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Ma tu che vai ma tu che rimani fra i secoli e il morire delle albe -Prima parte


Questo capitolo è lunghetto così ho voluto dividerlo in due parti, in questa prima parte abbiamo un nuovo personaggio, Werrsot, un garzone di fattoria e semplice "fattorino" ma si rivelerà molto altro.

Beh signori abbiamo concluso i personaggi principali ( la storia sarà corale quindi non incentrata solo su Ithil e Ivark anche se sono stati pensati inizialmente nel ruolo di protagonisti principali ), dal prossimo capitolo la storia potrà finalmente iniziare e si ci sono voluti quasi dieci capitolo, spero che nessuno si sia annoiato fino ad ora perché sì lo so che è stato piuttosto lento fin qui e senza molta azione, ma a chi è rimasto, potete finalmente tirare un sospiro di sollievo, la presentazione è finita e finalmente possiamo patire all'avventura!.

Datemi poi i vostri pareri su Werrsot.

P.s dal prossimo capitolo punto di vista un po' su tutti i personaggi, e cercherò di far "resuscitare" Ivark che poverino si è ripreso ma non è nella sua forma migliore.

I tre cavalli sbuffavano, muovevano il collo e battevano gli zoccoli con nervosismo, fermi da circa un ora davanti a quel portone incastonato nella mura di cinta della terza cerchia, oltre la quale vi era la zona neutrale, di pochi metri grande quanto un villaggio, territorio situata fra una cerchia e l'altra dove chiunque poteva, dopo esser riusciti a superare le sentinella di guardia, trafficare tutto ciò che nelle quattro mura di Issergundu era proibito, come nel suo caso quei cavalli non registrati ( tutti i cavalli, ma in generale il bestiame, che entravano e uscivano dalla città passando fra le varie mura dovevano essere registrati fin dalla nascita e venivano riconosciuti da un marchio a forma di foglia sul collo degli animali ) e lui era riuscito grazie a una scorciatoia imparata da bambino, a eludere la sorveglianza stretta e ferrea che vigeva fra una cerchia e l'altra.

Si guardò intorno nervosamente, non aveva mai visto prima colui che aveva commissionato al suo padrone quei tre cavalli, sapeva solo che si chiamava Markann, e dalle parole del suo datore di lavoro, che tale individuo gestiva una libreria, ma in verità una copertura per svolgere l'eretico mestiere di erborista e scienziato - paroloni per definire uno stregone, a detta sua - ovviamente usando erbe e utensili non segnati nel Libro della Medicina e Anatomia del Regno.

Il suo padrone diceva che quello che stava per incontrare era un essere abbietto che l'aveva minacciato solo per non esser riuscito a pagargli le cure per il figlio, Teolk, malato di morbo rosso ( Teolk era suo amico, forse il solo a trattarlo non al pari di un semplice garzone e servo a differenza del padre ).

Il suo padrone, che gestiva una fattoria di sia propietà con i due figli, gli raccontava sempre di come quel cosiddetto medico, dopo aver curato il figlio, avesse preteso di poter richiedere dei favori a suo piacimento in mancanza di denaro e arrivando a minacciare di far fallire l'intera proprietà, certo poi subito dopo ha voluto precisare che forse era una cosa troppo estrema, quindi si sarebbe limitato a prendere, come "aiutante, una domestica già ce l'ho", la sua figliola, Marsha di vent'anni, ancora a casa del padre e considerata zitella dalle pettegole della città ( "fidati, ti faccio un favore, una bocca in meno da sfamare" aveva concluso il medico ).

Per fortuna ( senza Marsha non avrebbe mai più mangiato le frittelle di miele più buone dell'intera Issergundu, come le preparava lei non c'erano paragoni, e poi era sempre così gentile e dolce con tutti, anche con lui ) il suo padrone aveva optato per saldare il favore, così proprio due albe prima aveva ricevuto una lettera in cui gli si chiedevano tre cavalli, e preferibilmente, cavalli non marchiati.

Ricordava le imprecazioni, la lettera accartocciata e poi stracciata in mille pezzi, lui aveva sbirciato però, per fortuna o casualità, non aveva mai imparato a leggere né tanto meno scrivere.

Era lì in quella fattoria dall'età di undici anni, cinque dei quali passati in mezzo ai boschi con altri bambini, senza alcun adulto a prendersi cura di loro, e una volta in citta nessuno era disposto a prendere un con sé un elfo - non elfo, mezz'elfo, papà era umano - tranne quel fattore che, impietositosi a vederlo vestito di stracci intento a mordicchiare un pezzo di pollo di cui restava solo l'osso, se l'era preso con sé come garzone.

