L'ingiustizia del perdono
Capitolo diciotto
L'ingiustizia del perdono
Sua nonna gli aveva insegnato a perdonare.
A non coltivare il seme della rabbia che gli avevano piantato nello stomaco quando neanche se n'era accorto, a stare attento a lasciarlo seccare, affinché non germogliasse dentro il suo corpo e lo invadesse come un parassita.
Patricia sapeva che quel seme era pericoloso, che se fosse mai stato annaffiato, avrebbe preso possesso di lui e gli avrebbe impedito di amare come lei, invece, sperava facesse.
Perciò aveva sempre accudito Timmy stando attenta a individuare ogni sua increspatura sul viso, ogni ruga d'espressione che gli calcava la fronte quando l'aggrottava nell'udire parole che gli marchiavano la pelle.
Perdonala, TimTim, gli diceva sempre, inginocchiandosi davanti a lui quando lo vedeva trattenere le lacrime di frustrazione, d'ira, che gli bruciavano gli occhi fino a renderlo cieco. Perdonala, ti prego, perdonala.
Lui aveva imparato a farlo, più per vedere il sorriso sgualcire le guance di sua nonna che per desiderio vero e proprio. Aveva imparato a lasciare andare quegli sguardi che lo inseguivano anche quando la loro proprietaria non gli era affianco, a far cadere per terra i sassi d'aria raccolti dai suoi pugni.
Aveva vissuto così per tutta la sua vita e solo in questo modo era sopravvissuto a sussurri più febbrili di una malattia, a schiocchi di lingua che battevano sul palato quando sbagliava qualcosa: un piatto da lavare, una stanza da risistemare o una semplice fotografia posizionata male.
C'erano, tuttavia, dei giorni in cui ogni sua convinzione crollava e si sfaldava miseramente, rompendosi in cielo e schiantandosi per terra senza esitazione.
Giorni in cui rimpiangeva i momenti passati a sottostare a quegli sguardi, a ricambiare gli sbuffi disgustati con sorrisi appena accennati, a resistere e sopportare il giudizio di quegli occhi che sapevano trovare l'errore anche quando non c'era.
Allora lui sentiva persino il frammento del ricordo di sua nonna rompersi e venir divorato dalla falsità di quell'insegnamento che gli aveva inculcato. L'ingiustizia del perdono lo aveva reso una fragile creatura di sorrisi, perché per perdonare aveva dovuto imparare ad amare e per amare aveva dimenticato persino come odiare.
E ora quell'amara lezione gli veniva sbattuta in faccia da un semplice, unico e atroce messaggio.
Ventotto marzo – 14:00.
Due parole e un orario. Solo quello. Due parole e un orario che erano bastati a farlo sentire più impotente di quanto già fosse.
Il telefono sigillato fra le sue mani iniziò a tremare e d'improvviso non riuscì più a vedere la schermata di quel messaggio.
Distolse lo sguardo, un macigno pesante gli ricadde nello stomaco mentre la sua bocca iniziava a tremare. Morse il labbro inferiore con furia, calcandone la carne con l'incisione dei denti.
Ti odio, avrebbe voluto sussurrare, ti odio con tutto il cuore, ma non ci riuscì, perché sapeva che avrebbe mentito. Lui non era in grado di odiare nessuno, nemmeno Audrey, il mittente di quel messaggio, la donna che gli stava per portar via l'ultimo pezzo rimastogli della sua famiglia.
Lei lo stava sfidando, lo sapeva.
Si stava facendo beffe di lui, convinta che mai sarebbe riuscito a guadagnare abbastanza soldi per poter riottenere ciò che gli spettava di diritto. Quell'sms ne era la prova evidente, Timmy sapeva scorgere il messaggio implicito e denigratorio che si celava dietro quelle poche parole.
Hai cinque mesi, ragazzino, pensi davvero di potercela fare? Lo sai quanto ti costerà? Lo sai che fallirai, vero?
Avrebbe voluto aver sufficiente rabbia da poterle rispondere come forse avrebbe fatto una qualsiasi altra persona: insultandola, odiandola, disprezzandola. Ma non ci riusciva, non ne era proprio in grado. Nel suo cuore c'erano solo battiti infranti e nei polmoni la cenere dei ricordi.
«Pandino, amore mio, cosa sta succedendo?»
Audrey aveva ragione.
