A Misserto le donne non cantano, a mezzanotte ( seconda parte )
"E in una notte senza luna
Truccò le stelle ad un pilota
Quando l'aeroplano cadde
Lui disse "È colpa di chi muore...
Comunque è meglio che io vada"
Ed il pilota lo seguì
Senza le stelle lo seguì"
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Ivark non prendeva più le medicine da tre giorni, da quando era successo il fattaccio con Werrsot.
Quando Minh lo aveva scorto, accasciato a quell'albero di pino rosso, era successo di tutto, Markann che aveva urlato ordini a tutto loro, mandando le donne a raccogliere bacche e erbe, tenendo con sé Bentho perché gli reggesse gli strumenti, e lui, Ivark, a occuparsi dell'acqua, dei cavalli e di tenere acceso il fuoco, oltre a preparare il cibo dato che Minh e Ithil si occupavano di raccogliere gli ingredienti per l'intruglio necessario a salvare il mezz'elfo, e prepararlo.
In quei tre giorni non aveva avuto un momento di respiro, aveva mangiato a malapena, dormito ancora meno, e sopratutto, non aveva avuto il tempo di occuparsi delle medicine.
Se n'era accorto la sera in cui Markann aveva estratto l'ultimo ago a Werrsot e questo si era addormentato.
Quella sera erano tutti troppo stanchi e stravolti anche per parlare, Markann era cupo per aver rincontrato fratello, Minh e Ithil silenziose ma felici per Werrsot, e Bentho, beh lui era silenzioso e scostante di suo, e quella notte era rimasto accanto a Werrsot tutto il tempo.
Se n'era accorto quando tutti avevano finito di mangiare e si preparavano a dormire, aveva concluso anche lui il suo pasto, e dopo essersi sdraiato nel suo sacco a pelo, gli erano venute in mente le medicine.
E il fatto che non le prendeva da giorni.
Ma non si era preoccupato, quei giorni erano stati fin troppo pieni, per occuparsi di sé stesso, avrebbe ricominciato a prenderle il giorno seguente, tanto si sentiva bene e lucido, tre giorni non era un tempo relativamente lungo, non era così grave...
Eppure...in questi giorni sono stato invaso dagli incubi...
Ho fatto lo stesso sogno, per due notti dopo l'accaduto di Werrsot, la prima notte ho sognato una donna dai capelli neri e occhi anch'essi di pomice d'ombra, e prima di vederla ho sognato le sue urla, e poi la sua schiena nuda, piena di segni sanguinanti di frusta.
La seconda notte, l'ho rivista mentre un gruppo di uomini incappucciati la trascinavano, nuda, mentre arrancava con un coltello a squarciarle il fianco sinistro, fuori da un castello a ridosso di una scogliera, e poi ho visto due di loro legarla stretta a essa...
Ma in questo secondo sogno aveva il lato sinistro del volto ridotto a una maschera di sangue, sfregiato da una cicatrice che le partiva dall'occhio fino al mento, e l'unico occhio sano, il destro, che si muoveva all'impazzata per il dolore...e le urla mentre il giorno si succedeva alla notte, che divenivano più flebili e infine, all'alba del terzo giorno l'avevano slegata, moribonda ma viva, per riportarla nel castello...
E quello sfregio al volto...era uguale all'aspetto dei monaci della pece, gli stessi occhi ciechi, seppur coperti da bende, la stessa cicatrice ( chissà se avevano anche loro la stessa ferita al fianco?), tutti infagottati in quel saio nero come la notte - come gli occhi e i capelli della ragazza misteriosa - tutti con il volto e gli arti smunti e magri, somiglianti l'uno all'altro in modo inquietante, impossibile capirne perfino il sesso e l'etnia...
E poi, dopo due giorni di incubi e urla di Werrsot, il terzo giorno era arrivato quel monaco della pece...che lui non aveva visto, perché via con Bentho a prendere l'acqua.
Ma quando aveva saputo la notizia, era stato colto dall'angoscia e divorato dall'inquietudine, arrivando a chiedersi se avesse fatto dei sogni premonitori, per un attimo era stato tentato di dir loro di quei sogni ma poi aveva lasciato perdere, preferendo tenersi per sé la cosa.
