L'amore a volte non basta
Tornò a casa e trovò un funerale.
Letteralmente.
Non appena entrò dentro l'appartamento, l'odore d'incenso gli bruciò le narici e ad arrampicarsi nella testa fu la sonata numero due di Chopin, la marcia funebre.
Per poco non rischiò di inciampare per terra, quando si accorse che Killian era disteso sul divano, con un lenzuolo nero a coprirgli tutto il corpo, e che Elize e Patrick, in piedi di fronte al falso defunto, stavano inscenando un'estrema unzione.
«Posso soffocarlo col cuscino?» stava domando Elize, mentre lanciava gocce d'acqua verso la figura morta di Killian, raccolte con le dita dal bicchiere in plastica che stringeva in mano.
«No che non puoi» fu la risposta divertita di Patrick che, dal canto suo, si stava facendo il segno della croce per imitare una perdita compianta.
«Vuole fingersi morto, no? Posso aiutarlo nell'impresa. Basta che mi dai il cuscino.»
«Cosa diavolo...?» Il rombo dello zaino che piombò per terra dalle mani di Timmy ridestò i suoi due amici. Entrambi si voltarono con le labbra raggrinzite a causa del maldestro tentativo di non sollevarle. Patrick, in particolar modo, sembrava sul punto di esplodere da un momento all'altro, aveva le lacrime agli occhi e le spalle estremamente contratte per trattenere gli sghignazzi. «Io... Killian... cosa... perché... che diavolo?»
«Pandino» lo richiamò a quel punto Elize, la voce incolore di sempre che permeava sul suo volto di marmo, «bentornato, hai un marito da resuscitare e un divorzio da firmare.»
Timothy era più confuso che mai, in quel momento. Era quasi del tutto certo che Killian fosse ancora piuttosto vivo e tranquillo, quando era corso via dall'università per raggiungere Edith, e certo non si aspettava di ritrovarlo a casa come attore protagonista di una cerimonia funebre. Il suo coinquilino si era calato così tanto nella parte da essersi persino preoccupato di comprare dei fiori, un bouquet di rose nere che giaceva, ora, sul suo corpo nascosto dal lenzuolo.
«Cosa sta succedendo?» domandò alla fine, così frastornato da quella situazione da non riuscire a domandare altro. L'odore aggressivo dell'incenso continuava a bruciargli le narici e a stordirgli ancor più i pensieri.
«Hai abbandonato il tuo amato marito per inseguire una vecchietta trentenne» gli spiegò Patrick a quel punto, le mani compresse sopra l'addome per trattenere i singulti che stavano attraversando il suo corpo, «e per questo, ora, lui è morto dentro. Così ha detto, per lo meno.»
Elize si avvicinò al finto corpo esanime di Killian con uno sguardo incuriosito. «Riposa in pace, Killian, pervertito e stalker professionista, ignobile dongiovanni che passa la sua vita a corrompere vite innocenti con i suoi pensieri deliranti.» Per enfatizzare ancor più quell'addio, gli lanciò altre gocce d'acqua sul corpo.
Timothy era senza parole. Era sempre stato particolarmente convinto di conoscere piuttosto bene il suo migliore amico, di poterne anticipare gli assurdi teatrini che ogni tanto realizzava solo per ricordare al mondo intero quanto assurdo e bizzarro fosse, ma non era stato in grado di prevedere quella reazione da parte sua.
Un funerale, santo cielo.
Un funerale.
Si passò una mano sul volto, completamente sconvolto da quella reazione da parte del suo coinquilino. Nella mente, ripromise a sé stesso di non sottovalutarlo mai più. Non era nemmeno sicuro su cosa dire in quel momento: se mandarlo definitivamente a quel paese o scoppiare in una fragorosa risata.
«Da quando te ne sei andato dall'università per inseguire la signorina Morrison» proseguì Elize, il cui corpo andò improvvisamente a sedersi sopra quello morto di Killian, proprio sull'addome e uno sbuffo di sofferenza si levò dalla testa seppellita sotto il lenzuolo, «tuo marito è entrato in una crisi mistica.»
«A stento si reggeva in piedi» gracchiò Patrick, con le guance ormai gonfie degli sghignazzi trattenuti, «non lo avevo mai visto in un simile stato.»
«Che persona orribile che sei, Pandino». Elize incrociò le gambe, affossando ancor più il peso del proprio corpo sopra quello di Killian; stavolta, dal bozzolo del capo del giovane, uscì il sussurro di un'imprecazione, che proseguì ancor più sommesso quando la ragazza iniziò a molleggiare sopra l'addome di lui con frenesia. «Tradire così il tuo maritino adorato.»