Non avrebbe mai potuto farcela.
Cinque mesi erano pochi, troppo pochi. Cinquemila dollari sarebbero stati sufficienti? Ne dubitava. Uniti ai risparmi che aveva, avrebbe raggiunto a stento gli ottomila. No, non ce l'avrebbe mai fatta.
«Pandino?»
Si afferrò la testa con una mano, disperato, le dita aggrappate ai riccioli spettinati, e sibilò dentro di sé. Strinse con più forza la mascella e d'improvviso ebbe voglia di gettarsi sul letto dov'era seduto, rifugiarsi sotto le coperte e fingere di non aver letto quel tremendo messaggio.
Non poteva perdere, non stavolta, non con Audrey. Non poteva dargliela vinta ancora, non per ciò che più desiderava, non per l'unica cosa che lo avrebbe fatto di nuovo sentire qualcuno che valeva la pena di esistere, una persona umana, normale, comune, un qualsiasi ragazzo che meritava di essere lì, di essere amato.
Aveva bisogno di soldi, di più soldi, di qualunque cosa gli permettesse di riavere...
«Pandino, sono nudo.»
Il cellulare per poco non cadde per terra e si ruppe, quando udì quelle parole. Timmy lo riafferrò in tempo, ma la frenesia e la paura di distruggere quell'oggetto lo indussero a inclinarsi troppo in avanti. Il suo corpo perse equilibrio nel momento stesso in cui le sue dita riafferrarono il telefono e nel giro di pochi istanti si ritrovò accasciato a terra, sul pavimento della propria stanza.
Quando sollevò lo sguardo, ritrovò di fronte alla porta della sua camera un Killian completamente nudo.
«Oh dio, Killian!» esclamò, disperato, mettendosi in ginocchio per terra mentre copriva quella visione con la maschera della mano. «Dio, no, ti prego! Io non ho visto niente! Non ho assolutamente visto niente!»
«Andiamo, Pandino! Perché ti scandalizzi così tanto? Mi hai visto nudo un milioni di volte! Non ti ricordi quando abbiamo fatto il bagno insieme? Oh sì, quello sì che è stato emozionante, tu eri così-»
«Avevamo sei anni, Killian!»
«Be', che differenza c'è? Siamo sposati, di cosa ti preoccupi?» Sbirciando dagli spiragli fra le sue dita, il ragazzo riuscì a scorgere il suo amico posare le mani sui fianchi e guardarlo con un sorriso sornione.
«Gesù!» strillò di nuovo Timmy, tornando a nascondere il viso dietro la mano. «Ti prego, smettila! Oh, che orrore! Vestiti, ti scongiuro!»
«Pandino, mi stai spezzando il cuore! Come puoi definire la mia mastodontica stalattite un orrore? È solo grazie a lei se riesco a soddisfarti ogni giorno! Non sputare sul piatto da cui hai mangiato, Pandino! Non mi sembrava ti stessi lamentando molto quando nel mio sogno-»
«Killian!»
«Ti ha scritto la strega, non è così?»
«Audrey non è una strega e-TI SCONGIURO, KILLIAN, METTITI ADDOSSO QUALCOSA!»
La risata del suo amico, per qualche motivo, riuscì a rilassarlo in quel momento. I nervi tesi, contratti dal nervosismo e dalla disperazione, si scioglierso piano, accompagnati dai passi affrettati di Killian che, senza alcun imbarazzo, si aggirava per la sua stanza.
«Prendo in prestito uno dei tuoi asciugamani» canticchiò il ragazzo. «Sono nel solito mobile, vero? Ah, vedo che li hai di nuovo sistemati per colore e grandezza, Pandino. Sei il marito perfetto.»
Timmy udì il rumore di un cassetto che si apriva e si chiudeva, di fruscii veloci e decisi, e quando osò risollevare lo sguardo e scostarlo dalla mano che aveva usato per non guardare la nudità del suo amico, trovò il coinquilino sdraiato sul suo letto, fortunatamente, stavolta, con un asciugamano bianco a coprirgli la vita.
«Vieni qui, Pandino» lo richiamò Killian, battendo la mano sul lato vuoto del letto. Era quasi assurdo vedere quel gigantesco uomo di un metro e novanta in quella stanza così piccola e ordinata, dai dettagli delicati come i mobili indaco e il piumone azzurro decorato da stelline imbiancate. «Lascia che ti coccoli un po'.»
