Fra le colpe d'altri tempi nascono nuovi ( vecchi ) amori
Ultimamente non sono soddisfatta dei capitoli, noto un peggioramento sia stilistico che formale oltre che descrittivo, non ne sono convinta manco di questo che ho scritto su un onda emotivo non proprio positiva, anzi, ma è così che sfogo le emozioni negative e intense, con la scrittura e questo capitolo ne è il frutto.
Ho deciso di tirare fuori dal cilindro un nuovo personaggio che proprio nuovo non è, l'ultimo re umano di Issergundu, morto per una strana malattia, e di cui Markann era il medico ufficiale di corte e personale del Re.
Ho preso questa decisione per terminare finalmente "l'arco narrativo" di Markann o meglio, completare e spiegare i motivi per cui è quello che è attualmente, e tutta la sua storia pregressa, con tutto il carico emotivo che può comportare.
Non abbandonerò Werrost, Porsom non ne sarà affatto un sostituto, anzi Werrsot sarà essenziale per dare a Markann la forza di confrontarsi con lui e con il passato che Porsom incarna ( e relative emozioni, come leggerete) e sopratutto non dimenticate il capitolo precedente, quello che è accaduto è stata la prima ed essenziale goccia per sbloccare l'emotività di Markann ( senza il capitolo precedente Markann non sarebbe in grado di fare e sentire quello che leggerete ).
Sì non ne potrete più di Markann me ne rendo conto, io ho un gruppo di protagonisti e questa è una storia corale quindi non è ammissibile concentrarsi così tanto su un singolo personaggio, personaggi che sono come i figli, dovresti amarli tutti in modo uguale non avere delle preferenze.
Motivo per cui nei prossimi capitoli darò spazio agli altri e a Porsom.
Buona lettura.
Ewan, il tuttofare del bordello della Mana Parsa si trovava, tre ore prima dell'alba, fuori dalle mure sud di Misserto per fumare un sigaro.
O meglio, uno di quelli che era riuscito a salvare dalla secchiata d'acqua che la proprietaria del bordello gli aveva gettato per svegliarlo, quella mattina.
Ewan, zoppicante a causa di un carro che lo aveva investito procurandogli seri danni alla gamba destra, tanti anni prima, denti gialli e molti già marci per colpa della quantità spropositata di sigari che fumava giornalmente da più di quindici anni, tuttofare e uomo di fatica nell'unico bordello di Misserto, osservava pensierosa il paesaggio collinare davanti a lui.
Ripensava alla mezz'ora precedente la sua uscita quotidiana dal bordello quando aveva visto i nuovi arrivati a Misserto, due donne velate e uno strano vampiro che sembrava molto in confidenza con Khornos, il capo delle guardie di Misserto, uno strano trio che alloggiava nella pensione delle Sorelle Nere, la controparte femminile dei monaci della pece.
E a proposito di monaci della pece, mentre era intento, nel retro dell'edificio, a riscuotere il pagamento degli ultimi clienti trattenutosi per la notte con le ragazze della Parsa ( E prima di ripartire il "locale" lei quegli uomini li voleva fuori dalla porta, facendogli ovviamente pagare una quota in più per aver trascorso la notte con le sue ragazze e mangiato il cibo della loro colazione ), aveva visto uno dei monaci incaricati di controllare le attività economiche di Misserto ( e il bordello rientrava fra queste ) ovvero il fratello Borshin.
Il monaco, come ogni mattina l'aveva salutato cordialmente, ignorando i tre peccatori che velocemente erano spariti fra le vie di Misserto, sicuramente intenti a preparare una scusa per le mogli che li aspettavano, in piedi e preoccupate ( oppure - se erano a conoscenza dei vizi dei mariti - molto arrabbiate ), a casa.
Borshin, insieme a Parsa, era l'unico a conoscere la vera identità di Ewan, motivo per cui si era proposto per essere il sovrintendente per il controllo delle attività economiche dei piccoli e medi bottegari di Misserto, così da controllarlo e far si che non dicesse né combinasse nulla in grado di far saltare quella copertura costruita con molta difficoltà.
No, non era esatto, Borshin era solo l'unico incaricato da Khornos, effettivamente il solo fra i soldati verdi residenti a Misserto, a conoscere la sua identità, ad avere accettato ( no, in realtà era stato obbligato, ma questo Ewan non poteva saperlo ) quell'incarico, dato che era il fratello di Markann.
Markann, l'innominabile, l'uomo con una taglia sulla testa che se solo qualcuno l'avesse riscossa, sarebbe bastato a farlo vivere di rendita per tutta la vita.
E quella taglia ce l'aveva messa proprio Khornos, dato che il medico era l'unico proveniente da Issergundu a poter riconoscere Ewan per chi era veramente, per essere stato il suo medico, prima della presa di potere del Consiglio dei vampiri nel palazzo reale.
