A qualsiasi costo
Capitolo quattro
A qualsiasi costo
Era stata Patricia a insegnargli a cucinare, quando era bambino.
Di quei giorni lontani Timmy ricordava il profumo di biscotti e cannella, il calore di quelle dita deturpate dalla vecchiaia che gli accarezzavano il viso e gli stringevano le paffute guance. Ricordava gli occhi tiepidi di sua nonna, così simili ai suoi, due cortecce sicure dentro cui lui si sentiva protetto e amato.
Si era innamorato perdutamente di quei momenti che poteva condividere insieme a sua nonna, li aveva adorati dal principio alla fine, e ancora adesso riusciva benissimo a percepire il calore di quelle memorie, la dolcezza delle mani di Patricia che afferravano le sue e gli spiegavano quale fosse il metodo migliore per impastare.
Patricia era in grado di trasformare un cumulo di farina in un piatto caldo capace di riscaldare l'animo più ghiacciato. Era abile nel comprendere i turbamenti del suo cuore le volte in cui nemmeno Timothy stesso riusciva a capirli.
Cucinare era rimasto il suo hobby preferito, l'unico che apprezzasse con tutto se stesso e l'unico che fosse in grado di calmarlo anche nei momenti di stress più grande. Per questo motivo, quel giorno si buttò sui fornelli come mai aveva fatto prima d'ora.
Le sue mani si muovevano da sole, nervose e impazzite, ricercavano i movimenti calmanti con cui potersi distrarre attraverso quell'attività, e nel suo cuore, proprio lì, sul petto, poteva percepire il battito leggero di centinaia di farfalle. Ubriache. Drogate. Forse alcune mezze morte.
La cucina si era riempita dei rumori che stava creando da più di due ore. I fornelli in acciaio nascosti da padelle e pentole, fra le pareti celesti, dalle decorazioni novecentesche, rimbalzava il profumo del brodo di pollo; un alone nebbioso si era creato dentro quel piccolo abitacolo, fuoriusciva lentamente dalla cucina e raggiungeva pian piano il soggiorno grazie all'arco aperto che collegava le due stanze.
Si chiese da quando l'incontro con una sconosciuta fosse in grado di destabilizzarlo in quel modo, e di nuovo si ritrovò a pensare a quella donna, proprio come aveva fatto centinaia di volte nel corso delle ultime ore, dal momento in cui era partito insieme a Killian dal minimarket a quello in cui era rientrato nel loro appartamento.
L'immagine di quelle clavicole, sporgenti anche sotto lo spesso tessuto della felpa, lo destabilizzò, portandolo a sbattere il fianco contro lo spigolo in granito del ripiano di lavoro. Imprecò, sottovoce, sollevò lo sguardo e osservò il disastro che aveva combinato in quella piccola cucina, ora così piena di cibo da non essere più riconoscibile.
Questo, si disse, era uno dei motivi per cui non sarebbe mai potuto dimagrire: aveva una pericolosa tendenza ad abbuffarsi nei momenti di ansia. Le sue mani ricercavano voraci la consolazione del cibo ogni qual volta il suo cervello sfrecciasse sui binari del disagio mentale. Era patetico, ne era consapevole, eppure, nonostante ciò, non riusciva a smettere di sentire su di sé il marchio di quegli occhi.
Aprì il frigo alla sua sinistra, ne estrasse dal suo interno una bottiglia d'acqua e, quando lo richiuse, fissò con grande afflizione le parole che erano state composte grazie ai magneti a forma di lettere, appesi sulla superficie rossa del mobile.
Serenità.
Una risatina nervosa gli graffiò la gola. Serenità, certo, come no, in un momento del genere tale sentimento sembrava essergli completamente sconosciuto. Il cuore gli divorava la mente con i suoi terribili e feroci battiti e quando Timmy poggiò la bottiglia sul piano di lavoro, con la mano fece cadere per terra la gigantesca ciotola d'insalata che aveva preparato.
Quelli erano i momenti dove capiva pienamente il perché le sue relazioni amorose naufragassero prima ancora di salpare.