«Sto bene così, grazie.»
«Devo spogliarmi di nuovo per convincerti a rilassarti un po'?» lo sfidò lui, con un ghigno maligno dipinto sulle labbra. «Non ho problemi a immolarmi per la causa, lo sai, vero, Pandino? Per te potrei persino-»
«Ho capito, ho capito, non è necessario che prosegui.»
Con un sospiro, Timmy si rialzò da terra. Il suo corpo era acciaccato dal colpo subito con quella caduta, i muscoli contratti dolevano e pizzicavano a ogni sua mossa, e quando si sdraiò a sua volta sul letto per guardare il soffitto, in compagnia del suo grande amico, si ritrovò a lasciare andare sul materasso quel cellulare che lo aveva condotto alla disperazione.
«Quindi?» La voce di Killian sopraggiunse insieme ai suoi pensieri nefasti da cui mai si sarebbe liberato. «La strega ti ha scritto, giusto?»
Timmy non lo guardò, non ne ebbe il coraggio. Aveva paura di affrontare lo sguardo del suo amico, perché sapeva che non avrebbe potuto nascondergli niente. Rimase immobile, a pancia in su sul letto, con Killian sdraiato alla propria sinistra e un soffitto ricoperto da piccoli adesivi fosforescenti a forma di panda. Un regalo che il coinquilino gli aveva fatto quando si erano trasferiti lì, in quell'appartamento, per festeggiare il loro arrivo e l'improvvisa libertà che Timothy aveva guadagnato, scappando via dalla villa in cui troneggiava la sua nemica.
«Come hai fatto a capirlo?»
«Solo quella strega ti fa fare quella faccia da cucciolo bastonato.»
«Audrey non è-»
«È una strega, continuerò a dirlo fino alla morte, Pandino, arrenditi. E tu dovresti essere il primo a chiamarla così, invece che difenderla in questo modo.»
«Non la sto difendendo, sto solo dicendo-»
«No, non è comprensibile quello che ti sta facendo, Pandino, non lo sarà mai. Accetta il fatto che è una stronza e basta. Ti verrà molto più facile tollerare tutta la merda che ti butta addosso ogni giorno, se lo farai, amore mio.»
«Non intendo dire questo, è solo che è-»
«Che sia ferita o no, non dovrebbe prendersela con te.»
Timothy era così abituato al fatto che il suo amico riuscisse a concludere i suoi pensieri da non riuscire più a rimanerne basito. D'altro canto, solo con Killian lui riusciva davvero ad essere sincero con se stesso, a mostrare quelle incrinature della sua anima che in molti credevano di aver scorto, ma su cui non avevano indugiato più di tanto.
Nessuno aveva mai guardato oltre, nessuno si era mai preoccupato di spalancare quelle ferite per capire da dove sgorgasse il sangue. Nessuno, a parte Killian che sì, era indubbiamente un idiota, ma che lo completava sotto molti aspetti, facendolo sentire a casa nonostante ora non ne possedesse più una.
Timothy sospirò lentamente, osservò la luce al neon che pendeva dal soffitto mentre illuminava la camera dalle pareti imbiancate, ricoperte da poster di cantanti che amava ascoltare nei momenti di gioia e di dolore. «Ventotto marzo» sussurrò alla fine, e la sua voce gli sembrò la rottura di un bicchiere di cristallo. «Alle due del pomeriggio.»
«Cazzo, così presto? Aveva detto-»
«Credevi davvero che mi avrebbe sul serio concesso un anno di tempo?»
Killian non rispose, ma Timmy seppe sin da subito cosa stava pensando. Anche il suo coinquilino, d'altro canto, conosceva bene quella donna. Era l'unico, oltre a sua nonna, che aveva creduto a Timothy, quando lui gli aveva rivelato cosa si nascondesse dietro la maschera di moglie perfetta che lei indossava davanti a tutti.
«Non te lo meriti, Pandino, non ti meriti tutto questo.»
Lui avrebbe voluto poter davvero credere a quelle parole, ma nel suo stomaco percepì il guizzo del senso di colpa, il gorgoglio delle risate amare che tentavano di risalirgli nella gola. Chiuse gli occhi per digerirle, per intrappolarle lì, in modo che non venissero scoperte. «Non posso arrendermi, Kil» ammise alla fine. «È tutto ciò che mi rimane della nonna, non posso perderlo.»