«Con una vecchietta trentenne» aggiunse Patrick, le lacrime che gli adornavano le ciglia.
«Se Edith vi sentisse, vi... oh, andiamo, Killian» sbottò alla fine Timmy, guardando con disperazione il finto cadavere, «non riprendere con i tuoi soliti teatrini. Non è successo nulla.»
«Lo hai abbandonato» ripeté ancora una volta Elize. Sembrava particolarmente compiaciuta della situazione, nonostante ciò non si potesse scorger poi così tanto dal suo volto inespressivo, ma dal modo in cui continuava a punzecchiare Killian, era evidente che si stesse divertendo un mondo. La conferma di un simile dubbio sopraggiunse nell'esatto momento in cui Timmy la vide versare l'acqua del suo bicchiere proprio sopra la faccia del coinquilino, trasformando il tessuto in lino della coperta in un drappo umido e inchiostrato, che ridefiniva attentamente il profilo del volto di Killian.
«Elize» la richiamò a quel punto Timmy, notando quasi con preoccupazione il modo in cui il corpo del suo migliore amico si stava contraendo per le sofferenze a cui la ragazza lo stava sottoponendo, «dai, lascialo andare.»
«Perché?» domandò lei, dando un pizzico alla coscia di lui, «tanto è morto, no?»
«Morirà fra poco, se continuerai a torturarlo così» fu il commento ilare di Patrick. «Avrei dovuto portare la videocamera, dannazione.»
«Voi dovreste fermarlo dall'iniziare queste assurde recite teatrali» borbottò Timmy, rimproverando entrambi, mentre Elize liberava il povero marito tradito e morto dalla sua tortura e si rialzava in piedi per guardarlo con indifferenza.
«Chi sono io per poter frenare un amore così passionale?» guaì Patrick con tono drammatico, stringendo il proprio corpo fra le sue braccia in una perfetta imitazione di Killian.
«Questa morte almeno è servita a qualcosa, Pandino?» chiese l'altra, guardando il giovane con circospezione. «Lo hai sul serio tradito o la dipartita prematura di Killian è stata vana? Anche se, in realtà, visto e considerato che lui è un cretino, forse la sua morte non è poi così...»
«Per l'ultima volta» sospirò Timmy, esausto più che mai, in quel momento. Dopo tutti gli avvenimenti accaduti in quel singolo giorno, trovava davvero difficoltà a rimettere in ordine i pensieri, e lo spettacolino che gli si affacciava davanti non lo aiutava minimamente, «non c'è niente fra me ed Edith, l'ho seguita solo perché non stava bene e l'ho riaccompagnata. Fine. Killian, smettila di fingerti morto.»
Dall'altra parte, ottenne solo il silenzio.
«Killian, dai...»
«Ah, a proposito» mormorò a quel punto Patrick, ridestandosi dalle risate per sfilare un foglio di carta dalla tasca dei suoi jeans, «ha lasciato pure un testamento, Pandino.»
Santo cielo...
«Lo leggo io.» Con una mossa fulminea, Elize strappò via il foglio dalle mani di Patrick e lo sfilò con le sue dita, raccogliendone le parole con gli occhi avidi e desiderosi di conoscenza. «Lascio in eredità i miei poster di Dragon Ball alle mie figlie Alice e Judy, la tazza di Rocky alla mia bellissima madre. Le mie riviste porno, invece, dovranno essere seppellite insieme al mio cadavere. Era mia intenzione, inizialmente, donarle al mio amato marito, ma dopo il suo ultimo tradimento mi ha spezzato il cuore e non è più degno di quelle favolose tette. Firmato, Killian.»
Timmy si massaggiò le tempie pulsanti, mentre Patrick, ormai incapace di frenarsi, scoppiò a ridere sguaiatamente, con le mani contratte attorno lo stomaco per trattenersi la pancia.
«Killian...» sospirò Timothy alla fine, ormai disperato. «Non ti pare di stare esagerando un pochino?»
«E tutto è dovuto al fatto che hai inseguito la signorina Morrison e lo hai abbandonato» declamò Elize con le sopracciglia arcuate. «Pensa come reagirà quando quella tipa catturerà per davvero il tuo salmone.»
