Di ricordi e vampiri mostruosamente umani, e di morte cieca come la vendetta.
Tw: Scene violente e crude con sangue e cose molto splatter con tanto di violenze fisiche e psicologiche, non leggere se siete impressionabili.
Fumo, urla e odore di sangue, il rumore delle spade che battono l'una sull'altra altra mi fanno venire mal di testa, come se non bastasse tutto il resto.
Sto sudando, e brividi di freddo si alternano al calore dei corpi e della battaglia, e alla pesantezza dell'armatura, non riesco a muovere gli arti indeboliti dai giorni passati chiuso nel castello, la vista è sfocata, anche la spada è un macigno insostenibile, ma non posso lasciarla, morirò altrimenti.
E forse è così che deve andare, lo sono già, morto.
Il cuore batte come un forsennato, avrò un infarto non riesco a respirare, e loro, i miei uomini, li vedo guardarsi intorno smarriti, mulinare le spade, tirare fendenti, gli occhi pieni di orrore, e arretrare, e le loro urla...
Dalla confusione, dalla nebbia e fra la polvere della terra arida vedo uscire uomini ma anche donne senza armature alcuni senza nemmeno armi, addirittura nudi, pallidi e scarni sembrano degli scheletri, capisco perché il mio esercito è così terrorizzato e sta fuggendo, uomini valorosi che nulla possono di fronte alle forze oscure degli Inferi.
Da quanto ormai quegli esseri vagavano fra gli umani, sterminandoli o facendoli diventare come loro?
Non me lo ricordo più ormai, il tempo si è come fermato, l'erba non cresce più, gli uccelli sono silenziosi, i giorni passano e se ne vanno senza lasciare traccia, nemmeno le ombre e la luna ormai si posano su questa nostra terra devastata.
Stridi e gemiti non umani, alcuni dei miei soldati ci riesce, ad uccidere questi abomini approfittando di quando sono distratti su altri cadaveri riescono a tagliare loro la testa, infilzarli, o solo colpirli, più e più volte fino a vederli agonizzare e contorcersi.
Non vi è altra maniera, le frecce non gli fanno nulla solo arretrare e basta, poi ridono e spezzano il legno infilzato nella loro pelle morta, e poi i loro denti, affilati e di un bianco innaturale, li vedo farsi largo fra il metallo fino alla carne viva, spezzare le spade con l'aiuto di una forza sovrumana, e gli artigli squarciare petti, tagliare arti, fino a ridurre i soldati a masse informe di carne sanguinante e organi spappolati, non prima di aver succhiato loro oltre il sangue, la vita, l'anima.
Io lo sapevo che quella era nient'altro altro che un impresa disperata, ma dopo aver visto Marsella strappata via dal suo cavallo, un baio rossastro giovane e vigoroso, trascinata in mezzo alla folla di vampiri affamati, insieme ai gemelli di sette anni, Arrmon e Urrmt, i miei figli, i miei bambini, i nostri figli.
Aveva preferito lasciarlo con i domestici su un carro a parte pieno di vettovaglie e provviste, con il cocchiere che guidava i cavalli dietro Marsella.
Marsella, i capelli ricci e castani coperti da un velo nero decorato di fiori e tenuto fermo da una cordicella di ferro lavorato e impreziosito con argento intorno al capo, come se fosse in lutto, ma il vestito, me lo ricorderò per sempre, azzurro dal mantello blu, lo stesso colore dell'abito indossato durante il nostro matrimonio, dieci anni prima, una vita fa.
La sua fierezza nel tenere la testa alza, non cedere alle lacrime, nemmeno una volta si era voltata a guardare il castello, guardare me, nemmeno un cenno della mano, mentre i bambini, li sentivo fin da lì, piangevano e protestavano...
I piccoli Arrmon e Urrmt, ricci come la madre, e i capelli neri come i suoi, le fossette di Marsella, e gli occhi luccicanti e verdi della nonna, sua madre Illa morta undici anni prima.
Tutta colpa mia, sono stato io a dir loro di andarsene da uno zio nel feudo vicino, dove sarebbero stati al sicuro, in quella regione i vampiri non erano ancora arrivati, ho costretto Marcella e i bambini ad andarsene non appena un messaggero aveva portato la notizia della devastazione a opera di quelle cose nel villaggio attorno al castello abitato da contadini, fattori, venditori e artigiani, brava e laboriosa gente...tutti morti.