Eppure, quel monaco aveva curato Werrsot, salvandolo.
E quella notte, Ivark per la prima volta si era addormentato sereno, convinto che sarebbe andato tutto bene, una volta superata una simile avversità.
E invece, quella notte non era riuscito a prendere sonno, si era rigirato tutto il tempo nel sacco a pelo, inquieto.
Stufo di aspettare che la ninfa del sonno, Thyyl, decidesse di fargli visita si alzò, preferendo fare una passeggiata per conciliare il sonno.
Si guardò intorno, Ivark, e una volta appurato che tutti stessero dormendo, si allontanò dalla radura in cui si erano accampati, per addentrarsi nel bosco di pini, seguendo il sentiero e indossando il mantello che Markann aveva intimato a tutti loro di indossare, per non ferirsi con gli aghi rossi e finire come Werrsot.
La luce lunare era abbastanza intensa da illuminare il sentiero davanti a lui e seguirlo, in modo da non perdersi.
È normale che sia così luminosa, la luna? È sempre stata così limpida, la sua luce?
O forse è solo un sogno?
Con la mente vuota e una sensazione di annebbiamento e torpore e invadergli le membra che lo portava a camminare come un ubriaco, Ivark giunse a un altra radura, illuminata da un fuoco al centro.
Lì accanto, una figura vestita con quello che pareva un abito scuro, incappucciata, stava mangiando una bistecca con le mani.
Ivark si blocco', e la figura alzò il capo, lo osservò senza stupore, e poi riprese a mangiare, non prima di avergli fatto un cenno.
- Avvicinati pure, Ivark.-
Il vampiro obbedì, come un automa, un sonnambulo.
Gli si sedette a fianco, cercando di riuscire a cogliere un volto, dei lineamenti sotto quel cappuccio scuro, ma senza successo.
Stranamente non si chiese come quella figura facesse a conoscerlo né tanto meno il motivo per cui sembrava comportarsi come se lo conoscesse già, Ivark non aveva paura né si poneva domande, anzi si sentiva quasi tranquillo, in pace.
- Tieni, finisci pure la bistecca sembra che tu ne abbia più bisogno di me, ecco prendi anche un sorso di vino di bacca gialla, sei così pallido, questo ti ridarà un po' di colore.-
La voce della figura era anonima, senza accento né inflessioni, impossibile determinare se appartenesse a un uomo e una donna.
Mentre prendeva il piatto iniziando a mangiarne la carne ( non gli disse di essere un vampiro, forse anzi sicuramente lo sapeva già ) e mentre prendeva il bicchiere che gli porgeva, riuscì a scorgere un volto sotto quel cappuccio scuro.
Un volto glabro, senza barba, apparentemente senza capelli, lineamenti delicati ( quindi non poteva assolutamente essere il monaco arrivato quel giorno dato che gli altri lo avevano descritto con la barba e i capelli lunghi ) il lato sinistro deturpato dalla cicatrice che aveva visto nel sogno e simile a quella descritta dagli altri sul monaco della pece.
- Sì Ivark, sono un monaco, come quello che è venuto da voi questa mattina. E ho le stesse cicatrici, come tutti del mio ordine, del resto, le stesse della ragazza dei tuoi sogni.-
Ivark per poco non sputo' l'acido vino che stava bevendo, a quelle parole.
- Come...-
Ivark appoggiò la bistecca mangiata per metà sul piatto, la fame che gli era passata immediatamente, a quelle parole.
- Non si spreca il cibo, Ivark. Per favore, finisci la carne e bevi tutto. Hai bisogno di essere in forze, dato che fra poco ti sarà tutto chiaro.-
Il vampiro scosse la testa, il torpore scacciato via dal forte vino giallognolo che aveva bevuto, seppur per pochi sorsi, così acido e così disgustoso, ma abbastanza forte da fargli capire che quella situazione non era del tutto normale, e forse era il caso di andarsene...
- Chi sei?-
Mormorò solamente, riprendendo la carne e finendola in pochi morsi, mentre altre domande gli frullavano nella mente.
Come fai a sapere il mio nome, come sai del monaco della pece venuto al nostro accampamento, e sopratutto, come puoi sapere del sogno?
La figura si alzò spazzolandosi la polvere dal saio scuro, per poi tendergli la mano.
Ivark vide che l'occhio destro aveva l'iride così nero da inghiottire la pupilla, e la luce del fuoco gettava ombre inquietanti sul volto magro, delicato come quello di una donna.
- Sono molte cose da spiegarti, Ivark. Coraggio, prendi la mia mano, te le mostrerò, così capirai.-
Ivark, mentre un inquietudine cominciava a ribollirgli nelle viscere, bevve le ultime gocce di quel disgustose vino ( o forse proprio quello a fargli quell'effetto?) gli prese la mano, rassegnato.
È solo un sogno, tanto. Solo un sogno, fra poco mi risveglierò nel mio giaciglio.
La mano del monaco era piccola e fredda, ma dalla stretta forte e decisa.
Si accorse, Ivark, che lei era più bassa di lui, gli arrivava alle spalle, e mentre camminavano il cappuccio gli ricadde all'indietro, mostrando un cranio rasato a zero con delle cicatrici, su cui spuntava, a chiazze, una ricrescita scura.
Il collo era sottile, e Ivark, quasi distrattamente, si convinse che la figura che lo stava procedendo davanti a sé tenendolo per mano, fosse una donna.
- Ti chiederai chi sono, Ivark. Posso dirtelo, tanto lo vedrai comunque. Io sono la ragazza dei tuoi sogni e la prima donna umana che abbia mai messo piede su questo mondo, sono stata partorita da una donna elfica e scacciata dal mio villaggio per il mio essere umana e quindi senza poteri né abilità particolari. In quel periodo accadeva spesso, e nessuno è riuscito a trovarne una spiegazione tutt'ora, che da donne elfiche, fate, stregoni e perfino nani e orchi, nascessero bambini umani, se non venivano esiliati o uccisi allora li mettevano nei borselli o a mendicare. Io sono stata la prima, e ho raccolto con me quelli che sono venuti dopo, per creare insieme una comunità formata da persone come noi, senza poteri né capacità di connessione con la natura, ma in grado di vivere nella caverne, costruire case sotto le montagne, scavare miniere, vivere di caccia e pesca, compiti che tutti insieme era impensabili svolgessero le Prime razze, dato che ognuna aveva un compito e abilità speciali, divisa e diversa dalle altre, ed era un abominio che si mischiassero e per questo, noi eravamo un abominio.-
La donna ( sì aveva intuito giustamente, Ivark ) lo fissò con l'unico occhio nero, e al vampiro parve, per la prima volta, di notarle in volto e sulle mani, delle rughe e la pelle grinzosa di un essere che, per assurdo che fosse, doveva essere più vecchio dello stesso Ivark, fosse vecchio quasi quanti gli stessi Dei...
- Ma non eravamo noi, l'abominio. Noi umani eravamo, anzi...siamo l'anello di congiunzione delle creature magiche, ne siamo l'evoluzione, l'unione di tutte le loro caratteristiche, eravamo uguali, nel nostro essere dei miserabili e dei reietti, eppure siamo stati cacciati come bestie, abbiamo subito la stessa sorte che hanno subito gli elfi per mano vostra. E voi siete nati da donne umane, eravate voi l'abominio, non noi. E massacrando gli elfi avete fatto la quello che fecero a noi. In un certo senso devo ringraziarti, Ivark. Tu ci hai vendicato.-
A quest'ultima frase la donna sorrise, un sorriso grottesco, folle, e Ivark sentì un moto d'orrore, e si chiede perché quella strana donna gli stesse rivelando tutte quelle cose.
Doveva parlare, si sentiva a disagio così disse la prima cosa che gli era venuta in mente, guardandola:
- I monaci della pece...-
La donna lo fisso' di sbieco, infastidita, a quanto pare non soddisfatta, forse conscia del suo essere inquieto e distratto.
- Quelli? Dopo che sono sparita, uomini, abitanti dei primi insediamenti hanno creato l'ordine dei monaci della pece con il compito di proteggere la stirpe degli uomini dagli attacchi degli elfi e degli stregoni, proseguendo la mia missione originaria, e ha funzionato dato che poi gli uomini sono diventati la razza dominante, e hanno prosperato. Se ti chiedi delle ferite, lo puoi intuire, quando qualcuno si vuole unire a loro, lo frustrano, gli sfregiano in volto e lo legano a una rupe con un pugnale ficcato nel fianco, e se sopravvivono, entrano a far parte dell'ordine. E sono stati loro a scrivere il libro Oscuro, in quella che è la mia lingua, la lingua dei primi uomini.-
Ivark scosse la testa, bofonchiando, si sentiva la mente confusa, il corpo scosso dai tremiti, arrancava con le parole, mentre la consapevolezza gli schiacciava la testa come una tenaglia:
-... no...i vampiri...le persecuzioni degli elfi... tutto questo orrore durato trecento anni... è tutto opera tua?-
Lei teneva l'occhio chiuso, scosse la testa, il capo basso, le mani incrociate, come fosse raccolta in meditazione, lontano da Ivark e da quella notte piena di fumo e luce irreale ad avvolgerli, in un sogno fin troppo vivido per Ivark.
Basta, non voglio sentire altro, voglio svegliarmi, tornare all'accampamento dagli altri, sorbirmi i rimproveri di Markann, ascoltare Ithil e Minh chiacchierare, vedere Werrsot e Bentho comunicare senza parole solo con buffe smorfie, non voglio trovarmi qui con questa donna...
- Sei stato tu, Ivark, il primo a scoprire come il sangue degli elfi curasse i vampiri dal loro stato di bestia, sei stato tu massacrarli, tutto questo è opera tua...io ho solo maledetto la stirpe degli elfi per ciò che mi hanno fatto, dicendo che un giorno sarebbe arrivato un abominio peggiore degli esseri umani a distruggere tutti loro, tutto il mondo all'origine della creazione. Voi siete solo una mutazione, il rimasuglio dell'antica magia manifestatosi in forma bestiale. Siete tutti figli di Werah, come me, come gli uomini.-
A quest'ultima frase Ivark, gli occhi rossi, e il corpo scosso dall'affanno e dai tremolii, la fissò, senza ormai comprendere le sue parole.
- Sì, Ivark. Io sono la prima figlia di Werah, quella che lo ha convinto a creare la razza degli uomini, dal ventre di donne d'altra specie. Prima di me gli Dei non esistevano, Werah li stava ancora creando, e così, forse per capriccio, decise di creare una nuova specie in questo mondo diversa da tutte le altre, e così mi ha messo nella pancia di una donna elfica, la prima di tutti. Io l'ho sempre saputo di essere sua figlia, ed è per questo che non l'ho mai perdonato per aver lasciato che gli elfi mi torturassero. Quando sono venuti a tagliarmi la faccia, io ho guardato il cielo e ho sputato a terra bestemmiando il nome di Werah, e quando infine è venuta la Morte a prendermi, io mi sono rifiutata di venire con Lei, rinnegando le mie origini divine, rinnegando mio Padre. La Morte non ha potuto sopportare ciò che aveva appena pronunciato così mi ha lasciato a vivere questa... non - vita immortale, a metà fra la terra e il limbo degli spiriti, a metà fra l'umano e il divino. Poi ho colto l'occasione approfittando dei poteri che la mia condizione ha permesso, e ho fatto si che dal ventre delle donne umane nasceste voi, i vampiri. Quindi si può affermare che siate miei figli. Tu sei mio figlio.-
Quindi...hai creato i vampiri solo per vendicarti di quello che ti hanno fatto gli elfi? Li hai creati così da avere il tuo personale esercito per poterli sterminare vendicandoti di Werah distruggendo la sua migliore creazione? Hai fatto tutto questo per tornaconto personale?
Lui, o meglio lei, si fermò a pochi metri da una siepe fitta di foglie rosse acuminate come gli aghi, che pareva impedire il passaggio.
Lo fisso', il volto giovane ma allo stesso tempo terribilmente vecchio e antico, contratto in una smorfia dolorosa, come se fosse riuscita a udire i suoi pensieri.
- Devi attraversarlo.-
Lui fissò la figura, che a sua volta ricambiò lo sguardo, l'occhio scuro che brillava alla luce della luna con un luccichio umido e terribile.
Quell'occhio, a differenza della sua figura minuta sembra così vecchio, quanti anni ha questa ...cosa?
Lei gli sorrise, mettendo in mostra dei denti marci e alcuni mancanti, e Ivark fu attraversato da un brivido e dalla consapevolezza che quello, più che essere un sogno, fosse un incubo, fin troppo reale.
Ivark represse un singhiozzo, tutti quei secoli di sofferenza, la morte della sua famiglia...
Fissò la donna, sua madre, pieno d'ira e odio.
Marsella, i suoi due bambini, Arrmon e Urrmt...
- TU HAI UCCISO MARSELLA E I MIEI FIGLI! LORO SONO MORTI PER CAUSA TUA!-
Il monaco scosse la testa, indifferente alla sua ira e odio e, con impazienza gli afferrò le spalle, spingendolo fra le foglie rosse e appuntite della siepe, finché il vampiro non spari' fra essi.
Strano, non sento alcun dolore, né la puntura dei bordi acuminati delle foglie, non sento niente e non vedo nulla davanti a me solo...oscurità.
E prima di cadere nell'oscurità sentì la voce di quell'inquietante essere che già sentiva di odiare profondamente:
Coraggio figlio mio, dopo questo ti sarà tutto più chiaro, comprenderai ogni mia decisione, ogni mio dolore, perché lo sentirai sulla tua pelle, e poi, capirai davvero perché ho dovuto farlo. Tu sei mio figlio, e anche l'ultimo vampiro della tua specie. La tua razza ha esaurito il suo compito, siete stati bravi, ma ora, è tempo che gli uomini prosperino di nuovo.
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La prima cosa che vide fu quella che pareva un'elfa sinuoso, dalla pelle chiara e gli occhi verde smeraldo stringere fra le braccia una creaturina scura e dalle orecchie normali, una creaturina bruttina, piangente e sopratutto, umana.
Poi vide quella neonata ormai ragazza trascinata via dal villaggio elfico in cui era cresciuta e abbandonata fuori di esso, con uno zaino e un bastone, e tante lacrime di rabbia e impotenza a solcarle il volto sporco di terra e gli occhi nerissimi, così come i lunghi capelli crespi.
Poi quella ragazzina magra, ormai diventata donna, raccogliere da terra una donna ferita e il vestito strappato sul petto recante un tatuaggio a forma di rosa che, come seppe senza saperlo davvero, significava che quella era una donna di malaffare rinnegata e non più buona per il bordello, e insieme a lei prendere con sé bambini storpi, e mendicanti scacciati dalle famiglie perché deboli e malati.
Poi vide la donna dai capelli scuri, la prostituta e un gruppo di uomini sporchi e umani come loro due, camminare nella foresta, affamati e scacciati da qualsiasi insediamento incontrassero, che fossero villaggi abitati da elfi, città scavate nelle montagne dei nani, perfino dai paesi sugli alberi e sulle isole abitati da fate e figli delle acque.
Perfino gli uomini e donne magici, gli stregone e i druidi li cacciavano, non volendo nulla a che fare con quegli esseri senza poteri né capacità guaritrici o legate alla natura, esseri senza alcuna utilità, esseri che mangiavano le carcasse degli animali, lavoravano la terra con le loro mani e spaccavano le pietre come i nani, senza essere tali.
E poi vide la giovane donna riuscire a costruire una città grazie al suo seguito, un luogo dove insegnare a usare le conoscenze degli elfi e delle fate, i rudimenti magici degli stregoni, e la capacità dei nani di lavorare la pietra.
E poi tanti insediamenti umani sorgere uno dopo l'altro, finché un gruppo di stregoni non decise che quella nuova razza imperfetta fosse un pericolo per le nobili stirpe magiche che abitavano il mondo concesso loro dagli Dei secoli prima.
Gli stregoni delegarono il compito agli elfi che presero la ragazza, la torturarono e legarono a una scogliera, sperando che il Dio della morte venisse a prenderla, ma così non fu, sopravvisse miracolosamente all'agonia, e poi scomparve misteriosamente una notte, non prima di aver lanciato una maledizione sugli elfi e le stirpi magiche.
Sentì tutto il suo dolore, la schiena aprirsi in squarci sanguinolenti per i colpi della frusta, il luccichio della lama acuminata e l'agonia dello sfregio al volto, la sofferenza di dover camminare anzi zoppicare con uno stiletto acuminato piantato nella carne, e il freddo che accolse come una benedizione, l'unico a lenire il dolore.
E poi i minuti lunghi come ore, le ore lunghe come giornate intere, le corde che le tagliavano la pelle, lo sfregamento delle ferite aperte sulla schiena contro la roccia acuminata, e poi lei, La morte che finalmente era venuta a prenderla, ma dopo tutti quegli stenti, e quella sofferenza, le aveva riso in faccia quando le aveva detto che era il momento, che Werah l'aspettava, una risata folle e piena di odio che si mischiava alle lacrime e agli spruzzi delle onde del mare.
E il suo rifiutarsi di essere figlia di un Dio, affermando che non sarebbe mai venuta con Lei finché i figli della sua stirpe non avessero ucciso fino all'ultima preziosa creatura elfica e magica di Werah.
E anche loro, gli esseri che l'avevano torturata udirono con sgomento quelle parole pensando fossero i deliri di una donna in punta di morte, per poi liberarla e scoprire con orrore che era ancora viva.
E siccome gli elfi erano contro l'omicidio, lasciarono vivere la donna sperando morisse di stenti, ma dopo che spari', contro ogni previsione, gli uomini prosperarono a scapito delle stirpi magiche, che si indebolirono, finché, dal ventre di alcune donne umane non nacquero loro, i Vampiri, il frutto della maledizione pronunciata dalla donna secoli prima.
Vide il primo vampiro venire al mondo, lo vide crescere e trasformarsi in un essere ringhiante, nudo, senza né ragione né parola, affamato di sangue tale da non riconoscere nemmeno la propria famiglia.
Questo erano, i primi vampiri, un orrore vivente, che solo grazie a uno di loro, un principe un tempo umano, non scopri' che il sangue elfico curava la loro mente primitiva riportandola alla ragione e alla saggezza precedente alla trasformazione, e così vide se stesso ordinare l'arresto e l'uccisione degli elfi, fino alla loro estinzione, costringendo alla fuga quel che restava delle prime creature ad abitare il mondo.
Vide villaggi in fiamme, famiglie massacrate e bambini piangenti, vide una donna che aveva preso i bambini portandoli in una foresta perché vivessero lì, e li riconobbe, vide Ithil e Werrsot come dovevano essere stati da bambini, udi il loro dolore assistette impotente all'uccisione dei loro famigliare.
Con un urlo, Ivark rotolò fuori dall'ammasso di foglie acuminate, il volto e le mani graffiati e sanguinanti, e gli occhi sbarrati, ansimante e ora completamente lucido.
Tentò di rimettersi in piedi, barcollante, cercando di scacciare ciò che aveva visto, di cui ancora non riusciva a coglierne un senso.
Si guardò le mani e tocco' la faccia, nessun graffio né sangue...era stato reale quello che aveva visto?
Era stato veramente all'interno di quella siepe?
Si alzò a fatica, guardandosi intorno, il sole ora alto nel cielo, doveva essere mattina inoltrata...quanto era stato dentro?
Si voltò verso la siepe, ma non vi era più nulla, da dove era uscito poco prima, solo un mucchio di aghi di pino rosso e il proseguimento del sentiero che portava a inoltrarsi nel bosco, non c'erano foglie acuminate rosse lì intorno, né siepi né cespuglio.
Si guardò intirno, sgomento, era sparito perfino il fuoco, così come i piatti e il bicchiere da cui aveva mangiato e bevuto, non c'era nemmeno tracce di fumo o mucchi di cenere.
Sparito tutto, così come quella donna di cui non sapeva il nome, che sosteneva di essere una figlia di Werah, e creatrice della stirpe dei vampiri.
Sussultò quando udi dei rumori di foglie calpestare, ma poi sospirò sollevato vedendo comparire dal sentiero Ithil.
- Ivark! È da ore che ti sto cercando, dov'eri finito? Stavamo per partire, è tutto pronto per andare a Misserto. Sbrigati, o Markann ci lascerà qui. Ah, vuole parlarti, spera solo che non ti voglia rimprovera per essere sparito così, era di pessimo umore questa mattina quando si è svegliato.-
Ithil gli diede un occhiata, sembrava stravolto, era più pallido del solito, aveva due profonde borse violacee che parevano lividi, sotto gli occhi arrossati, e i capelli umidi di sudore, erano appicicati alla fronte e al collo.
Ivark annui, camminando con difficoltà, sentendosi così intontito da fare credere a Ithil che forse era ubriaco, arranco' verso di lei e seguì il sentiero da cui era arrivata, senza guardarla né proferire parola.
Una volta arrivato senza guardare nessuno né rispondere alle domande degli altri raccolse il sacco a pelo, vide Markann, seduto davanti al posto di guida, che gli faceva cenno di salire e sedersi accanto a lui.
Una volta sedutogli accanto gli diede le redini del secondo cavallo, aspetto' che tutti fossero saliti e che Ithil li raggiungesse in sella al terzo cavallo, dopodiché partirono, e dopo qualche minuto di silenzio Markann prese la parola.
- Ivark, dobbiamo parlare, chiarire alcune questioni...pratiche, prima di arrivare a Misserto.-
Allontanandosi dal bosco, Ivark si voltò, e intravide una figura vestita di scuro, che alzò un braccio, come a salutarlo.
Il vampiro batté le palpebre, e nel punto in cui aveva visto la figura vide solo alberi, e null'altro.
Che razza di sogno ho fatto, questa notte? Devo assolutamente ricominciare a prendere le mie medicine.
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E quando poi sparì del tutto
A chi diceva "È stato un male"
A chi diceva "È stato un bene"
Raccomandò "Non vi conviene
Venir con me, dovunque vada"
La cattiva strada, Fabrizio De André.
Mi dispiace ragazzi, so che speravate finalmente che i nostri eroi arrivassero a Misserto, ma dovevo fare un capitolo su Ivark dopo averlo lasciato in disparte per un bel po', ed essendo uno dei protagonisti principali, si meritava un capitolo tutto suo.
Con questo ho voluto approfondire la storia della nascita dei vampiri, degli uomini, e sopratutto svelare la "colpa" di Ivark che lo ha portato a desiderare di porre fine alla sua esistenza.
Qui scopriamo anche questa strana figura di donna, anzi LA donna, prima della sua specie, figlia di Werah e colei che non solo ha dato origine all'ordine dei monaci della pece, ma ha maledetto la stirpe degli elfi.
Insomma, una figura complessa ( sì ci sono troppi personaggi qui, che bisogno c'è di creararne altri e rallentare la storia che è stagnante peggio della seconda stagione di House of the Dragon? Perché si io adoro i POV adoro i capitoli introspettivi, quindi se vi aspettate draghi, battaglie e azioni beh non è questo il genere ) legata a questo ordine religioso che ho amato parecchio creare e approfondire ( tranquilli tornerà, forse, presto, anche Borshin, il fratello di Markann che è legato a tutto questo, tutti lo sono - non dimenticate che dopo il sogno sulla misteriosa donna, è comparso Borshin a curare Werrsot) e nella figura della donna ho inserito un po' di mitologia, da quella cristiana, a quella greca e anche norrena.
Ivark è convinto di aver vissuto solo un sogno strano e irreale dovuto all'astinenza da medicine, ma è davvero così?
Un'aspetto che nei fantasy è curato poco, a parer mio è il pantheon religioso e mitologico, ed è un aspetto a cui io tengo parecchio motivo per cui mi piace approfondirlo anche a costo di rallentare la narrazione.
E niente, se siete arrivati fin qui un parere è gradito, sopratutto vorrei sapere cosa ne pensate di questo nuovo personaggio, la "mamma" di Ivark.
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