«Non lo perderai, Pandino, te lo assicuro. A costo di rinunciare al mio principio di non alzare le mani su una donna, non permetterò a quella strega di portarti via Patricia.»
Era in quei momenti che Timothy si ritrovava a pensare che, se Killian fosse stato una donna, lui si sarebbe indubbiamente innamorato di lei. Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, perché sapeva come il suo assurdo amico avrebbe potuto reagire per quell'affermazione, ma dentro di sé era consapevole di esser stato più che fortunato. Era stato odiato, distrutto, sbeffeggiato, ma aveva ottenuto in cambio il regalo di ritrovarsi accolto da un'amicizia solida come il tronco di un albero, dura come una roccia di marmo.
«Hai provato a parlarne con tuo padre?»
Timmy aggrottò la fronte, percepì un'altra fitta trapassargli il petto nel sentir nominare quell'uomo. «Ha detto che Audrey è sua figlia e che ha tutto il diritto di farlo.»
«Vincent?»
«Lo sai che non mi parla.»
«Hai una famiglia di merda, Pandino, lasciatelo dire.»
«Non è vero» borbottò lui. «Vanessa è adorabile e anche la nonna era una persona meravigliosa.»
«Tua sorella è un marshmallow fatto persona, un mini Pandino pronto a spodestarti, ma preparati per quando inizierà il suo periodo d'adolescenza.» Una risatina divertita sfuggì alle labbra di Killian. «Verrà ammaliata da stalloni sudati e dai pettorali gonfiati.»
«Praticamente da gente come te.»
«Oh, sì, indubbiamente. Anche se al mondo non esiste uno stallone che possa competere con la mia bellezza e tu lo sai bene. Ehi! Quando tua sorella crescerà, potrebbe innamorarsi di me! Sarà come in un romanzo rosa: la protagonista innamorata del fidanzato del fratello e-»
«Killian, ti prego.» Le risate sgusciarono dalle labbra di Timmy da sole, liberandolo dal peso marmoreo dei suoi stessi pensieri.
«Prendi i miei risparmi.»
Il ragazzo si fermò dal ridere, nell'udire quelle parole, voltò lo sguardo sconvolto, ma Killian lo ignorò, gli occhi unicamente rivolti al soffitto. «Non sono molti, ma a qualcosa potranno comunque servire. Non permetterò a quella strega di portarti via quel che ti rimane di quella gran donna che era Patricia.»
«Non posso accettare, Kill.» Timmy scosse freneticamente la testa, ancora sbigottito da quella proposta. «Sono i tuoi risparmi ed è giusto che tu li utilizzi come più desideri.»
«Oh, non ti preoccupare Pandino, al massimo li avrei usati per prenotare delle spogliarelliste per festeggiare il giorno del tuo compleanno» ribadì l'altro. «E inoltre, so che me li restituirai tutti. Puoi sempre ripagarmi in natura, se vuoi, anzi, ora che ci rifletto non è affatto una cattiva idea. Immagina, Pandino, noi due da soli in un'isola sperduta, con tu che mi spalmi la crema solare sulla schiena nuda e poi scendi in basso per...»
«Oh Gesù, Kill! Smettila ti prego!»
«Niente al mondo dividerà il nostro amore, tesoro mio, neppure Audrey la strega o quella vecchiaccia fumatrice incallita!»
«Edith non è una vecchietta, Killian.»
«La chiami per nome!» tuonò l'amico, il cui volto, finora stranamente serio, tornò a tramutarsi in una enfatizzata maschera di disperazione. «Da quando? Come? Perché?»
«Ohhh, non cominciamo!» Timmy scivolò via dal letto prima che il suo amico potesse proseguire.
«Dove stai andando, Pandino? Guarda che non ho ancora finito le domande! Ehi!»
«Sto andando a controllare come stanno Alice e Judy!» tuonò di risposta Timmy, rifugiandosi nel corridoio su cui si affacciava la sua camera.
«I nostri porcellini d'India stanno benissimo, Pandino! Piuttosto, da quando inizi a chiamare quella vecchietta per nome?»
«È solo un nome, santo cielo!»