A Timmy andarono a fuoco pure le orecchie, a quel punto. Rivolse un'occhiata malevola a Elize. «Smettetela di farvi film mentali nella testa, non c'è nulla fra me ed Edith, è solo...» Si bloccò, travolto dal ricordo del corpo di lei che si stringeva al suo, dal volto della donna, così indifferente di fronte a quel tocco, del tutto noncurante e ignara del fuoco che gli aveva trasmesso. Ancora adesso aveva l'impressione di avere sassi dentro lo stomaco, per la frustrazione di quanto vigliaccamente si fosse agitato per quel semplice abbraccio, quando la controparte non aveva provato assolutamente nulla di fronte a ciò. «È solo... una sottospecie di amicizia.»
E fu con quelle parole che il defunto venne rianimato, il corpo di Killian si sollevò a sedere e il lenzuolo bagnato ricadde sulla sua vita, mostrando il volto compianto del giovane ragazzo ferito nell'animo. «Bugiardo!» tuonò con voce acuta, quasi sibilante per il dolore che stava simulando. Gli puntò l'indice contro, in tono accusatorio. «Pensi che non mi sia accorto di come ti guardava?»
«Scusa, non eri morto tu?» domandò a quel punto Patrick, divertito.
Killian, l'istante dopo, tornò a sdraiarsi sul divano e si ricoprì ancora una volta col lenzuolo nero.
«Da che ricordo, mi guardava come se volesse fucilarmi» si difese Timmy.
Il suo amico, a quel punto, si risollevò di nuovo. «Ti guardava come tu guardi una teglia di biscotti al cioccolato appena sfornati!» E di nuovo si nascose dietro il lenzuolo.
«Mi sembra di esser tornata all'asilo nido» borbottò Elize a quel punto.
«Taci!» gracchiò Killian. «Ingrata che non sei altro! Tu sì che sai come buttare sale sulla ferita di un marito tradito!»
Elize, a quel punto, sospirò. Sembrava tutt'altro che dispiaciuta, nei suoi occhi si potevano ancora scorgere fuochi di divertimento che le illuminavano il viso. Si passò una mano fra i capelli, prima di tornare a rivolgere le sue attenzioni a Patrick. «Ora che Pandino è tornato a casa sano e salvo e il devoto marito può piangergli addosso per l'orrendo tradimento arrecatogli, direi che possiamo andarcene. Devo andare a lavorare. Patrick, mi dai un passaggio?»
Sembrava particolarmente tranquilla, ora, ma nei suoi occhi aleggiava ancora quell'interesse che la rendeva più misteriosa che mai. Era da quasi un anno che lui e Killian si domandavano cosa passasse per la testa di quella ragazza. «Certo, andiamo pure. Tua sorella ti dà da lavorare, eh, Elize?»
«Mia sorella è una dittatrice e quel negozio d'animali è il mio personale inferno» fu la risposta di lei, ma, per quanto assurdo potesse sembrare, a Timmy parve di scorgere l'ombra di un sorriso sulle sue labbra. La vide allontanarsi da loro insieme a Patrick e raggiungere con calma la porta, per poi voltarsi all'improvviso, le dita già ancorate alla maniglia, e dire al ragazzo: «Ah, a proposito, TimTim, la tua datrice di lavoro ha un gattino, vero? Perché non le dici di passare ogni tanto al nostro negozio per comprargli qualcosa? Lo sai che abbiamo di tutto e di più e non ci farebbe male un nuovo cliente.»
Timmy aveva già pensato a quella possibilità. Il negozio d'animali che la famiglia di Elize gestiva era davvero ottimo. Era da loro che lui e Killian avevano comprato le gabbiette per i porcellini d'India e sempre da loro si rifornivano per tutte le altre cose necessarie al mantenimento di quelle palle di pelo adorabili. Tuttavia, non poteva negare di non avere avuto il coraggio di parlarne con Edith. Non era certo su come lei l'avrebbe presa, se le avesse fatto una simile proposta.
Certo, si stava avvicinando al gattino, il rapporto con quella meravigliosa creatura era nettamente migliorato nel corso delle ultime settimane, ma se c'era una cosa che Timothy aveva imparato con Edith, era che non bisognava spronarla con forza, non bisognava mai eccedere con le speranze e le incitazioni.
Lui lo sapeva, quanto per quella donna fosse stato di per sé assurdo e importante donare un nome a quel gattino. Era un vincolo che lei aveva deciso di saldare all'improvviso, un legame che sembrava averla quasi ferita, piuttosto che resa felice, e Timmy non voleva che quei piccoli passi fatti in avanti venissero vanificati all'improvviso.