Quella mattina ( o meglio nelle ore di buio che precedevano la mattina ), Borshin gli diede un compito da svolgere, a mezzogiorno di quella giornata avrebbe dovuto accompagnare i tre forestieri alle mura sud di Misserto, lasciarli lì dato che qualcuno ( non aveva specificato esattamente chi, ma non erano affari suoi ) li avrebbe recuperati per poi lasciare la città.
Prima dell'alba e a mezzogiorno sono gli unici momenti della giornata in cui i soldati verdi non sorvegliano le mura.
Ma il Fratello Borshin gli aveva dato un sacchetto di monete da consegnare a Parsa per quel lavoro ( poteva consegnarne metà e il restante tenersela lui, per il disturbo ) dopodiché aveva salutato una delle due donne ( se non aveva visto male, quella che sotto il velo azzurro che tutte e due le donne indossavano, aveva i capelli rossi ) che, insieme al vampiro, avevano fatto l'abitudine di visitare la Parsa.
- Ti lascio ai tuoi doveri , e ricorda, accompagnali a mezzogiorno, e appena vedi all'orizzonte due uomini a cavallo, rientra in città senza voltarti, io ti darò il cambio, e tratterò con i nuovi arrivati per i tre forestieri. Siamo intesi?-
Ewan aveva seguito il monaco con lo sguardo quando questo se n'era andato, per poi controllare il sacchetto contando le monete raccogliendo la sua parte mentre quelle destinate alla Mana se le infilò nella tasca dove teneva i soldi dei tre clienti.
Ewan guardò la città ancora addormentata, non gli piaceva quell'immobilta' e silenzio che lui associava ai cimiteri e alla morte, così dopo aver controllato che qualche sigaro si fosse salvato dall'acqua, ne approfitto' per dirigersi verso le mura sud per fumarsi uno in pace approfittando dell'assenza di guardie, sicuro che fuori dalle mura nessun monaco sarebbe arrivato a infastidirlo con strane richieste.
Mentre scrutava l'orizzonte si accorse di due figure a cavallo in procinto di avvicinarsi alle mura, e ripensando alle parole di Borshin si agitò, aveva parlato di mezzogiorno, non di alba, cos'era quel cambiamento?
Perché mentire?
Ma Ewan non abbe tempo di sviluppare quei pensieri, riconobbe immediatamente una delle sagome in avvicinamento, e nel farlo si sentì le ginocchia molli.
Aveva riconosciuto l'uomo che avanzava, in testa, verso le mura di Misserto, lo vide fermarsi, scendere e fare cenno all'altro uomo a cavallo di fare lo stesso.
Ma sul secondo cavallo non scese solo un uomo magro e alto, ma anche un bambino, e a quella distanza riuscì a udire il primo uomo chiamarli pronunciando dei nomi, e al nome "Bentho" vide il bambino rispondere a esso.
Bentho.
Aveva chiamato quel bambino, forse il figlio, Bentho.
E il peso di quei trent'anni di lontananza gli erano crollati, di colpo, sulla schiena facendogli vacillare e perdere le gambe, ma all'udire quel nome, per un momento si fecero più leggeri, da permettergli di rialzarsi e avanzare verso le due, anzi, le tre sagome che ancora non si erano accorti di lui, e quindi non avrebbero potuto riconoscerlo né notare il sorriso tremolante che quel nome gli aveva fatto spuntare sul viso, tanto meno accorgersi che suoi occhi verdi erano diventati lucidi.
Se prima, alla vista dell'uomo, aveva solo voluto voltarsi e rientrare in città, tornare al bordello di Parsa e chiudersi nella sua misera stanza fino a quando il panico mischiato al dolore, sia della gamba che fisico, non gli fosse passato, e come a ogni crisi, l'avrebbe scacciato urlando e prendendo a pugni la porta.
Anzi, se l'avesse fatto, se fosse tornato indietro, non sarebbe nemmeno riuscito a raggiungere il bordello, sarebbe stato schiacciato a terra dal masso degli anni e dei sensi di colpa, fra la sabbia, la spazzatura e lo sterco di bestie e uomini, e lì, ne era sicuro, non si sarebbe più alzato.
Non avrebbe retto a rivederlo, ora comprendeva perché il monaco gli aveva detto di andarsene...
Ma quel nome...Bentho.
Il nome di suo nonno, il padre di sua madre, la regina moglie del re, una donna dalla pelle ambrata, gli occhi a mandorla verdi come i suoi e i capelli neri e ricci ereditati anch'essi da lei, una donna delle montagne innevate di cui suo padre si era innamorato nel corso di un viaggio per incontrare i capi dei paesi Nord.