E dopo trecento anni e sei generazioni che si erano succedute di padre in figlio, era rimasto sempre lì alla fattoria, ormai lui stesso divenuto quasi parte della fattoria... aveva avuto l'onore di conoscerne il capostipite, lo stesso che l'aveva preso con sé e aveva appena costruito quella che era all' inizio una casetta di legno, con qualche gallina, un piccolo appezzamento, qualche mucca e dei maiali per poi trasformarsi nella fattoria dell'attuale propietario, Orshen e figli.

In tutti quei secoli a nessuno era mai venuto in mente di scacciarlo via, perché fin da quando era arrivato gli affari erano sempre andati bene, certo c'erano state escursioni di banditi, incendi e periodi di moria e siccità, ma mai nulla che potesse far chiudere l'attività...quel garzone che aspirava ad essere solo tale, chiedeva solo vitto e alloggio e nemmeno un centesimo, era considerato una sorta di portafortuna da tutti i membri della dinastia Davsshon ( dal nome dei fondatore della fattoria ).

Tutti pensavano che la sopravvivenza della fattoria ( e della stirpe, i figli erano sempre nati sani, sia maschi che femmine, nessuna donna era mai morta di parto ) fosse per merito dei suoi poteri elfici, eppure non aveva mai usato i suoi poteri in mezzo agli umani, era una delle regole che si erano posti quando vivevano nella foresta, quindi aveva dovuto arrangiarsi come poteva ( come tutti loro, come un essere umano ), e anche se avesse potuto, essendo elfo per metà i suoi poteri non erano così forti come quelli degli altri, anzi non ne aveva affatto.

Come unica dote, se di capacità si poteva parlare, vi era quella di riuscire a sentire i pensieri delle piante e alberi anche non riusciva a capire nemmeno lui come e perché, forse grazie alla loro impercettibile sapeva solo di avvertirne l'energia, che si traduceva, a sua volta, in pensieri talmente flebili da dover aguzzare l'udito e trovarsi in situazioni di assenza di rumore.

Erano come lievi scariche elettriche, e il fruscio del vento fra le foglie lui l'avvertiva come un mormorio senza parole, e grazie a ciò riusciva a prevedere i periodi migliori per la semina, evitare le piogge, e il momento giusto per il raccolto, di grano e frutta riuscendo a coglierla al momento giusto in modo che non fosse né troppo matura né troppo acerba.

Ci riusciva anche con gli animali ( i loro versi si trasformavano in parole nella sua mente seppur sgrammaticate e imperfette, li capiva ma non sapeva come parlare loro, però aveva la sensazione che in virtù di questa connessione, loro riuscissero a capirlo lo stesso ) ma lì non aveva nessuna utilità se non quella di essere designato alla loro cura, ed era difficile sentirli lamentare e soffrire per gli spazi angusti, il pessimo mangime e acqua, e i piccoli sopratutto i vitellini strappati dalla madre per il latte e il macello, lì non reggeva proprio e doveva esser lontano quando gli animali del padrone venivano condotti nel carro che gli avrebbe portati in città dal macellaio...era il motivo principale per cui non evitava di mangiare carne, anche se non sempre poteva dire di no se non voleva restare a digiuno anche per giorni interi.

( In quei trecento anni non era stato nemmeno semplice vedere morire intere generazioni di Davsshon, ma nonostante il dolore che ogni volta inevitabilmente provava, era sempre diverso dal "sentire" i pensieri di un essere morente e provarne le sensazioni, dolore, era come morire insieme a loro ogni volta, eppure con gli umani non vi età mai riuscito, e per questo per certi versi era "più semplice" ).

Forse per per questo che non gli piaceva stare in mezzo a loro fra il rumore e il brusio della folla umana, detestava in particolare il mercato, tutti quegli odore, il sudore e l'odore delle stoffe, dei vestiti, quelle parole che si accavallano in urla concitate, a un certo punto ne provava una nausea fisica tale da doversi allontanarsi e trovare un posto calmo e senza rumore.

Questo è molti altri erano i motivi per cui evitava la città, e ora si ritrovava ad attraversare le due cerchie di Issergundu usando le gallerie e le vie a lui note fin dalla sua fanciullezza, quando scappava dalle armature verdi e dalla ronde notturne, e tutto per contrabbandare tre cavalli che non erano stati marchiati perché non erano purosangue.