«Proverò a parlargliene» mormorò alla fine, con un sorriso stentato, «ma dubito che accetterà.»
«Peccato» mormorò lei, quando aprì la porta, «abbiamo una nuova collana di collari veramente deliziosa. Ci vediamo, ragazzi.»
Se ne andò pochi secondi dopo, seguita da Patrick, e quando la porta d'ingresso venne richiusa, Timothy si ritrovò a pensare a... a tutto. A un modo per poter tornare a scorgere il sorriso di Edith, convincerla con delicatezza a saldare con più forza il legame con Michelangelo e... e poterla vedere di nuovo viva, guardarla mentre usciva di casa non più solo per comprarsi delle sigarette con cui si uccideva ogni giorno, ma anche per gesti sciocchi e semplici, come comprare un collare a Michelangelo od osservare la semplice meraviglia di un cielo mattutino.
«Allora, quanto mi hai tradito, amore mio? Che tappa hai raggiunto? Sei ancora nella lunga e scoscesa via della mappatura del corpo o hai già raggiunto la casa base?»
La voce di Killian lo destò dai suoi turbolenti pensieri, quando voltò lo sguardo per rivolgerlo di nuovo al divano, si ritrovò a sospirare nello scorgere il suo migliore amico asciugarsi finte lacrime con un fazzoletto di stoffa. «Non iniziare, Killian...» borbottò a quel punto.
«L'ho sempre saputo che mi avresti lasciato, un giorno» singhiozzò il ragazzo, soffiandosi il naso con le lacrime agli occhi. C'era da dire che, quando lo voleva, Killian era davvero un prodigio a recitare. «Ma non pensavo avresti abbandonato così facilmente il nostro nido d'amore per una vecchia pollastrella con manie di sporcizia...» Scosse la testa in un gesto di offesa e si tamponò il volto col fazzoletto per asciugarsi le lacrime. «Non so se potrò mai riprendermi da un simile tradimento.»
«L'unico tradimento che c'è stato è nella tua testa. Non è successo nulla, davvero.»
Tranne quell'abbraccio, quello scontro di corpi, e il respiro di Edith che gli aveva accaldato la gola, le sue braccia attorno la vita, il petto schiacciato contro il suo. Quello sì, era successo, ma solo in Timmy. Solo lui si era infiammato per quell'incontro, solo lui aveva sentito la propria pelle diventare cera sciolta. Lei, invece... lei, invece, era rimasta del tutto apatica. Completamente noncurante di quello che era appena accaduto, del tutto inconsapevole che le era bastato sussurrargli contro l'orecchio per trasformare il cuore di lui in boccioli di fuoco.
Quel pensiero lo imbarazzò, più di quanto avrebbe dovuto.
«Cos'è accaduto, allora?» chiese Killian a quel punto, con gli occhi agganciati a quelli di Timmy. Quest'ultimo, di nuovo, tornò a sentire un conflitto di emozioni arpionarsi alla cassa toracica, premerle contro fino a farla strepitare di dolore. Temeva quasi lo sguardo del suo migliore amico, per il modo assorto con cui lo riempiva e lo scrutava dentro; perché Timmy era consapevole di non potergli nascondere niente, era da sempre stato convinto che nessun segreto sarebbe rimasto tale di fronte al vincolo che aveva stretto con Killian anni addietro.
Eppure, per la prima volta, ebbe quasi l'impulso di tacere. Per la prima volta, Timmy si ritrovò ad esser geloso del momento che aveva condiviso con Edith, era riluttante a mostrarlo persino al suo coinquilino. Dentro il suo petto albergava la brama egoistica di tacere, di conservare solo per sé il dipinto del sorriso di lei, l'incanto di quelle labbra che si ramificavano sulle guance scavate, fino a riempirle gli occhi di un calore così profondo da dar fuoco persino ai pensieri.
Tutto ciò lo destabilizzava molto. Lui non era abituato a quel peccaminoso sentimento. Non era mai stato bravo a conservare, Timmy, era invece un prodigio a condividere e a cedere agli altri. Si sentiva destabilizzato per l'irruenza con cui il suo cuore fremeva, supplicandolo di zittirsi e tacere quel lussurioso sogno in cui aveva, per pochi istanti, battuto per la vicinanza del corpo di Edith al proprio.