Una fanciulla di quindici anni che pascolava le capre per conto dei suoi genitori, vestita di pelle d'animale e come tutti in quei villaggi, venerava gli spiriti della neve e delle rocce, solamente una selvaggia delle montagne che nemmeno conoscenva la lingua corrente, secondo il parere della gente civilizzata e colta di Issergundu, eppure le nozze si svolsero con la benedizione di entrambi i genitori e tutti gli onori e festeggiamenti.
E da quell'unione era nato lui, quello che da quindici anni dalla sua sparizione si faceva chiamare Ewan e viveva a Misserto nell'anonimato, protetto da Parsa e le guardie di Khornos, un anonimato che gli impediva però di lasciare quella città che a tutti gli effetti era diventata una prigione, e lo costringeva a vivere come un pezzente ubriacone e tabagista ( quello che alla fine era diventato ).
Almeno aveva la libertà di parlare con altri braccianti, uomini che scendevano dalle montagne lasciando i loro villaggi per cercare lavoro nella città delle valli, poteva parlare con loro nella lingua di sua madre, quella lingua che suo padre aveva costretto Esa, la regina sua moglie, a non insegnare al figlio e proibendole di parlarla.
Eppure quella donna, che lo aveva partorito a diciotto anni, sfidando il divieto del marito aveva insegnato al figlio la lingua della sua gente, e lui a sua volta l'aveva insegnata a sua moglie con la speranza di tramandare la conoscenza ai suoi figli ( morti alla nascita, e in realtà non suoi ), a Parsa che all'epoca era una cortigiana e sua migliore amica, e sopratutto, l'aveva insegnata a Markann.
Markann a cui aveva confidato il desiderio di chiamare il futuro primogenito con il nome del nonno materno mai conosciuto, confidenza venuta fuori nel corso di una notte insonne, dove entrambi si erano ritrovati seduti al tavolo della servitù nelle cucine, eletto a loro personale luogo di ritrovo per bere del thè di erbe ( un the di erbe corretto con del leggero cognac, ma forse non proprio leggero ), un abitudine acquisita in quei sei anni prima della sua "morte".
Markann che aveva incontrato, per la prima volta, quando entrambi avevano diciannove anni, all'accademia di medicina durante il primo anno di Markann, e lui, Porsom, in facoltà di giovane e futuro regnante si trovava alla ricerca di un sostituto che potesse rimpiazzare vecchio medico della famiglia reale morto di recente, e, stufo dei vecchi dotti soporiferi delle università, aveva deciso di cercarne uno fra le giovani promesse della medicina ( e forse, non avendo né fratelli né cugini e detestando i giovani figli dei nobili, cercava solo un coetaneo con cui confrontarsi senza il vincolo del suo ruolo ) e così lo aveva trovato, un giovane impaziente e serio che senza problemi e un pizzico di superbia, aveva liquidato le teorie accademiche dei suoi insegnanti per fare di testa propria, motivo per cui al giovane e futuro re aveva suscitato subito simpatia.
E sei anni più tardi Markann gli avrebbe stretto le mani ascoltando le sue implorazioni di non abbandonarlo mentre gli altri medici di corte lo davano ormai per spacciato, prognosticando la morte del reale entro poche ore, e quello stesso Markann che aveva ricambiato la stretta per poi promettergli che al suo risveglio lo avrebbe trovato accanto a lui, e nel pronunciare la menzogna lo aveva guardato negli occhi.
Poi si era addormento, e al suo risveglio si era trovato di fronte dei vampiri membri del consiglio, e di Markann nessuna traccia, se n'era andato, era fuggito in preda al dolore di vederlo in quelle condizioni, avevano detto quei corvi di sventura.
E ora l'era ritrovato davanti, dopo trent'anni, scoprendo che aveva dato il nome di suo padre a quel bambino, e senza sapere se fosse una coincidenza o se fosse davvero il figlio, si aggrappò a quelle flebile convinzione come a una fune che, seppur sfilacciata e debole, gli permetteva di non cadere nel vuoto dei rimpianti e della paura.
Dovrà pur significare qualcosa, se gli ha dato quel nome, significa che non mi ha cancellato dai suoi ricordi? Che in tutti questi anni, seppur in minima parte, sono rimasto nei suoi pensieri?
Trent'anni senza farmi vedere, né dargli un qualsiasi segnale del mio essere ancora in vita, vivo fuori da qualche parte.
È venuto al mio funerale, lo so, e poi s'è n'è tornato al villaggio dei genitori con Parsa, dalla madre malata per poi andare in guerra e chiedere alla ragazza ( con i soldi datogli dal consiglio per andarsene ) di comprare una bottega in cui lavorare come farmacista e dottore, al suo ritorno.
E al ritorno l'ha scacciata via, frantumando le speranze da lei riposte in quel luogo che lei aveva accuratamente sistemato in attesa del ritorno dell'amico, aggrappandosi alla sua promessa di sposarla, una volta conclusa la guerra.