«Oh, no, Pandino, non è solo un nome!» strillò Killian a sua volta, seguendolo verso il soggiorno mentre Timmy ricercava la gabbietta che avevano lasciato in quella stanza. «Inizia sempre così, sai? Prima si comincia con i semplici nomi, dopo con i soprannomi come "pasticcino del mio sederino" o "gorgonzola delle mie labbra", per poi finire drammaticamente con lei che si inginocchia di fronte a te, ti apre la cerniera dei pantaloni e inizia a...»
«Non ti sto ascoltando, non ti sto ascoltando, non ti sto ascoltando!» Timmy si tappò le orecchie e corse verso l'angolo del soggiorno, dove trovò la gabbia dentro cui i loro due porcellini d'India lo stavano fissando quasi con perplessità.
«Mi tradirai con lei, me lo sento, il mio marito-radar sta pizzicando da quando l'hai incontrata. Perderai con lei la verginità e d'improvviso inizierai a farmi domande strane su come si lec-»
«Non ti sento! Non ti sento! LALALALALALA!»
Judy e Alice, i loro porcellini, li fissarono con particolare perplessità mentre Timmy s'inginocchiava di fronte alla loro gabbietta per controllarli e rilassarsi con la loro visione. Quelle due palle di pelo erano un toccasana, per lui, soprattutto in quel momento dove la fantasia di Killian stava galoppando e lo stava conducendo in pensieri da luci rosse.
«Non devi, Pandino! Non con una vecchietta! Cos'ha lei che io non ho?»
«Killian», Timmy sospirò e aprì la gabbia per prendere in mano uno dei due porcellini, il tocco del loro pelo vellutato lo fece rasserenare, «ti stai facendo davvero troppi viaggi mentali.»
«Sai uno dei motivi per cui non dovresti metterti mai con una trentenne?»
Perché era suo amico? Perché?
«Una trentenne perderà presto la sua libido sessuale» proseguì Killian, ignorando il fatto che Timmy gli stesse volutamente dando le spalle per non ascoltarlo, «con me non avrai mai questi problemi.»
«Oh santo cielo...»
«Dovrai sostenerla durante le crisi isteriche dovute al ciclo!»
«Ti prego...»
«Inizierà a dimenticarsi subito le date più importanti non appena arriverà ai trentacinque anni! Io mi ricorderò persino il giorno del tuo onomastico!»
«Kill, davvero», Alice grattò il proprio muso sul palmo di Timmy che, per questo motivo, si ritrovò a sorridere, «non c'è niente fra me e Edith, lo so che per te ogni essere umano femminile che mi si avvicina è un potenziale pericolo, ma quella donna non mi sopporta, è palese.»
«È un mostro!» berciò Killian con una smorfia di disgusto. «Solo un mostro potrebbe considerarti insopportabile, motivo in più per cedere la tua verginità a me piuttosto che a quella vecchietta.»
«Non è un mostro, lei è...» Timothy si fermò, di scatto. Ripose con attenzione il porcellino nella sua gabbia, osservandolo mentre, felice, iniziava a giocherellare col suo compagno.
«Oh no.»
Quel verso non gli piacque per niente, risollevò lo sguardo preoccupato, così da incontrare l'espressione contrita del suo amico. Killian lo fissava con le sopracciglia aggrottate e l'indice puntato contro di lui, quasi a volerlo sfidare. «Conosco quella faccia, Pandino, e te lo dico già da subito: non sono affari tuoi.»
«Come? Cos'ho detto? Cos'ho fatto?»
«Quella» dichiarò l'altro, «è la stessa espressione che hai assunto quando a quattordici anni abbiamo trovato nel parco un passerotto con l'ala spezzata e hai deciso di prendertene cura.»
«Non è assolutamente così.» Nonostante fosse convinto di quelle parole, non poté che controllarsi il viso con le mani, mentre si risollevava da terra, quasi sentendosi tradito dalla sua stessa mimica facciale. Percepì fuoco bollente bruciargli i polpastrelli delle dita e ravvivarsi ancor di più quando lo sguardo di Killian si fece stranamente severo.
«La stessa espressione che hai assunto quando alle elementari ho rifiutato quella bambina e tu, per consolarla, hai provato a darle i tuoi biscotti fatti in casa.»
«Le avevi detto che era una strega e lei stava piangendo tantissimo per questo motivo.»