«Io...» balbettò alla fine, ma quando risollevò lo sguardo non ritrovò più Killian. Ne intravide l'ombra, invece, dietro il divano da cui si era alzato, e quando la inseguì scorse il suo amico accovacciato per terra, di fronte alle gabbiette di Judy e Alice, soffiarsi il naso e fingere un'incredibile sofferenza.
«Non vi preoccupate, figliolette mie» stava dicendo ai porcellini d'India, con quel tono melodrammatico che da sempre lo caratterizzava, «troverò un altro papà per voi, lo prometto, io non vi abbandonerò mai per una vecchietta. È giunto il momento di andare a caccia di un altro marito. Anche se...», con un altro soffio sul naso, Killian emise un singhiozzo di dolore, «non sarà mai come il nostro amato Pandino. Lo so, lo so. Prometto che vi vendicherò, miei dolci amori, per il tradimento che vostro padre ci ha dato.»
Timothy si ritrovò a sorridere sommessamente, era strano a dirsi, ma in quel momento si ritrovò a sospirare di sollievo nel vedere Killian in quello stato; implicava che nulla, in realtà, fosse cambiato, che la sua vita sarebbe stata quella di sempre, prima che conoscesse Edith Morrison. E lui, in quel momento, aveva bisogno delle sue certezze, della sicurezza di non essere ancora
«Killian...»
«Chi sei tu?» domandò Killian sbuffando. «Qua in casa non accettiamo mariti trad-»
«Le ho detto di Audrey.»
Quella frase bastò per rompere la comicità realizzata dal teatrino di Killian. La maschera che il suo amico aveva indossato fino a quel momento si spezzò e rovinò a terra, rivelando sul viso del giovane un'espressione sconvolta, quasi costernata, a tratti persino... sollevata.
«Le hai parlato della strega? Alla vecchia?»
Forse avrebbe dovuto vergognarsi, sentirsi ipocrita o incoerente. D'altro canto, Killian sapeva quanto per Timmy fosse importante nascondere il suo dolore, i segreti che gli avevano da sempre scombussolato la vita. Confidargli di essersi confessato a Edith gli appariva quasi come un tradimento nei propri confronti, un mero tentativo espiare un peccato per cui non esisteva redenzione; eppure, nel petto aleggiava ancora quel sentimento di soddisfazione, di piacevole affetto per essersi finalmente liberato di quell'ingombrante fardello con cui da anni conviveva.
«Io... non lo so perché» sussurrò alla fine, sentendo le proprie guance andare a fuoco, «stavamo... discutendo su...», si bloccò prima di rivelare altro, non era sicuro di poter rivelare a Killian la parentela di Edith col professor Sawyer, non quando il loro rapporto era così spezzato, non quando Edith era rimasta ferita così tanto al solo vedere il proprio padre, «lei... lei mi ha rimproverato» mormorò quindi, stringendo le mani in due pugni serrati, e quasi arrivò a pensare di avervi occluso dentro anche la vergogna e l'imbarazzo, «ha detto che devo smetterla di preoccuparmi per lei e... non lo so... mi sono ritrovato a dirle di Audrey.»
Negli occhi del suo amico balenò una luce di stupore e sorpresa che infiammò ancor più le guance di Timmy, e di nuovo lui sentì gli occhi di Killian scavare e graffiargli dentro, rivelare sentimenti che ancora non possedevano un nome. Perché era così che il suo amico lavorava, quello il modo in cui si era intrufolato nella sua vita, anche quando Timothy non l'aveva richiesto. Killian non badava alla riservatezza altrui, non gli interessava rispettare i paletti e gli scudi degli altri, e forse qualcuno avrebbe potuto confondere quell'atteggiamento per maleducazione, ma per Timmy era tutt'altro.
Lui sapeva che il suo amico era molto più di quanto potesse apparire a prima vista, un idiota pervertito, che Killian era bravo a cucire i lembi distrutti dell'animo altrui, sapeva anche che non c'era modo di sfuggire all'indagine dei suoi occhi, di celare quei segreti che erano sepolti dai sorrisi fasulli; Killian li avrebbe trovati comunque, anche senza la necessità che venissero confessati, li avrebbe sottratti ai loro proprietari per mostrarglieli senza quel contorno di biasimi e rimproveri con cui loro li avevano decorati.
«E?» gli domandò alla fine il suo coinquilino, un'espressione intraducibile a colmargli il volto. «Come ti ha fatto sentire parlarne con lei?»