Ma poi il fratello aveva disertato, la madre era morta consumata da una lunga malattia, e Markann non l'aveva voluta al funerale della madre né che lo consolasse, aveva deciso di voltare completamente pagine, lasciandosi alle spalle tutto quel dolore e quei ricordi di fiele, e lei, Parsa, un tempo loro amica e confidente, era l'incarnazione di tutto ciò di cui voleva ( anzi doveva ) eliminare per ricominciare.
Tutto ciò gli era stato raccontato dalla stessa Parsa, e mentre Ewan ricordava tutto ciò in un turbinio mentale confusionario, pezzi di ricordi gli affollavano la mente senza un filo conduttore, seguendo gli slanci emotivi e andando a intrecciarsi a quella precaria liana che era il passato di Ewan e il suo appiglio per non cedere al terrore e alla vergogna della fuga - trent'anni sono stati un tempo sufficiente, ora basta.
Si avvicinò zoppicando e con gli occhi lucidi alle tre figure in avvicinamento, e il masso che ora non sentiva più sulle spalle si era trasferito nel petto, ed era ancora pesante, ma più che un masso doloroso aveva preso le sembianze, o meglio, la consistenza della corda dei suoi pensieri, solo che ora era piu simile a una matassa difficile da sbrogliare, in cui i ricordi si confondevano con i nodi - duri come quelli pieni di salsedine delle barche dei marinai - di vecchi sentimenti difficili da sbrogliare, con il rischio di procurarsi ferite taglienti, di quelle che fanno infezione per cui non basta l'alcool a disinfettare, ma il bisturi per incidere le parti infette.
E Markann l'aveva fatto, quella volta che Ewan si era tagliato il braccio con la spada arrugginita del bisnonno del padre, per gioco, Markann aveva dovuto asportare ( con dei bisturi sterilizzati con il fuoco ) le parti infette per evitare che la necrosi si espandesse per tutto il braccio ( allora l'amico aveva dovuto imbottirlo di oppio giallo, infatti non ricordava molto, solo sogni confusi e agitati interrotti da crisi di pianto, o forse solo il dolore che era riuscito a farsi strada nella nebbia dell'oppio ).
E ora gli parve di ricordarlo, quel dolore e quello di tutti i tagli che quella vecchia spada gli aveva procurato sul braccio, automaticamente portò la mano su di esso, ripercorrendo le vecchie ferite che riusciva a riconoscere al tatto anche senza vederle e nascoste dal maglione di lana pesante che indossava.
Chissà se anche la mia anima è piena di piccole ma letali ferite infette?
E non erano solo sul braccio, poteva trovare e cercare anche quelle invisibili che il tempo aveva cancellato sostituendo la palle morta con una nuova, cancellando il passaggio delle linee così che solo nella memoria ne erano rimasto il segni, e lui ne ricordava ogni singolo solco, ogni febbre e malanno di quei sei anni, in cui anche la puntura di una spina si tramutava in una scusa per bussare alla porta dello studio in cui Markann lavorava, quando viveva al castello reale.
Eppure quello che sento ora nessun medico può curarlo, ed è difficile distinguerlo da quello soffocante che toglie il respiro ai miei polmoni malati.
Markann, che lo aveva riconosciuto ( continuando ad avanzare per poi fermarsi a pochi passi da Ewan ), si t fermo' osservandolo per vari secondi, con occhi spalancati e il volto sbiancato, come se davanti a lui non ci fosse un uomo in carne e ossa, bensì un fantasma.
E questo sono, un fantasma vecchio di trent'anni.
- Porsom?-
No no, questa è una punizione.
Gli dei mi stanno punendo per tutto il male che ho fatto nella mia vita, rivedere Borshin non è stato abbastanza, così come dover convivere con il pensiero che se fossi entrato a Misserto mi sarei dovuto confrontare con Parsa, e i suoi rancori e ricordi dolorosi che porta con sé.
Ma questo fantasma è l'incarnazione del movente e delitto di tutte le mie colpe.
Markann arretrò come se camminando all'indietro potesse allontanare da sé quello che ora era convinto fosse una visione, un allucinazione mostratogli dal Dio della morte per farlo impazzire e imporgli una lezione per la propria arroganza e superbia.
No non gli Dei, questa è opera della Morte, è troppo reale per essere un fantasma, l'ha fatto resuscitare apposta e invecchiare per convincermi che è ancora vivo, e quando scoprirò l'inganno allora impazziro', è solo una prova, devo resistere.
- Nessuno conosce la mia vera identità, qui mi faccio chiamare Ewan.-
Il medico non prestò la minima attenzione alle sue parole, alle orecchie solo un eco lontano, una voce maligna e incantatrice.
Ora capisco perché la Voce si è fatta viva la scorsa notte, perché mi ha ricordato Porsom, voleva prepararmi a questo...era un avvertimento.
