i respiri, ma non gli occhi che sembravano essersi perduti insieme in quel mondo di perdita e ritrovamenti. Timmy si lasciò trascinare via, ma il volto rimase ruotato verso di lei. Non fu in grado di nascondersi a quella donna, alle nuvole delle sue iridi, non ci riuscì nemmeno quando giunse ormai alla porta. E nemmeno lei sembrò esserne in grado.
«Edith, grazie!» strillò alla fine lui, gonfiando il suo petto di una speranza diversa dalle solite, più astratta e malleabile, fatta di parole impossibile da esprimere e pensieri così delicati da cadergli in testa in una pioggia di neve.
Lei restò immobile, là, sul fondo della stanza, la sigaretta appesa alle labbra, sulla bocca un sorriso arrugginito sembrò venir caricato come un carillon perduto da anni.
«Se non passi questo esame, Pandino» lo informò cautamente, quasi con timore, «non ti perdonerò mai, ricordatelo.»
L'istante dopo, le porte vennero chiuse e tutto ciò che gli rimase fu la confusione stretta al cuore.
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