«Be'...» Timothy era timoroso all'idea di incontrare il suo sguardo, temeva che in esso avrebbe scorto parole e sensazioni che non era ancora pronto ad accettare, perciò lasciò vagare i suoi occhi lungo l'appartamento, sulle piastrelle del pavimento, sui muri, sui mobili, fino a quando la voce di Edith non tornò ad echeggiargli nella testa. È con le parole che si combatte, non con gli sguardi che fuggono. Quella dichiarazione affievolì la paura, la tramutò in cenere e scaldò la fonte del coraggio che aveva sempre creduto essersi spenta da anni. Tornò a scrutare il suo coinquilino e nei suoi occhi verdi ritrovò la malinconica certezza di non potergli nasconder nulla, la consapevolezza che qualcosa si stava decisamente modificando nella vita pacata che aveva sempre condotto, un maremoto di emozioni che portava il nome di Edith Morrison. «Sollevato» ammise alla fine. «E... felice.»
«Non so, Pandino...» biascicò l'altro. «Non so se esser felice che finalmente hai deciso di condividere le tue paure con qualcuno o se dovrei sentirmi offeso che lo hai fatto con lei e non con me.» Si grattò il mento con fare dubbioso, in un'espressione di incertezza che strappò a Timmy un sorriso. «A dire il vero sono parecchio geloso. Non ti sei mai concesso a me come stai facendo ora con lei. Sono offeso, profondamente offeso.»
«Io non-»
«Ma» esclamò all'improvviso, interrompendolo di nuovo, «come ben sai, la tua serenità per me viene al primo posto, persino prima della patata. E se confidarti con lei ti ha fatto star meglio, allora non me ne lamenterò. Più o meno.»
«Parli così, però non sembri per niente convinto» notò Timmy a quel punto, e un sorriso amaro solcò le labbra di Killian.
«Non voglio che tu rimanga scottato, amore mio, tutto qui» gli spiegò alla fine, mandandogli un bacio volante, «è vero che, in ogni caso, ci sarò sempre io pronto a consolarti e a coccolarti mentre piangi nel sonno per il cuore spezzato, ma...»
«Oddio, Killian.»
«Temo che il casino che quella vecchietta ha nella testa sia molto più grande di te, Timothy.»
Non lo chiamava mai Timothy, se non nelle rarissime occasioni in cui tornava a fare il serio, e sentire il proprio nome in quel modo, dalla voce del suo amico, indusse brividi di preoccupazione a diramarsi lungo la sua schiena.
«Cosa intendi dire?»
Killian sospirò, affranto, e nello sguardo di smeraldo danzò un'ombra torbida, che ridefinì gli angoli squadrati del suo viso fino a mostrarne tutte le preoccupazioni.
«Quando guardo quella donna, vedo gli occhi di una morta, Timothy» gli confessò alla fine, con una freddezza che cristallizzò persino i pensieri, «io quel genere di occhi li ho già incontrati, amore mio, lo sai, e se c'è una cosa che ho imparato da quell'esperienza... è che non sempre basta l'amore per donar loro di nuovo la vita.» Un altro sorriso sofferto si dipinse sulle labbra del coinquilino. «L'amore a volte non basta, Timmy, l'amore a volte non salva.»
Nota autrice:
Perdonatemi davvero per il ritardo dell'aggiornamento, come alcuni di voi sapranno, ho affrontato un brutto periodo che mi ha indotta a eclissarmi dai social per un po', e solo adesso mi sto riprendendo.
Questo capitolo è di passaggio, me ne rendo conto, ma è fondamentale per comprendere non solo il rapporto fra Killian e Timmy, ma anche Killian stesso, un ragazzo che a prima vista può apparire solo come un amico idiota, ma che per il suo Pandino farebbe di tutto e che si preoccupa per lui molto più di quanto si possa pensare.
Forse Killian e quello che ha detto alla fine del capitolo vi destabilizzerà, ma sappiate che lui, più di tutti, sa bene di cosa parla. Lo scoprirete più avanti, ve lo assicuro. Inoltre, quanto ha detto non lo ha detto per ferire o demoralizzare Pandino, è unicamente un concetto che sarà alla base di questa storia.
Killian ha visto Edith, ha visto quello che la donna si trascina addosso, ma lui non è come Timmy, lui guarda da una prospettiva che... non per forza è sbagliata.
In futuro, non dimenticate le sue parole. Saranno fondamentali sotto tantissimi aspetti.
"L'amore a volte non basta, l'amore a volte non salva"
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