Werrsot, che aveva osservato la situazione, accanto ai cavalli, mise a terra Bentho e percependo la tensione e sopratutto il terrore cieco ( no, non terrore, dolore) del medico davanti a quello sconosciuto ( non così tanto sconosciuto da quel poco che era riuscito a udire ), e nel vederlo così sconvolto, così perso, preoccupato tentò di avvicinarsigli.
Ma il bambino scuotendo la testa gli afferrò il braccio per impedirgli di andare.
No. È una cosa che riguarda esclusivamente loro due, noi non c'entriamo nulla. Allontaniamoci da qui, lasciamoli soli.
Allontanandosi lentamente, per non creare ulteriore scompiglio, udirono finalmente Markann parlare, o meglio, urlare.
Udirono anche le grida dell'altro, e dei tonfi, Werrsot riuscì solo a intravedere Markann atterrare lo sconosciuto che si faceva chiamare Ewan e colpirlo violentemente al viso.
Forse dovrei fare qualcosa, si stanno picchiando.
Ma Bentho continuava a camminare imperterrito senza voltarsi e trascinando il mezz'elfo con sé.
Dove stavano andavano? Non lo sapevano, si misero a camminare radenti alle mura di Misserto, e quando videro dei soldati affacciarsi alle mura si allontanarono verso una macchia di sterpaglie e un paio di alberi, abbastanza folti da permettere loro di sedersi e restare nascosti.
Mentre osservavano il cielo iniziare a tingersi di sfumature blu e rosse e si dividevano gli ultimi frutti raccolti quella mattina, fra il cielo e il cibo la loro attenzione si posava ogni tanto su Markann e lo sconosciuto, che da quella distanza non apparivano molto diversi dalle ombre della notte che iniziavano a diradarsi, ed era difficile individuarli riconoscerli fra tutte quelle ombre che si schiarivano e rincorrevano nella luce incerta che precedeva l'alba, e forse quell'atmosfera fu propizia al cedere al sonno per Bentho e Werrsot.
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Markann, con un urlo, si era gettato addosso a Ewan, o meglio quello che si faceva chiamare Ewan e sosteneva di essere Porsom.
L'altro, preso alla sprovvista, non aveva avuto il tempo di difendersi né scappare, riuscendo solo a parare alcuni colpi, ma Markann era implacabile, gli tirava pugni ovunque sul viso facendogli sanguinare naso e il labbro, con foga e alla cieca.
Markann voleva cancellare quei lineamenti che erano uguali a quelli di Porsom ma non erano quelli del vecchio amico, voleva far tacere le menzogne che uscivano dalla sua bocca, non era lui, non poteva essere lui.
Perché? Cosa accadrebbe, se fosse davvero lui e non una prova degli Dei?
- Tu sei morto! La malattia era tropo avanzata, era impossibile curarti, ci sarebbe voluto un miracolo! E poi sono stato al tuo funerale, ho visto il tuo corpo, i tuoi genitori vestiti a lutto, e tua moglie abortire per il dolore di esser diventata vedova! Non puoi essere qui! Tu non sei lui!-
Ewan iniziò a sputare sangue e tossire ma ciò che fece alzare di scatto Markann, liberandolo dal suo peso e dai suoi pugni, fu quando gli vide sulla spalla il piccolo tatuaggio tribale, uno stilizzato fiocco di neve all'interno di una stella a tre punte, tatuaggio che si era voluto fare per ricordare la tribù della madre, e di quel piccolo tatuaggio solo Markann era a conoscenza, né la madre né il padre e nemmeno sua moglie.
Solo Markann, perché l'aveva accompagnato dall'unico uomo in tutta Misserto a provenire dalle montagne, come la madre.
Lo hanno spogliato per vestirlo con abiti mortuari per il funerale mentre fingeva la sua morte, l'avranno visto tutti, non è una prova questa, o sì?
L'alzarsi in piedi fu un automatismo, un sussulto dovuto a quel ricordo dimenticato da tempo, che lo fece esitare permettendo a Ewan di strisciare di lato lontano dal medico e dai suoi colpi.
Per un attimo nessuno dei due parlò, restarono solo in silenzio ad osservarsi, incerti e timorosi.
Prima che Markann potesse anche solo formulare un pensiero di senso compiuto, Ewan prese la parola mentre tentava di mettersi in piedi.
- Quando ti mandarono via il consiglio chiamò una donna, una Sorella Nera che un tempo era stata un erborista del Nord, mi diede delle erbe particolari e una strana bevanda che mi ha datto dormire per un mese, un sonno che somigliava alla morte, così mi hanno detto, per questo mi hai visto nella bara che sembravo morto, in realtà stavo solo dormendo...finsero solo di seppellirmi e una volta sveglio e guarito mi nascosero in un monastero, e così ho fatto per quindici anni, ho girato tutti i monasteri del regno di Issergundu, sono stato anche al Nord e nelle terre dei sud, ma sempre scortato dai vampiri. Poi mi ha trovato Parsa otto anni fa, portandomi con sé a Misserto a lavorare nel suo bordello. Ma il capo dei soldati di qui Khornos mi pare di chiami, ha messo come condizione, per farmi restare, di cambiare identità e impedendomi di lasciare la città. I vampiri mi monitorano costantemente, e lo fanno servendosi dei monaci, di tuo fratello.-
Markann gli si avvicinò mentre la stanchezza di quello scontro, di quelle emozioni e ricordi gli rendeva le gambe pesanti m, forse era davvero lui, o forse no, dopo quello che aveva detto cominciava a dubitare di tutto.