Un altro motivo per cui evitava la città era che i cittadini percepivano il tempo in un modo a lui inconcepibile, in piedi e miglia, e poi avevano quegli strani affari meccanici con "lancette", così le definivano, fatte per scandire ore e minuti, concetti a dir poco astratti per lui visto che non aveva mai imparato a calcolare le distanze o leggere quegli strani oggetti - orologi li definivano - nonostante alla fattoria ne avessero uno e Marsha ci aveva provato anche solo a insegnargli quel poco di matematica e calcolo, quel tanto che bastava per fare i conti o leggere appunto il tempo in ore o minuti, ma lui non ci era mai riuscito nonostante gli sforzi, per lo stesso principio per cui non sapeva né leggere né scrivere ( ed evitava di pagare con monete, a sua volta rifiutando di possederle, aveva già vitto e alloggio alla fattoria, non aveva bisogno di altro, e se doveva stare via per molto tempo poteva barattare i suoi pochi averi o quel che restava delle consegne, per del cibo e acqua.

Per lui il tempo si misurava in albe, tramonti, sole allo zenith, e la luce soffusa del pomeriggio a fargli capire che stava per arrivare la sera, riusciva a prevedere dalla direzione del soffio del vento e dalle nubi ( per non parlare del mare, visibile dalle baie ad ovest della città a tre giorni di cammino dalla fattoria dove abitava ) se sarebbe stata una giornata piovosa, secca o estremamente calda come quel giorno.

Riusciva a quantificare il tempo in giornate di cammino e lì gli era valsa un intero giorno, ed era stanco, l'acqua così come i panini erano finiti, gli restavano solo un paio di frittelle preparate dalla figlia del suo padrone, ma aveva deciso di tenerla per ultime, fiducioso che una volta arrivato avrebbe potuto avere la possibilità di bere un po' d'acqua e mangiare un boccone ( sperando che le malignità che il suo padrone aveva sparato nei confronti dell'uomo a cui doveva consegnare i cavalli, non fossero del tutto vero ).

Così, come da indicazione busso', ma vennero ad aprirgli dopo un ora che lui non percepì come tale, ma intuì che doveva esser passato un po' di tempo perché la sua ombra sul muro si era spostata, il caldo era aumentato e si era mangiato tutte e due le frittelle di Marsha, per non parlare del nervosismo dei tre cavalli, e del loro parlottare conciato che si era tramutato in lamenti e infine un silenzio stanco e nervoso.

Dai cavalli il mezz'elfo non era riuscito a cavare molte informazioni sul posto in cui doveva lasciarli, anzi non avevano nemmeno compreso che fra poco avrebbero avuto un altro proprietario, e ciò intristi' il garzone, alla fattoria erano i tre cavalli più giovani poco più che puledri sempre allegri, anche se ribelli e poco disciplinati vista la giovane età, ma abbastanza da capire che vi era qualcosa di diverso mentre li portava alla loro nuova casa, il loro chiacchiericcio lo aveva distratto piacevolmente dal brusio meno piacevole della folla cittadina...e ora era quasi il momento di separarsi.

Quei pensieri non durarono a lungo perché il portone si aprì con un cigolio, non del tutto, lasciando uno spiraglio, quel che bastava per sbirciare dentro.

Ma non riuscì a vedere nulla perché la figura di un uomo si era inserita nella fessura quel che bastava a scrutare il nuovo arrivato, e la aprì del tutto solamente per sbirciare dietro la snella e alta figura del garzone, scorse i cavalli e annuì facendogli cenno di entrare, dopo aver spalancato il portone.

Dalla descrizione che gli aveva fatto il suo padrone il garzone riconobbe l'uomo che Orshen chiamava Markann, e ne rimase un po' stupito, non sembrava avere un aspetto minaccioso o crudele, sembrava uno dei tanti uomini comuni che vivevano lì in città, se non gli avessero detto che quello era l'uomo che li aveva ricattati vista l'impossibilità a pagare le cure per l'unico figlio maschio del propietario della fattoria, il mezz'elfo nemmeno l'avrebbe notato se fosse capitato di vederlo per strada in mezzo alla folla.

- Vedo che quel pezzente di Ohrsen ha mantenuto la parola, tre cavalli, come richiesto.
Bene, puoi entrare... tu devi essere il garzone quindi.-

Lui annuì di rimando mormorando un "Mi chiamo Werrsot"  ed entrando si bloccò, stupito.

Si ritrovò in piccolo giardino che in verità non era un vero e proprio giardino ma una sorta di erbario vivente pieno di piante che non aveva mai visto in vita sua.

Respirando sentì l'odore di fiori che conosceva, il dolce profumo di rose selvatiche viola, e quello pungente di calendule arancioni, raggruppate in gruppetti di tre file a costeggiare il sentiero in piastrelle di roccia vulcanica grigie e rossa, lungo sei metri fino a un alto muro di cinta che terminava con alto portone di legno, chiuso da una chiave ancora inserita nella serratura.