«Lei ti prendeva ripetutamente in giro chiamandoti grassone! Certo che era una strega!» Killian serrò le braccia al petto, una smorfia andò a deturpare il suo viso. «E nonostante ciò, tu sei comunque andato a consolarla, e quando lei ti ha detto di non toccarla perché le facevi schifo, le hai lasciato i biscotti sotto il suo banco senza farti vedere!»
Si sentì colpito nel vivo, distolse lo sguardo e strinse i pugni. «La situazione è diversa.»
«No, invece, è identica. Scommetto addirittura che ti sei preoccupato per quella vecchiaccia così tanto da cucinarle qualcosa!»
Il suo viso andò in fiamme, sentì le guance diventare camini ardenti e inutili furono i suoi tentativi di evadere lo sguardo di Killian; la verità, lo sapeva, gli si leggeva in faccia.
«Hai cucinato per lei!» tuonò l'amico. «Non ci posso credere! Hai cucinato per quella stronza!»
«Non mangia mai!» si giustificò Timothy a quel punto, esasperato, e, per qualche motivo che non riusciva a comprendere, anche imbarazzato da quella situazione che sembrava essergli andata contro. «È praticamente un cadavere che si regge miracolosamente in piedi! Vive solo di sigarette! È così magra che i pantaloni rischiano di caderle da un momento all'altro!»
«Non sono affari tuoi, Pandino!» Killian sospirò, affranto, e lo sguardo che gli rivolse fu più pesante di migliaia di parole. «Pandino, tu sei una persona troppo buona. È uno dei motivi per cui ti amo così tanto, ma è anche uno dei motivi per cui finisci sempre per scottarti.»
Timmy ammutolì, non sapendo che rispondere, si sentì estremamente perduto, in quel momento, nudo di fronte agli occhi di quello che era senz'altro l'unico che possedesse la chiave per potergli leggere la mente e il cuore.
«Non ti lasciare coinvolgere, Pandino.» La voce di Killian era greve, profondamente marcata dall'ansia che stava divorando anche Timothy. Lui socchiuse le labbra, digrignò i denti. «Non iniziare come al tuo solito a lottare per una battaglia che non è tua, soprattutto se la persona in questione non te lo ha chiesto.»
«Ma lei sembra così...»
«Pandino, ascoltami.» Killian si avvicinò a lui, con quell'espressione seria che raramente gli si dipingeva in viso. La sua mano sfiorò il capo del ragazzo e di nuovo lui, dopo tanto tempo, tornò a sentirsi un bambino vorace di carezze, desideroso di respiri. «Hai già una guerra tua da affrontare, non immolarti per un'altra causa che non ti appartiene.»
«Non lo farò» sussurrò alla fine Timmy, domandandosi se davvero sarebbe riuscito a mantenere quella promessa. «Ad ogni modo... dubito che lei me lo permetterebbe.»
Non sapeva nemmeno dire come Edith avesse reagito, di fronte al cibo che le aveva preparato. Probabilmente, non aveva apprezzato quel suo gesto. Timothy aveva preso in considerazione anche quella possibilità. Aveva già immaginato, dentro di sé, che quella donna avrebbe preso la sua quiche per poi buttarla dentro la spazzatura, un gesto di umiliazione che sicuramente non si sarebbe risparmiata, soprattutto nei suoi confronti.
Eppure, nonostante ciò, lui non era riuscito a trattenersi. Vederla in quello stato, osservare le occhiaie che le gonfiavano le palpebre e il terrore che aveva dipinto il sui viso quando gli aveva sussurrato quelle parole - io porto solo morte con me - lo avevano indotto a trovare un modo per farla sentire meglio. Se non spiritualmente, almeno fisicamente.
Aveva visto l'odio che la donna si sputava addosso, in quegli occhi, i peccati con cui si flagellava ogni giorno e che le deturpavano il viso, rendendo il suo sguardo una cascata di lacrime di pietra. Aveva visto l'orrore che provava per se stessa, il ripudio che aveva nei suoi stessi confronti, e non era riuscito a trattenersi, non era riuscito a fermarsi. Aveva ceduto, ancora una volta, all'insegnamento che sua nonna gli aveva dato quand'era bambino.
Perdona, gli aveva detto Patricia, perdona, Timmy.
Lui, inavvertitamente, si era ritrovato a perdonare persino Edith Morrison.
Perché lei sembrava non esserne più in grado.
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