Si chinò piano, le mani che si stringevano sopra le mattonelle grigie del pavimento, nel tentativo di acciuffare le foglie dell'insalata e i pezzettini di carota sparpagliati ovunque. La sua mente era vuota, riempita solo dall'eco di quella voce, dal tintinnio dei soldi di cui aveva disperatamente bisogno.
Mille dollari.
Mille, dannatissimi dollari.
«Amore mio.»
Quella voce all'orecchio fu la goccia che fece traboccare il vaso del trauma mentale. Timothy balzò in piedi con furia, percepì il chiaro e forte dolore che si diffuse nel suo capo quando con la testa andò a sbattere contro la mascella di colui che, ancora adesso, osava definirsi suo marito.
«Maledizione, Killian!» imprecò con affanno, il cuore ormai che pompava solo terrore. «Non ti avvicinare alle mie spalle in questo modo!»
Killian indietreggiò lentamente, piano, con la stessa suadenza di una pantera. Un ragazzo affascinante, dalle mille doti e i mille difetti, ecco chi era il suo coinquilino.
Si conoscevano da una vita, forse più che una vita. Erano stati legati indissolubilmente da quando erano bambini: felici di essersi incontrati e scopertisi fratelli fuori dal sangue. Killian proteggeva e Timothy sorrideva, così avevano intrecciato i fili della loro amicizia, per poi trasformarli in corde dure e indistruttibili, grazie a cui l'uno avrebbe sempre e comunque potuto dire cosa pensasse l'altro.
C'era solo un problema: che Killian, oltre a tutto ciò, era anche il ragazzo più pericolosamente stupido che Timothy avesse mai incontrato.
«Dolcezza, cavolo» gracchiò lo stupido in questione, massaggiandosi la volitiva mascella dolorante con le dita e grattandone la ricrescita della barba grazie alle unghie, «ho sempre sospettato che avessi tendenze al mondo del BDSM, ma non immaginavo certo un attacco così improvviso. Non ho comprato le fruste, avrei dovuto provvedere prima.»
Timothy si domandò come fosse possibile che, pur conoscendo quel maniaco da oltre diciotto anni, le sue battute continuassero a imbarazzarlo in quel modo. Era abituato ad esse, se le aspettava ogni secondo, eppure continuava a finire per trasformarsi in fuoco puro ogni volta che le ascoltava.
Killian gonfiò il petto nudo, gli addominali si riempirono del suo respiro, calcando la marmoreità di quella pelle che era stata tesa allo spasmo per accogliere i muscoli nati dopo anni e anni di allenamenti di basket. Un sorriso lascivo curvò le sue labbra carnose, illuminandone il volto scolpito e ridefinito, squadrato dalle linee dure che calcavano la mascella e raddrizzavano il naso elegante.
«Perché sei a petto nudo?» balbettò Timothy a quel punto, sbattendo più volte le palpebre, nel disperato tentativo di ignorare il fatto che i capezzoli di Killian fossero praticamente poco più in sopra dell'altezza dei suoi occhi. «Dobbiamo mangiare, fra poco.»
«Be', ti vedevo perso nel tuo mondo, Pandino» ribatté quest'ultimo con un altro sorriso calcato da pura maliziosità, «ho pensato che la vista del tuo bellissimo marito nudo ti avrebbe riportato alla realtà.»
Loro due erano sempre stati così, sin da quando Timmy ne aveva memoria. Killian, amante dell'amore, che mostrava l'affetto in ogni sua forma, anche quella più comica, e Timothy, che di amore ne conosceva il calore ed era con esso che lo trasmetteva. I due erano parte l'un dell'altro, amici, compagni e fratelli. Killian sfotteva e lo prendeva in giro, di risposta Timothy taceva e si imbarazzava, perché non c'era bisogno di parole in quella quotidianità con cui avevano affrontato ogni giorno della loro vita.
Tuttavia, in quel momento, Timmy si domandò davvero se fosse stata una buona scelta permettere che quel legame si facesse così profondo e duraturo. Se avesse messo in dubbio tale decisione quando era ancora in tempo, probabilmente ora di fronte a sé non si sarebbe ritrovato il suo coinquilino nudo, ad eccezione di quei boxer attillati.