Vi era un albero, l'unico presente in quel giardino, dal fogliame verde e rigoglioso, alto quanto tre uomini di due metri, la quercia rugosa e luccicante di resina.

Non vi erano solo rose e calendule, insieme a una varietà di specie di piante a lui sconosciute ( e anche piante grasse, con gli aculei e altre che parevano delle bocche aperte, minacciose ) vi erano violette, perfino una fila di girasoli e garofani, tutto stranamente ordinati, così come l'erba, tagliata e curata, perfino gli insetti parevano assenti, solo qualche ape pigra e mosca qua e là, e vicino al muro di cinta vi era anche un piccolo orto.

Oltre al suo respiro, il ronzio sporadico di un paio di api e il frusciare del vento fra le foglie, il giardino era stranamente silenzioso, e ciò lo inquietò perché non riusciva a percepire nessun pensiero, nemmeno la minima vibrazione o presenza vitale proveniente da quelle piante, era come se fossero morte, addormentate o semplicemente non fossero reali.

( Non poteva saperlo Werrsot, ma il suo intuito si era rivelato giusto, quel giardino era un grande esperimento biologico, con piante nate da incroci o creazione dello stesso Markann, che dopo anni a studiare botanica, non solo del mondo animale ma soprattutto erbari elfici e dell'Altrove - una leggenda, un mito tramandato da prima dell'arrivo dei vampiri - e grazie anche alle sue conoscenze di chimica, era riuscito a ricreare specie di cui si era persa traccia e memoria da anni, e le relative proprietà, non sempre benefiche. ).

Le uniche presenze vive che percepiva e vedeva erano le figure fuori dalla porticina che conduceva alla libreria di Markann, ovvero un uomo dai capelli scuri ma mortalmente pallido e scarno, pareva reggersi a fatica in piedi ( aveva un aspetto famigliare anche se non avrebbe saputo dire il perché di questa sensazione, una sorta di deja - vu ).

Accanto a lui una donna dai capelli rossi vestita da domestica, le braccia magre a sorreggere quello che a prima vista sembrava un bambino di sette anni ma a una seconda occhiata Werrsot capi' che vi era qualcosa di strano in lui, pareva deforme, il volto allungato come quello di un animale, un cane o un lupo...cosa ancora più strana, riusciva a percepire, come un interferenza, i suoi pensieri, eppure lui riusciva a percepire solo quelli degli animali e delle piante, non degli umani, ed era sicuro non appartenessero né ai cavalli né alle poche api che popolavano il giardino ( e nel caso degli insetti era diverso, lì avvertiva una sorta di melodia, diversa per ogni specie ), ma non riusciva a coglierne le parole...

-Werrsot!-

Una voce di donna lo bloccò sul posto, una voce conosciuta ma allo stesso tempo ricordo di secoli prima, di una vita che era convinto essersi lasciato alle spalle fatta di urla, pianti e paura, e ora questo eco, seppur famigliare e dolce come ninna nanna, lo sentiva provenire dal gruppetto assiepato all'inizio del giardino proprio sul sentiero di ghiaia...non si era accorto, distratto del bambino, che accanto alla donna dai capelli rossi vi era un altra persona, una giovane donna bionda...

...e subito ritornò ai suoi sei anni, agli occhi vacui di sua madre fissi sul corpo senza vita del padre, alle gambe graffiate, le braccia insanguinate così come il volto, e poi come uno spiraglio di luce calda in una mattina d'inverno, la stretta di mano di un uomo gentile comparso quasi dal nulla, muovendosi come se fosse invisibile

Dovrai ricambiare questo favore un giorno

la corsa in mezzo ai campi, la sensazione di volare, del vento sul viso, e la foresta, quel gruppetto piangente di bambini come lui, un fuoco caldo, e poi l'ultima, quella bambina bionda dagli occhi grandi e violacei...

- Ithil!-

Nota autrice importante: Werrsot è stato preso per mano "da un uomo gentile" che l'ha portato via da lì ( e a un certo punto sembra quasi che stia volando ) così come Ithil è stata portata via dal massacro da una donna dalle sembianze elfiche e in generale tutti i bambini hanno avuto "qualcuno o qualcosa" che li ha salvati da ciò che ha ucciso i loro genitori ( ricordate il "debito" che Ithil ha nei confronti dell'elfa dai capelli neri )? Tutti sono stati salvati da diverse manifestazioni della Morte, quindi sono tutti uniti in qualche modo ( e casualmente Ithil ha rivisto Werrsot, e sempre casualmente ha un conto in sospeso con il mandante di quel massacro, e lui a sua volta ne ha uno nei confronti della Morte, non sono casualità ).

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