Se fosse stato davvero un Dio si sarebbe limitato a farlo impazzire come con il precedente scatto di rabbia m, ma tutta quella spiegazione elaborata, quello sguardo così intenso, così vero...non era la tipica punizione di un Dio rancoroso.
E poi suo fratello Borshin, sempre lui, sempre presente, Markann non poté fare a mano di ripensare a quando era apparso per "aiutarli" con Werrsot peggiorando la situazione, e poi le visioni su di lui, tutto era per prepararlo e indirizzarlo a quell'istante?
Borshin aveva avuto delle visioni sul suo arrivo ora scopriva che forse non erano davvero visioni, forse era stato tutto architettato dall'inizio?
- Borshin...lo sapeva? Sapeva che tu vivi a Misserto da otto anni? L'ho rivisto cinque giorni fa...quel bastardo non mi ha detto nulla ma questo conferma la mia supposizione, mi ha dato le indicazioni sbagliate apposta, per rallentarmi...impedire di raggiungere Misserto...-
Ewan vedeva Markann sussurrare fra sé e sé, gli occhi azzurri che si guardavano intorno irrequieti, come a cercare un appiglio, un qualche punto fermo in quella mattina che sembrava aver deciso di ribaltare completante la sua vita, come un circense dispettoso che scompiglia tutte le carte e qualsiasi oggetto il pubblico tenga con sé, per dispetto e provocazione, e anche una punta di crudeltà.
- Markann...-
E Markann, nel suo vagare con gli occhi nervosamente, si era dovuto incrociare con la figura di Ewan, forse davvero solo un dispetto, una deviazione di quella mattina completamente fuori dalle righe che sembrava esser scritta da qualche divinità burlona, fin troppo crudele nella sua realtà e in quell'uomo uscito dai suoi incubi e ricordi più remoti che ora, avendone ( purtroppo o per fortuna ) appurato la veridicità gli si stava avvicinando lentamente, quasi temendo un altra sua uscita di senno.
E come in un sogno lo vide giungergli accanto e toccargli timidamente un braccio, solo una lieve pressione mentre, continuando a fissarlo come si fa con un branco di lupi da monitorare costantemente per evitare un attacco improvviso, mormorò, sempre con la stessa cautela, il suo nome.
- Che c'è? Non farlo, non mi toccare. Se sei davvero reale, se sei davvero tu, allora sei uno sconosciuto, ora. Io ho conosciuto Porsom, non Ewan. E ora per favore, ti prego di andartene, che devo aspettare delle persone.-
Ma era solo una lieve e non convincente richiesta Markann ne era consapevole, e per quanto lieve fosse il tocco avverti la sensazione che, se il contatto fosse durato più a lungo, quella mano che non lo aveva più sfiorato da decenni e di cui ne ricordava distintamente il tocco esattamente lì sul polso, quello allegro e scherzoso che da ragazzi accompagnava le loro battute e marachelle infantili, e quello più prolungato accompagnato da sussurri confidenziali - a volte ubriachi, o tristi, bisognoso di conforto, a volte una somma di tutte queste emozioni - e occhi verdi lucidi e fin troppo limpidi, come quelli con cui lo guardava.
- Lo so, tuo fratello mi ha chiesto di accompagnarli a mezzogiorno, aspettarti e poi darmi il cambio-
A dire la verità Markann registrava le parole di Ewan come se fossero lontane o su un piano diverso dal suo, con quel distacco necessario necessario, sì, ad accettare il suo essere reale definitivamente e non la creazione di qualche divinità, fosse anche la morte, con un grottesco senso dell'umorismo.
E nel frattempo continuava a fissare il la mano di Ewan ancora stretta al suo polso come se entrambi fossero due arti distinti dalle loro persone fisiche e perfino la sua attenzione per la percezione della realtà sembrava essersi scissa in due, da un lato quella che immagazzinava le parole di Ewan con il distacco accennato in precedenza, e con quelli stesso distacco registrò la presenza fastidiosa del fratello fin troppo presente in quella faccenda che doveva restare fra loro due.
Dall'altro lato invece la percezione della realtà sembrava essersi ripiegata su sé stessa, nei meandri dei ricordi che sembravano aprirsi su migliaia di porte di quel labirinto emotivo che era la sua giovinezza con Ewan - all'epoca Porsom - porte che si aprivano a ogni impulso e movimento come solo quel lieve tocco del suo polso.