Ma non ho fatto in tempo, e così li ho condannati a morte, sono stato io stesso a mandarli via, lì fuori in mezzo al pericolo, con l'ingenua speranza che il tempo sarebbe stato dalla loro parte ( ci voleva un paio di ore per arrivare al castello dal villaggio ), ma avevo fatto male i calcoli.
E Marsella aveva protestato, voleva anche lei combattere, poi di fronte alla mia ostinazione, sono stato irremovibile aveva pianto, ricordo le sue lacrime di rabbia, e le urla, ricordo gli schiaffi e i a pugni, il non voler scappare lei i bambini, come codardi e disertori, i suoi figli non sarebbero cresciuto come vigliacchi e sempre in fuga...ma niente poteva farmi cambiare idea.
E ora là nella torre alta, fra le guglie dove gli arcieri cominciavano a inforcare le frecce per colpire gli esseri, mi ero ritratto scendendo di fretta le scale a chiocciola, per andare a salvarli, ma il portone era già stato sbarrato e tre guardie, Yuesch, Orsom e Lorenzt erano riusciti a fermarmi, urlavano di non uscire, che era troppo tardi ormai...
...e poi, e poi, una settimana, no, dieci giorni, o forse tre, sto già dimenticando...l'esercito, ho preso quello che è rimasto delle guardie, degli arcieri, arruolato gli uomini del villaggio sopravvissuto...la guerra si, ero pazzo folle di dolore, è stato...un suicidio, dovevo esser stato posseduto da Innattar...
...è lui che spinge gli uomini alla follia in situazioni estreme quando sua sorella Urinna dorme e non può vegliarlo, ma da quando sono arrivati Loro, la Dea ha sempre dormito, e il Dio della follia ha governato incontrastato, mettendoci alla prova, mettendo ME alla prova...
...non ci sono altre spiegazioni a quello che è successo...
...dopo quello che ho visto...il dolore delle zanne sul collo, ho visto morire...quella cosa, davanti a me...dopo avermi morso...mangiato un pezzo di collo...
...l'uomo cieco con l'orologio, mi ha detto che mi restava un minuto e mezzo da vivere, prima mi ha chiesto di leggerglielo, quel dannato orologio, sono mezzo morto e quel vecchio mi chiede di leggergli...un orologio...
Un minuto e mezzo di vita che si è trasformato in un eternità...in trecento anni...
...il vecchio mi ha detto di guardare...e vedo un bambino prendere per mano quell'essere che mi ha morso...ha sorriso, il volto non più magro e simile a un teschio ma giovane, per un attimo... si è girato e chiede perdono con gli occhi azzurri, prima non erano così erano grigi, poi si è accasciato, e il bambino con gli stessi occhi azzurri lo vedo andarsene
Il vecchio...poi è diventato una gazza... lì accanto a me, caduto da un albero di pesco in fiore, no non è possibile, lì era terra secca e arida...dev'esser stato un sogno, un delirio della trasformazione...ma c'è un nido ne sono sicuro, con dei pulcini...morti, schiacciati... la gazza mi ha guardato, ho sentito una voce, la sua, nella testa...anche gli animali muoiono...
- Bevi questo, su da bravo...bene, ecco fatto. Se tutto va come presto dovrebbe risvegliarsi fra poco.-
Un urlo, Ivark si alzò di scatto boccheggiando, gli occhi spalancati, ma ancora ciechi.
Ondeggiava, le mani che cercavano un appiglio, Ithil gli si avvicinò per aiutarlo, lo sorresse per le spalle mormorando piano il suo nome come fosse una domanda, incerta, con gli occhi azzurri - violacei stranamente preoccupati.
- Oh bene, c'è voluto meno del previsto. Minh portargli da mangiare, sì nell'altra stanza, la gabbia dei topi oh non essere sciocca anche se ti mordono non ti uccideranno, tranne quelli con gli occhi rossi, quelli non li toccare altrimenti ti verrà la febbre delirante e non ho antidoti, prendi il più grosso, quello nero, è in uno scompartimento a parte...-
Minh si lamento', ma vedendo lo stato in cui versava il giovane vampiro si sbrigo' nel dirigersi verso la stanzetta che fungeva da magazzino, una piccola porta di legno incastonata fra la base della scala a chiocciola e il laboratorio di Markann, quasi invisibile, in penombra nel sottoscala, se non ci si avvicinava per guardare nemmeno pareva esserci, era visibile solo lo spazio buio e odoroso di muffa, veniva da storcere il naso e dimenticarlo lì, come spesso ci si dimentica dell'esistenza della cantina buia, piena di ragnatele e terrori infantili, fino a quando non si rende necessario scendere e affrontare l'odore di chiuso, polvere, e il terrore irrazionale.
