2. Due occhi infuocati
Jackson
Questa mattina le temperature si sono abbassate, dopo la pioggia fredda di ieri. Odio il freddo. Sono cresciuto nella mia Sidney, guidato dal suo sole, dal suo tempo caldo, dal suo cielo sempre sereno.
Mi manca tutto della mia città. Mi mancano i miei amici, la mia famiglia. Mi mancano le uscite il sabato sera al pub di Gabriel, le chiacchiere con Cory, il mio migliore amico. Mi manca sentirmi a casa e mi manca la mia vecchia università.
Vorrei che le cose fossero diverse, che la mia vita fosse diversa, ma purtroppo devo accettare la realtà.
Questo è il mio primo giorno alla Notre Dame, e per quanto mi senta ancora spaesato, non butterò al vento la mia seconda occasione.
Finirò gli studi qui e mi laureerò. Andrò avanti con la mia nuova vita e farò in modo che vada esattamente dove io voglio farla andare.
Il bello di venire da una famiglia benestante è che mi sono potuto comprare una macchina mozzafiato e affittare una stanza singola al college.
Non voglio gente che mi gira intorno, non voglio farmi nuovi amici. Sono qui solo per prendere questo dannato pezzo di carta e trovare il lavoro che voglio, costruirmi il futuro che merito.
Parcheggio l'auto e scendo, richiudendola col telecomando. Faccio per allontanarmi ma sento una voce che chiama.
«Ehi, tu, scusami. Scusa!»
Mi volto e la vedo. Una ragazza. Carina, direi molto carina.
Sta venendo dritta verso di me e sembra incazzata.
«Dici a me?» chiedo guardandomi attorno.
«Sì, a te. Questa macchina è tua?» domanda e io mi volto a guardare la mia auto.
«Sì. Perché?» domando sospettoso. Che cazzo vuole?
Sì, d'accordo, a guardarla bene è uno schianto e il fatto che sia arrabbiata le dà un'aria ancora più sexy ma... non voglio che qualcuno mi rompa le scatole.
«Per caso, ieri sera, eri sulla Downtown?»
«Sì, ci sono passato, perché?» Non capisco dove diamine vuole andare a parare.
«Per la precisione, sei per caso passato davanti alla colonnina degli autobus? Quelli che riportano all'università?»
«Sì, credo di sì. Hai finito con le domande?» chiedo spazientito.
«No! Non ho finito, carino» dice canzonatoria.
«Carino?» alzo un sopracciglio. Ma che cazzo vuole da me questa? Perché non mi lascia in pace!
«Senti si può sapere che vuoi? Perché mi stai facendo tutte queste domande?» continuo, alzando di più il tono.
«Perché mi hai schizzata, stronzo!» ribatte con due occhi infuocati.
«Oh. Quindi eri tu ferma ad aspettare l'autobus?» chiedo con totale disinteresse.
«Sì, coglione ero io. Mi hai bagnata tutta, da capo a piedi. Per poco non mi prendevo una bronchite per colpa tua!»
«Oh, piccola, mi dispiace. Non sapevo di farti questo effetto» ironizzo e lei si innervosisce ancora di più.
«Non fai ridere, idiota!» ribatte furiosa. Sembra un toro. Sono sicuro che a momenti le uscirà il fumo dal naso.
«Senti, ragazzina, è il mio primo giorno. Ho un mucchio di cose da fare, quindi che ne diresti di smammare e lasciarmi in pace?»
«Sei uno stronzo!» ringhia sulla mia faccia.
«E tu una rompicoglioni! Buona giornata, ragazzina» ribatto sulla sua, di faccia, e me ne vado lasciandola lì.
«Ehi, idiota! Sto ancora aspettando le tue scuse!» urla facendomi voltare.
Decido di provocarla e lasciarle l'amaro in bocca.
«Te le farò alla prossima pioggia! Ci vediamo, ragazzina» la saluto e me ne vado.
L'ho sicuramente fatta incazzare di più, ma non mi importa!
Arrivo in aula e mi siedo dietro a tutto. Voglio tenere un profilo basso e non voglio gente che mi rompa le palle.
Il prof. arriva dopo poco e comincia a fare lezione.
Sta parlando da dieci minuti, quando la porta dell'aula si apre e un ragazzo entra trafelato, scusandosi col prof e venendosi a sedere proprio vicino a me.
«Ciao» biascica con l'affanno.
«Ciao» ribatto freddo.
«Avete iniziato da molto?» chiede sistemando la sua roba.