E forse l'aveva davvero prolungato troppo perché se lo scacciò velocemente ( ma non così velocemente come avrebbe voluto ), sbattendo gli occhi si ricordo' che doveva rispondere o comunque fare un cenno, dire una parola che confermasse l'integrità delle sue funzioni mentali non disperse - o almeno così doveva tentare di far apparire - a ogni minimo movimento e sguardo dell'ex amico.
- Non se ne parla, io con Borshin ho chiuso, questa volta ha esagerato e io non ho intenzione di vederlo ancora. Non serve che tu e Borshin scortiate i miei amici, anzi evitate proprio non voglio incontrarvi più.-
Ed Ewan assecondò questo suo volere un distacco perché gli lasciò il braccio e smise di cercare un suo contatto visivo, si allontanò di qualche passo per sedersi a terra e lasciar riposare la sua gamba che non aveva smesso di stillare scariche di dolore, e mai come quel momento desiderò avere con sé i suoi sigari.
- Markann...ascoltami, ti prego. quando ti ho visto ero terrorizzato, non volevo assolutamente incontrarti, ma quando hai nominato Bentho l'ho preso come un segno, e ho capito che gli Dei mi hanno dato una seconda possibilità. Io ho polmoni malati, Markann, i medici mi hanno dato due anni di vita al massimo, e sono stufo di stare a Misserto, di vivere nascosto, controllato costantemente dai vampiri e dai monaci. Vorrei morire in pace, al villaggio di mia madre sulle montagne, e magari sapere se sono rimasti dei suoi parenti, voglio conoscere le mie origini e la mia storia, prima di andarmene. Definitivamente.-
Malato. Malattia.
Morte.
Questa nuova consapevolezza parve riscuotere Markann.
L'aveva ritrovato, Porsom, che ora si faceva chiamare Ewan, dopo così tanti anni e si ritrovava costretto a prepararsi per dirgli di nuovo addio?
Sì, questa è davvero una punizione.
Ma anche, a suo modo, un miracolo, e forse ha ragione lui, forse è davvero una seconda occasione.
La sua parte razionale gli intimava di non credergli ma quella che dall'inizio anelava raggiungere l'amico invece lo voleva disperatamente credergli, e basta, senza intermediazioni di divinità, dei vampiri e del fratello, quella parte che era solo disperatamente felice di rivederlo, vivo.
Fu quella parte, quella ripiegata su sé stessa e i ricordi come un serpente avvinghiato in nodi impossibili da sciogliere, che lo spinse ad avvicinarsi a lui, sedersigli accanto per terra, e con cautela, lentamente, accostargli l'orecchio al petto fino ad udire il battito lento e costante del suo cuore e accertarsi che sì non era un vuoto involucro quello che gli stava davanti ma un uomo reale, di sangue e carne, che lo fissava con gli occhi umidi.
Ewan, lentamente, molto lentamente, con cautela, iniziò ad accarezzare con dolcezza i capelli di Markann mentre con un braccio gli cingeva la schiena per trattenerlo a sé.
E il medico avrebbe voluto solo piangere, lasciare che i trent'anni di lacrime che aveva accumulato, trasformato in rabbia e rancore finalmente potessero uscire, e semplicemente restare così con la guancia che gli pizzicava a causa della pessima qualità del maglione infeltrito dell'amico, a lasciarsi cullare dalle sue carezze e dal battito rassicurante del suo cuore.
E per un attimo, un piccolo, meraviglioso e luminoso attimo che sembrò quasi azzerare quei decenni di lontananza, Markann fu ben felice di dimenticare completamente lo scopo del suo viaggio e del perché si trovasse a Misserto, perché in quella nuova e lenta dimensione delle piccole cose, nulla di tutto questo contava.
Eppure qualcosa ruppe quel momento, forse un rumore, un fruscio esterno a quella bolla in cui entrambi erano immersi, o solo il fatto che Ewan avesse iniziato a mormorare dolcemente parole nella lingua della madre, lingua che Markann conosceva bene ma quello di cui ora sussurrava aveva in sé la grammatica e i fonemi di tutt'altro linguaggio.
Ma la parte razionale, ancora prima che raggiungesse il pensiero cosciente, si ribellò.
Perché no, non poteva lasciarsi andare, c'erano ancora troppe domande in sospeso, troppe questioni irrisolte, così Markann si staccò bruscamente da Ewan rimettendosi in piedi ed evitando il suo sguardo sorpreso.
Quella era l'unica porta di tutte quelle che aveva spalancato sui suoi ricordi che non poteva, non voleva aprire per correre il rischio di lasciarsi andare così indossò nuovamente la sua maschera d'indifferenza, seppur con un tremolio nella voce.
- E da me cosa vuoi?-
Ewan, che continuava a fissarlo con espressione triste e quegli occhi verdi troppo intensi per Markann, pieni di troppe cose, rispose, senza riuscire a trattenere la delusione.
-Non conosco la vostra meta, non so dove siete diretti, ma se potreste accompagnarmi fino a Ispan, al confine della Valla argentata, e poi non ti chiederò più nulla, e non avrai più miei notizie. Te lo prometto. E poi...voglio sfruttare questa seconda possibilità di potermi confrontare con te, e so che è impossibile recuperare trent'anni in poco tempo ma non voglio avere rimpianti. Dammi questa possibilità Markann. In nome della nostra vecchia amicizia.-
Si era alzato, seppur a fatica e trattenendo un gemito a causa dei precedenti colpi inflittigli, zoppicando gli si avvicinò tendendogli la mano, in una museea formalità che pareva quasi un assurdo tentativo di adeguarsi alla barriera che Markann tentava di frapporre fra loro due.
Perfino Markann la ritenne ridicola e forzata, ma nonostante tutto continuò la farsa stringendogli la mano in una stretta decisa di come quando si conclude un affare, formale e distante, anonima.
Ma Ewan trattenne la mano dell'amico più del necessario, facendo resistenza quando l'altro tentò di ritirarla.
Ed Ewan glielo permise solo quando ritrovò negli occhi azzurri di Markann quello che aveva cercato di intravedere fin da quando lo aveva visto e riconosciuto.
E alla fine lo vide, così sorrise dolcemente lasciando andare la mano.
Il sole stava per iniziare a sorgere, la luce rossa che timida faceva capolinea fra le nubi lambendo quasi con pudicizia le cime dei monti e il campanile di Misserto.
- Mancano meno di un ora all'arrivo delle guardie, dobbiamo sbrigarci.-
Markann fisso' Ewan, incerto sull'aver o meno compresi quelle parole.
- Al diavolo Borshin e l'ordine di aspettare mezzogiorno. Tu e i tuoi amici aspettate qui, io vado a prendere il resto della comitiva, al bordello. Mana Parsa capirà, anche lei detesta i soldati e il suo capo, sarà ben felice di far loro uno sgarbo.-
Markann continuava a fissarlo, come inebetito, ci mise un po' a comprendere il senso di quelle parole.
Vedendo il luccichio divertito di Ewan, e il sorriso che nonostante lasciasse vedere i denti marci a causa dei vizi e degli anni, era comunque lo stesso invariato, malizioso ghigno giovanile, di quando a diciannove anni lo coinvolgeva in qualche scherzo o fuga dal castello per andare a spendere i soldi della cassa comune nelle bische clandestine e al gioco.
E allora lo ricambiò, il sorriso.
Ma vedendolo allontanarsi zoppicando verso le mura, nella prima luce dell'alba, provò dentro di sé un misto di paura, commozione, e sopratutto una neonata e flebile felicità.
Che forse era solo amore.
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Nota autrice.
Sì Bentho e Werrsot stanno ancora dormendo sotto l'albero ( in verità ero più tentata di tenerli svegli a osservare il tutto mangiando frutta stile popcorn al cinema ), si sono persi tutto il dramma svoltosi, eh avranno bisogno di un riassuntino quando si sveglieranno.
E niente abbiamo capito le motivazioni di Borshin ( che sinceramente sto avendo un po' di difficoltà a gestire dopo questo nuovo background) e di come lui è stato un po' l'artefice degli eventi di questo libro, il motore che ha dato l'avvio alla storia, anche se il vero motore, di ogni scelta di Markann, è Porsom, il suo più grande rimpianto e colpa.
Carico emotivo sparato a mille, alla fine il mio amore per i miei personaggi che mi impedisce di straziare a dovere anche quelli più abietti e carogne, ha preso il sopravvento decidendo che sì Markann se la merita una gioia, un po' di felicità ( ma sarà così? O è solo l'ennesimo inganno architettato da Borshin&Co? ).
Non sono brava con emotività, amore, o presunti tale insomma tutta sta facendo né sono abituata a scriverlo quindi è stata una prova, e niente.
O meglio sono "brava" a scriverne ( alla fine vengono fuori più che altro trashate imbarazzanti come questa che un po' trash lo è) solo durante crisi emotive come quelle che ho passato in questi giorni, o in casi di malinconia e tristezza, quindi eccovi sta cosa.
Vedremo cone gestirò sti due nei prossimi capitoli e come gli altri si approceranno a questo nuovo personaggio ( e al loro rapporto ).
P.s: sto libro sta diventando peggio di Beautiful gente che muore ma poi torna, fratelli che spuntano a caso, dramma e ancora dramma, un po' di love perché sennò qui su Wattpad non campi, situazioni assurde e strampalate inserite per mancanza di fantasia e boh.
Come sempre, pareri?
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