Lo stesso terrore che avvolgeva Minh senza motivo come ogni volta, mentre, con una lampada a olio, si avvicinava al sottoscala e alla porticina di legno anonima, indistinguibile da quella dello sgabuzzino dove Markann teneva le provviste sotto sale e olio.
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Il topo era davvero enorme e grasso con il manto nero lercio, la testa scattò nella direzione di Minh non appena entrò nella stanza ancora prima di chiudere la porta, il topo squitti' minaccioso ritirandosi verso l'angolo della piccola gabbia dalle sbarre arrugginite, le palpebre serrate, era nato cieco senza bulbi oculari, ma con una sensibilità verso i più lievi odori, e sopratutto rumori.
Il roditore che di anni ne aveva nove, più vecchio dei piccoli ratti di campagna bianchi e marroni stipati nelle sei gabbie ammucchiate sui due lunghi tavoli addossati ai lati del muro di pietra gonfio di umidità e muffa, in fondo alla stanza ( lì era dove finiva a tutti gli effetti la proprietà di Markann ).
La stanza che fungeva da sorta di magazzino per le cavie da laboratorio del medico ( e in dieci passi camminando dritto e quattro per lato, Minh poteva percorrerla tutta ), era un vero e proprio organismo biologico tossico, qualunque bestia Markann decideva di sottoporre alle sue "visite ordinarie per la sicurezza del popolo" finiva lì dentro con tutte le malattie possibili ( ovviamente iniettate dallo stesso scienziato, per vedere i tempi di reazione, svolgimento e infine guarigione - se sopravvivevano, ovviamente ) in attesa di trovare la cura, e nove volte su trenta Markann ci riusciva, il restante moriva di morte naturale, lenta e dolorosa, sempre lì dentro.
Sanificare la stanza ovviamente era un concetta estraneo al medico, così che ogni volta che Minh entrava non aveva paura delle cavie di turno, ma delle malattie che poteva prendersi solo respirando quell'aria carica di muffa e di chiuso, motivo per cui la ragazza si legava sempre un fazzoletto prima di entrare lì dentro.
Anche se era consapevole di esserne ormai immune, tutte quelle notti passate lì dentro negli anni passati, ancora ragazzina ribelle e insofferente alle rigide regole di quel personaggio folle e viscido.
Quante volte l'aveva tenuta lì rinchiusa anche per ore, una volta per un intera notte senza mangiare, bere o usare il bagno costretta a farla negli angoli, una punizione per la sua curiosità...
Quella stessa curiosità che portava Minh alla punizione era la stessa che poi si era trasformata in carità verso quelle povere bestie, come lei rinchiuse, e che nei primi tempi liberava dalle gabbie portandole nei boschi lì intorno o solo lasciava negli angoli tranquilli della città, colpevoli solo di essere capitati nella mani sbagliate ( forse inconsciamente aveva sempre visto una similitudine fra lei e loro )...quante notte passate a piangere, non solo per gli insulti, gli schiaffi e i capelli tirati nella foga di trascinarla fino a lì, no, era l'umiliazione di essere trattata come un animale al pari di quelle povere creature tenute lì dentro, e molto più della fame o della sete, era il terrore ( se si liberavano se riuscivano a uscire era morta, bastava solo un morso...) misto a tristezza nell'udire i loro versi notturni e lamenti.
Ma poi gli anni erano passati, i suoi soggiorni lì dentro erano diventati sporadici fino a svanire del tutto, il suo carattere ribelle si era addomesticato, era diventata docile e mansueta, non protestava né si lamentava troppo nemmeno quando dai sedici anni, dopo esser diventata una donna, Markann aveva iniziato a metterle le mani addosso.
Quel poco di spirito battagliero che le era rimasto riusciva a esprimerlo con battute taglienti, abbastanza sottili da non destare rabbia né malumori nel medico, ma solo divertimento a volte, nel peggiore dei casi fastidio, tutto quel che le era concesso necessario a ricordarle la bambina che era stata, la stessa ragazzina che rubava durante il mercato, mendicava nelle giornate peggiori e faceva a botte con gli altri monelli di strada luridi e mangiati dai pidocchi e pulci, azzuffandosi solo per una crosta stantia o una coperta di lana , perennemente affamati di cibo e calore.
Quell' annullamento di sé che si autoimponeva scompariva del tutto di notte, nel suo letto, e solo lì allora si lasciava andare ai singhiozzi maledicendo il giorno in cui, a dieci anni, si era lasciata convincere ad accettare un piatto di verdure cotte e costolette di manzo delle montagne...se fosse tornata indietro a quel giorno sarebbe scappata senza fiatare preferendo le viuzze piene di spazzatura e le fogne dove si moriva dal freddo in inverno e dove, nelle pessime giornata, trovava da mangiare ratti e piccioni imperiali, catturati con una piccola fionda che aveva rubato a una ragazzina morta di stenti.
Tutto era preferibile al passare vent'anni in quella gabbia, fatta di pergamene, libri e cavie da laboratorio...certo degli aspetti positivi c'erano stati, aveva imparato a leggere, scrivere e fare di conto, e per aiutare Markann nella preparazione delle medicine lui l'aveva istruita alla raccolta delle erbe, alla loro catalogazione e distinguere quelle buone dalle cattive, più un po' di anatomia quel che bastava per aiutarlo nella vivisezione dei cadaveri, alla ricerca di malattie e rimedi a esse.
Però...vi erano certe notte in cui si chiedeva perché diamine ancora non l'avesse ucciso, Markann, e di occasioni ce ne erano state, un bisturi piantato nel punto giusto, qualche foglia sbriciolata nel thè o nel vino, un cuscino sulla faccia mentre dormiva...
Non sono un assassina come lui né mi abbasserei mai al suo livello, e poi non posso lasciare quel povero bambino da solo, e se lo facessi se lo provassi dell'unica persona che si sia mai presa cura di lui non me ne perdonerei, certo io l'ho visto nascere, ma gli ho fatto solo da balia, nient'altro...
Pensava Minh, trasognata, mentre stringeva fra le mani il ratto che si divincolava, protestando ( stando ben attenta a non farsi mondere nonostante quello lì fosse innocuo ), usciva dalla stanza e lo portava a Markann, che dopo un occhiata distratta lo prese per darlo, con cautela, quasi soggezione, al vampiro seduto sul tavolo davanti a loro.
Ivark, il torace pallido, esangue, con in rilievo le piccole incisione fatte dal medico, e ancora più bianco era il volto sudato, i capelli appiccicati sulla fronte e gli occhi, cerchiati di rosso, spalancati se ne stava a fissare il nulla davanti a sé, ansimante con la bocca spalancata.
L'elfa accanto a lui lo fissava muta, senza dir nulla le mani ancora sulle sue spalle, tenendo che potesse crollare, di nuovo svenuto, e sbattere sul tavolo o per terra.
L'elfa, Ithil si chiamava, ( così aveva affermato Markann, lei ancora non aveva confermato né smentito la sua affermazione ) era molto bella anche lei, di una bellezza delicata, candida come neve, e il rossore che in quel momento le dipingeva le guance e arrossava le labbra, esaltava il suo pallore regale, una bellezza diversa da quella malaticcia, tormentata ma allo stesso tempo virile, del vampiro.
Quando quest'ultima si voltò fissando Minh con i suoi strani ma magnetici occhi azzurri screziati di viola, la domestica sussultò sentendo l'impulso di abbassare lo sguardo che indirizzò verso il ratto che teneva stretto al petto.
Markann ingnaro dello stato d'animo e dei pensieri di Minh, le strappò l'animale dalle mani per darglielo a Ivark.
Il vampiro ci mise un po' a mettere a fuoco il grosso ratto nero che il medico gli porgeva, ma una volta che il suo cervello, seppur inizialmente con lentezza a causa delle massiccie dosi di oppio e sangue elfico, elaborò l'informazione, lo prese senza indugi.
Per poi affondare i canini nella carne soffice dell'animale.
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Nota autrice: Ho voluto sperimentare la prima persona con i pensieri e ricordi di Ivark prima di uscire dal "coma" ( i tempi verbali in questa parte sono sbagliati e confusi di proposito ), è stato un piccolo esperimento non essendo abituata alla prima persona, pareri?
E anche questa volta capitolo più lungo del solito, ma da un altro nuovo punto di vista, ovvero quello di Minh, la domestica di Markann, ho voluto darle spazio per approfondire la sua storia personale e focalizzare il suo personaggio perché come ho già accennato sarà una presenza importante nella storia e per i nostri amici, non una figura di sfondo o secondaria, anzi.
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