«Dieci minuti.»
Sono un fulmine nelle mie concise e fredde risposte. Non sembro di sicuro un simpaticone ma poco mi interessa. Voglio che la gente mi giri alla larga!
«Sei nuovo? Non ti ho mai visto, e sono al quarto anno. Insomma, in quattro anni credo che ti avrei riconosciuto se ti avessi già visto prima e...»
«Parli sempre così tanto? Comunque sì, sono nuovo, mi sono trasferito da un'altra università» dico, sperando di aver appagato la sua curiosità e che stia zitto.
«Quale?»
«Senti, vorrei seguire» dico guardandolo dritto negli occhi. Ha la barba e i capelli scuri. Il suo sguardo mi scruta, quegli occhi verde scuro mi stanno facendo un milione di domande alle quali non voglio rispondere.
«D'accordo. Io comunque sono Thomas. Thomas Reinhart» si presenta, allungando una mano.
Mi costringo a fare lo stesso perché, nonostante tutto, non sono un maleducato.
«Jackson Grover» rispondo e gli stringo la mano.
«Molto piacere, Jackson. Non sei di qui, vero? Hai uno strano accento» dice curioso e io dentro, di me, maledico l'istante in cui si è seduto al mio fianco.
«No. Australia» ribatto continuando a guardare il prof che spiega.
Grazie a questo imbecille non sto capendo un cazzo della lezione!
«Wow, figo! Ho sempre sognato visitare l'Australia. Di dove sei, precisamente?»
«Senti, amico, sono qui per la lezione. E non ci sto capendo un cazzo da quando hai gentilmente deciso di sederti affianco a me. Possiamo rimandare il discorso, che dici?» lo canzono in maniera non troppo velata.
«Sì, certo, hai ragione» risponde alzando le mani in segno di scuse e, per mia fortuna, tace.
Quando la lezione volge al termine, provo a scappare, ma la voce di Thomas mi raggiunge.
«Ehi, Jackson!»
«Ho un mucchio di cose da fare, Thomas, quindi se non ti dispiace...» faccio per andarmene, visto che mi ha raggiunto in un baleno fuori dall'aula, ma mi ferma, bloccandomi con un braccio.
«Scusami se insisto, davvero. Non voglio sembrare invadente ma... è che sei carino e pensavo...»
«Wo, wo, wo, frena. Senza offesa, non mi piacciono i ragazzi» dico mettendo distanza tra me e lui, che immediatamente scoppia a ridere.
«Cosa? No! Hai sul serio pensato che io... no, amico, non sono dell'altra sponda... anche se a volte penso che se lo fossi sarebbe tutto più facile. Le ragazze sono così complicate e enigmatiche» si lamenta, mentre due tizie passano accanto a noi e mi squadrano.
Mi giro, quando ci superano, e mi fanno entrambe l'occhiolino.
«Proprio quello che immaginavo» biascica e io mi giro.
«Come?»
«Sei una specie di playboy? Insomma... sei uno di quelli che nella sua città e nella sua vecchia scuola, conquistava le ragazze con uno schiocco di dita?» chiede e io sorrido, pensando al passato, ai ricordi liceali, le prime cotte e i primi anni di college fatti a Sidney, la mia unica casa.
«Diciamo che non ho mai avuto problemi a farmi una ragazza. Ma non sono mai stato un puttaniere, se è quello che intendi» dico serio e lui alza di nuovo le mani.
«No, no, no. Non mi permetterei mai! Dico solo che, per quanto io sia attratto dalle donne, sei davvero un bel ragazzo, Jackson. Insomma... occhi azzurri, capelli scuri, labbra carnose. Scommetto che se sorridessi di più mi mostreresti persino una dentatura perfetta. E, scommetto anche, che sotto questo maglione si nasconde un fisico da palestrato.»
Lo guardo con imbarazzo e mi gratto la testa un po' a disagio.
«Tu sei sicuro di non essere gay, sì?» chiedo divertito.
«Oddio, sì, scusa. In effetti i miei discorsi possono sembrarti un tantino strani, considerato anche che ci siamo appena conosciuti ma... la tua bellezza, serve al mio scopo» dice e io lo guardo stranito.
«Al tuo scopo?» gli faccio il verso, non sapendo dove vuole andare a parare.