«Non sono tuo marito.»
Sopracciglia folte e larghe si arcuarono sul volto sconvolto di Killian, che indietreggiò: una mano sul cuore e le labbra spalancate in un'enfatizzata maschera di profondo dolore. Quel ragazzo era così alto per colpa del suo metro e novantatré che, col capo, finì per sfiorare la lampadina che pendeva sul soffitto.
Luce bianca sfarfallò, illuminando le pareti della cucina e i mobili aranciati appese ad esse. «Io... Non sono tuo marito? Mi diseredi così, amore mio?» gracchiò Killian a quel punto, sbattendo la schiena contro la parete su cui si apriva l'arco aperto che introduceva allo spazioso soggiorno. «Dopo tutto quello che abbiamo fatto insieme, dopo tutto quello che abbiamo dovuto affrontare per suggellare il nostro amore...»
«Dai, Killian.» Dalle orecchie di Timmy stava praticamente uscendo fumo, il ragazzo si coprì il volto con una mano, imbarazzato non solo per le stupidaggini dette dal suo coinquilino, ma anche – e soprattutto – per esser stato scoperto in un momento dove le paranoie lo avevano trascinato in un altro mondo. Sapeva che il suo amico aveva capito tutto, Killian lo faceva sempre: lo scorgeva nell'animo e ne svelava i pensieri, senza che il ragazzo potesse fare qualcosa per fermarlo. «Non riniziare con i tuoi deliri mistici.»
«Pandino, stai cucinando più di tua nonna al pranzo del Ringraziamento» notò a quel punto l'amico, Timmy sussultò, sentendosi scoperto, «quando entri in modalità "friggiamo pure le pantofole" vuol dire che sei in panico più totale. Non mi dire che è per colpa di quella vecchietta!» strillò poi Killian, portando il ragazzo a sussultare. «Lei? Mi tradisci ancora! Di nuovo! Non ci posso credere! Anche se... Effettivamente aveva un gran bel culo, quella vecchietta.»
Timothy ebbe l'improvviso desiderio di fare harakiri proprio lì, nella loro cucina.
«Quello è un culo naturale, amico mio, fidati, io me ne intendo» proseguì Killian, ignorando volutamente il fatto che Timothy stesse sbattendo la testa contro il frigorifero pur di non ascoltarlo, «nessuna corsa o attività fisica può donartelo, è insito dal momento in cui nasci. Somiglia molto a un...»
«Come diavolo hai fatto a vedere il suo sedere, se eri chiuso in macchina?»
«L'ho visto mentre facevamo la spesa e lei pagava alla cassa.»
«Ma eri nel reparto liquori!»
«E allora? Lo sai che dove c'è gnocca ci sono io.»
Avrebbe di gran lunga preferito non protrarre quella conversazione, ma Killian, come sempre, non era dello stesso avviso. Timothy non si sentiva mai così scoperto come quando il suo amico lo guardava negli occhi e lo scrutava dentro, perché sapeva che non avrebbe mai potuto nascondere niente a quello sguardo di smeraldo: un tappeto di foglie estive intrappolato in iridi chiare e sicure.
Alla fine, si arrese, come sempre faceva quando si trattava del suo coinquilino. Lui era l'unico a cui sapeva di poter confidare le sue paranoie senza venir giudicato, perciò, alla fine, tornò al brodo di pollo che stava cuocendo nella pentola e riprese a parlare: «Non... Non so quanto mi convenga accettare quel lavoro.»
Killian posò il suo corpo muscoloso contro la colonna che reggeva l'arco aperto della cucina e lo osservò, le sopracciglia scure e folte si sollevarono sulla spianata fronte, prima che lui rispondesse: «Lavorerai per mille dollari al mese e vedrai un culo a cuore praticamente quasi tutti i giorni, non vedo perché non accettare, amore mio.»
Be', detta così suonava effettivamente una proposta irrifiutabile.
«Mi odia» gracchiò infine Timmy, osservando le tagliatelle che cuocevano nel brodo. Nascose il viso dietro la tenda delle mani, cercando di celare la mortificazione che provava nell'ammettere una simile realtà. «Mi odia.»
«Che cosa?» La risata fragorosa in cui Killian esplose portò Timothy a guardarlo male, in risposta lui si strinse nelle spalle e si passò una mano fra i corti capelli scuri, rasati ai lati e lasciati crescer di poco solo sopra il capo. «Amore mio, tu sei come un panda: morbido e coccoloso. È impossibile odiarti. Se fossi una donna, saremmo già sposati e avremmo quattro figli, per ora mi devo accontentare del fatto che sei solo mio marito.»
«La parte in cui ho firmato la carta del matrimonio con te sfugge alla mia memoria» borbottò Timmy.
«Eri troppo intento a guardarmi il sedere per renderti conto di cosa stessi facendo.» Killian sghignazzò di nuovo, prima di avvicinarsi al suo amico e stringerlo con un braccio per una spalla. «Luce dei miei occhi, perché sei così restio ad accettare? Si tratta di una trentenne con il culo più sodo che abbia mai visto, una donna che ti ha offerto mille dollari al mese solo per pulirgli la casa: cosa potrebbe andare storto?»
«Non lo so... Ascoltandoti sembra quasi assurdo che io rifiuti la proposta, ti sei dimenticato di un piccolissimo particolare, Kil.»
«Ha le tette piccole? Me ne sono accorto. Due bottoncini, praticamente, però, ehi, ci si può divertire anche senza di quelle. Anzi, mi sembra un ottimo modo per introdursi al mondo della sessualità, le tette grosse ti procurerebbero ansie da prestazione se decidi di perdere...»
«Gesuissimo marshmallow, Killian, se continui così...» Timmy era così rosso in volto che quasi riuscì a sentire le grida delle sue cellule mentre morivano bruciate. «Se continui così... Vai a letto senza cena!»
Il volto di Killian s'illuminò di un sorriso a trentadue denti. «Ah, amore mio» gli sussurrò all'orecchio, prima di baciargli la guancia con fare romantico, «adoro quando ti comporti come mia madre, lo sai che ho un debole per le MILF.»
Timothy fu attraversato dai brividi di quel contatto con le labbra di Killian, si scansò dal suo amico e lo guardò furibondo: «E non mi prenderò più cura dei porcellini d'India!» strillò a quel punto, disperato, per poi rendersi conto da solo di quanto patetico e stupido sembrasse.
«Lo sai che dopo ti sentiresti troppo in colpa, proprio come accadde quando alle elementari partimmo per il campeggio e il tuo criceto morì perché gli mancavi troppo. Passasti tutte le vacanze estive a piangere sopra la sua tomba.»
Timmy sigillò le labbra, consapevole di quanto veritiere fossero quelle parole. Alla fine distolse lo sguardo e lo posò sui banconi della cucina. Quel disordine lo infastidì molto, tirava fuori il maniaco del pulito che era in lui.
«Pandino, luce dei miei occhi» lo richiamò Killian a quel punto, «tu hai bisogno di soldi, di tanti soldi, altrimenti...»
«Lo so» gracchiò alla fine Timmy, la voce gli crollò al solo pensiero di ciò che gli si prospettava davanti. Odiò il modo in cui il suo cuore tremò, di fronte a una simile consapevolezza, il tremore delle sue labbra mentre ripensava a ciò che sarebbe comportato se non fosse riuscito a guadagnare quei soldi.
Killian, come al solito, comprese ciò. Lo comprese e lo perdonò, lo accettò per quel che era, per tutti i suoi disagi e per tutte le sue paranoie, afferrò il suo dolore e lo divise in due, così da privarlo della sofferenza di doverlo sopportare da solo. Timmy gli fu eternamente grato per ciò, e quando sollevò lo sguardo in alto, per compensare ai venti centimetri di differenza che li dividevano in altezza, gli sorrise con un sospiro. «E se...» balbettò alla fine. «E se fosse una serial killer?»
Le sopracciglia di Killian schizzarono verso l'alto. «Sapevo che avresti pensato a una cosa simile» ridacchiò alla fine, dandogli dei colpetti sulla spalla e spettinandogli i riccioli corvini. «Non è una serial killer, Pandino. Ok, forse è un po' pazza, non sembrava molto in sé quando l'abbiamo vista nel minimarket mentre rifiutava l'offerta di un ombrello, nonostante fosse più acqua che corpo, ma non credo sia così pericolosa.»
«Non puoi esserne sicuro.»
«Pandino, ascoltami, non andare in paranoia, dolcezza» lo richiamò l'altro, costringendolo a incrociare i suoi occhi verdi. Killian sollevò il suo sopracciglio e si passò le dita sulla mascella squadrata, grattandone la ricrescita della barba con i polpastrelli. «Ti ha solo fatto un'offerta di lavoro che tu devi decidere se accettare o meno. Non ti assalirà, il che è un bel peccato, visto che sei un manzo che necessiterebbe di esser montato alla grande da una cowgirl-»
«Per tutti i muffin del mondo, Killian, smettila!»
Killian sghignazzò di nuovo. «Amore mio, hai bisogno di perdere la tua verginità con qualcuno» gli disse. «E le trentenni ci sanno fare col sesso. Oh, se non ci sanno fare. Hanno imparato molto dalla loro vita, conoscono trucchetti sensazionali. Una volta una di loro mi ha mostrato come-»
«Tu meriteresti il convento.»
«Non mi sembrava ti lamentassi così tanto quando abbiamo passato la prima notte insieme...»
«Killian!»
Il sorriso di Killian si sgualcì con diabolica goduria, mentre Timothy afferrava il mestolo e lo minacciava facendo volteggiare a caso lo strumento nell'aria. «Sei stato il primo uomo che mi abbia mai toccato veramente...» continuò il pervertito, stringendosi fra le braccia e rendendo stridula la sua voce, «non dimenticherò mai le sensazioni che mi hai fatto provare quel giorno...»
«KILLIAN!»
Non c'era da sorprendersi se ora, all'università, tutti gli altri studenti erano convinti che loro due fossero una coppia. Era già un miracolo che non gli fosse ancora arrivata una notifica su facebook dove il suo amico dichiarava il loro matrimonio a tutti.
«Pandino, marito mio» lo richiamò ancora, a quel punto, con un'espressione così severa in viso che Timothy si domandò che droga avesse preso. «Lo sai che ti amo e sai che se dovessi scegliere fra te e la patata, prima sceglierei te e poi la patata.»
Quel discorso non gli piaceva per niente.
«E non sopporterei l'idea di vederti soffrire» aggiunse poi il suo amico, stringendo con più forza la spalla di Timothy, «e sappiamo entrambi che se tu non riuscissi a guadagnare quei soldi, soffriresti come un cane.»
Il ragazzo non seppe che ribattere, non ne fu in grado, sapev meglio di tutti quanto quelle parole fossero reali. Fu tremendo ammetterlo, accettare questa verità, ma non ebbe altre scelte. La vita non gliele aveva concesse.
«Accetta quel lavoro, chiedi una settimana di prova. Vedi come va. È un'occasione troppo importante perché tu possa rinunciarvici così, senza neanche averci provato prima.»
C'erano dei momenti dove avrebbe voluto esser più forte, una persona più coraggiosa e saggia, capace di non provare quei terribili sentimenti che tre quarti delle volte lo soffocavano fino a privarlo del respiro. Avrebbe voluto calcificarsi, diventare un corpo di marmo impenetrabile, così da impedire alle lame del dolore di scalfirlo.
Purtroppo, non era mai stato così. Lui era carne morbida, preda facile degli schiaffi della vita, vittima dei graffi più profondi. Timothy non era in grado di non provare, non era capace di ritrovare forza nel dolore, lui lo accettava e basta, sforzandosi di ammettere che era l'unica cosa che sapeva e poveva fare. Per se stesso e per la sua famiglia, per salvare quel poco che gli era rimasto di essa.
Anche a costo di impazzire.
Anche a costo di costringersi a fare ciò che non desiderava.
Per quei soldi avrebbe fatto di tutto.
Persino lavorare per Edith Morrison.
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