«Sì. C'è una ragazza che mi piace, si chiama Sarah ed è... stupenda. Insomma, non è solo super sexy, con quei suoi capelli ricci e il fascino latino. No, lei è anche intelligente e carismatica. Frequenta veterinaria, sta proprio di fronte a noi» dice indicando la porta d'ingresso dalla quale si intravede un edificio del campus. «Ci siamo conosciuti per caso e mi ha inserito nel suo gruppo di amiche, c'è anche qualche ragazzo. Io ci sto provando, insomma, ci vado piano perché mi sembra una tipa riservata su quel fronte ma... un aiuto da uno come te mi farebbe davvero comodo» confessa facendomi un sorriso forzato.
«Uno come me?»
«Sì, andiamo, Jackson, sei un bel ragazzo. Ti avrei chiesto se nella tua città facevi il modello ma, non volevo sembrarti più gay di quanto ti sono sembrato. Ad ogni modo, tu avrai di sicuro più esperienza di me. E poi un amico figo aiuta più facilmente a rimorchiare» dice facendomi un occhiolino.
«Senti, punto primo: non sono un esperto d'amore, quindi fidati che hai sbagliato persona. Punto secondo: tu vuoi conquistare una ragazza specifica, non rimorchiare, quindi non posso esserti d'aiuto nemmeno in quello. L'ultima storia seria che ho avuto è finita il mio primo anno di college e sono un po' fuori allenamento da allora» esalo d'un fiato, buttando fuori l'aria alla fine dell'ultima parola.
«Allora fammi da spalla e basta. Insomma... stasera c'è una festa e... perché non vieni con me? Sei appena arrivato, non conosci nessuno. Sarà un modo per farti nuovi amici e... chissà, magari conoscere qualche ragazza. Le amiche di Sarah sono tutte carine. Qualcuna è anche single, per cui...»
«Ti ringrazio, Thomas, ma non mi interessa. Sono venuto qui per terminare gli studi, prendermi questa cazzo di laurea e costruirmi una vita dignitosa. Non mi interessano le feste e non mi interessano le ragazze. Grazie per l'invito, ma no!»
Faccio di nuovo per andarmene, ma lui mi blocca.
«Ti prego, è solo una stupida festa, non ti ruberà molto tempo. Hai tutta la vita per studiare, un po' di divertimento ti farà bene» mi prega e io sbotto.
«Ma perché mi vuoi a tutti i costi lì? Insomma, sei così poco sicuro di te che hai bisogno di qualcuno che ti aiuti a rimorchiare? Sei un bel ragazzo, Thomas, non buttarti giù in questo modo» dico docile, cercando di rassicurarlo e lui sorride.
«Adesso chi è che fa il gay?»
Fa sorridere anche me e scuoto la testa.
«Sei un coglione!» mi lamento divertito.
«Touché! Allora ci vieni con me alla festa? Dai...»
Thomas insiste e io penso che mi ricorda il mio amico Gabriel, quello del pub.
Ci conoscemmo quando ero all'ultimo anno di liceo, quando coi miei amici cominciammo a frequentare quel posto.
C'è qualcosa in Thomas che me lo ricorda. Forse il suo essere carino ma allo stesso tempo goffo, il suo parlare di quella ragazza con gli stessi occhi con cui Gabe mi parlava di Theresa, la donna dei suoi sogni. La sua natura spigliata, il suo entusiasmo.
Mi maledico mentalmente per quello che sto per fare, per le assurde parole che stanno per uscire dalla mia bocca.
«D'accordo, verrò. Ma andremo separati, io con la mia auto e tu con la tua. Se dopo dieci minuti voglio andarmene, voglio essere libero di farlo, chiaro?»
«Sei un grande! Ci divertiremo un casino, assieme, ne sono sicuro! La festa si terrà alla confraternita ΣΤ. È l'edificio rosso accanto alla facoltà di legge, in fondo alla strada a sinistra» dice indicando l'esterno dell'edificio in cui ci troviamo.
«Tutto chiaro» ribatto e lui mi allunga il pugno in segno di saluto.
«Allora a stasera, alle dieci. Mi raccomando, non darmi buca che voglio presentarti Sarah.»
«Ne sei proprio sicuro? Perché sai non vorrei che lei si innamorasse di me e che io poi sia costretto a soffiartela da sotto al naso» ironizzo divertito e lui ride.
«Impossibile! Non sei proprio il suo tipo. A stasera, Jack» dice e se ne va, lasciandomi solo.
Non so se ho fatto bene ad accettare. Voglio davvero solo concentrarmi sullo studio e sul mio futuro.
Le feste, le donne, sarebbero solo una assurda distrazione!
Decido di non pensarci e torno nella mia realtà che adesso ha il volto della Notre Dame.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro