Your lie in April - Musica e dolore
Eccoci alla prima recen/opinion/discussione di questo formato. Spero possa esser letta e magari, chissà, discussa nei commenti: mi farebbe davvero piacere. Mi scuso già per eventuali errori, o mancanze e vi invito a farmele notare nel caso aveste tempo.
Ci saranno degli spoiler ma a fine capitolo, dopo i dovuti avvertimenti.
Buona lettura!
Introduzione
Ho sempre guardato alla locandina della serie Your Lie in April/Shigatsu wa kimi no uso/Bugie d'aprile (sempre i titoli migliori noi italiani) con scetticismo e ciò mi ha spinto per lunghissimo tempo a ritardarne la visione (inoltre quando uscì non ero ancora preso dagli anime). Conoscevo uno degli avvenimenti fondamentali, e anzi credo si tratti di uno degli spoiler più diffusi e conosciuti sul web, tra gli appassionati di anime, dai casualoni come me agli otaku di prima categoria. Ecco, questo in particolare non mi faceva ben sperare: lo reputavo un dramma per colpire gli spettatori. Meh: un po' facilona come soluzione, no?
Ma poi avrei dovuto guardare un teen drama melenso e privo d'anima? Piuttosto la morte. (No, non tutti i teen drama fanno schifo (ma molti si))
Così mi dicevo.
La verità è che sono un pavido e il mio amore per le storie drammatiche viene spesso fronteggiato da due mostri sacri del mio io: ansia e malinconia. Insomma, amo piangere e commuovermi, ma mi ferma l'idea di restare per giorni col magone, gli occhi pronti a lacrimare per ogni minima cosa.
Alla fine però, ho voluto tentare e vi dirò: sono rimasto scottato. Your lie in April (userò questo titolo per comodità) fa male, ma non quanto lascino presagire gli spoiler, le dicerie e i meme. È molto peggio. Non fraintendete, voglio precisarlo fin da subito: è un dolore positivo quello che lascia, una malinconia che può andarsene, oppure restare e renderci più consapevoli. Ma esiste, è forte e difficile da ignorare.
Opinione generale e impressioni
Precisiamo, per gli ignari lettori: parliamo di una serie sulla musica, o meglio sui musicisti.
Your lie in April non è un opera facilona. Non per me. Ha tutti i cliché degli anime, dalle scenette comiche fuori luogo (la morte mia), alle frasi ad effetto + discorsi infiniti in momenti che teoricamente dovrebbero essere di pura tensione o semplicemente silenziosi (e che cazz tappatevi la bocca), fino agli onnipresenti pianti. Sì, piangono tutti. SEMPRE.
MA. Una bella storia sa farsi amare nonostante abbia delle caratteristiche che non piacciono a tutti. Si fa guardare senza per forza perdere in qualità: non sono le cazzatine a rompermi le scatole, perché c'è altro e la serie non è vuota (non come Demon Sl... no, di questo parlerò un'altra volta) e sono i dettagli presenti a colpire. YLIA sa comunicare con le sue colonne sonore e la musica suonata dai personaggi, ma anche con emozioni, parole, dettagli in apparenza insignificanti ed eventi i suoi messaggi. Poche frasi sono lasciate al caso, ogni gesto ha un perché, i monologhi rispecchiano gli effettivi complessi dei personaggi e i pianti sono contestualizzati (oltre che relativamente brevi). Le scenette comiche, beh ci ricordano che stiamo guardando la storia di due (poi quattro, poi sei...) quattordicenni (rigorosamente geniali) e in piena tempesta ormonale.
Non solo. Una bella storia, se ben scritta e in questo caso animata, comunica perfettamente la tensione del palcoscenico, l'ansia da prestazione, la paura di fallire. I movimenti hanno un animazione fluida, magari non eccelsa ma sufficiente a rendere l'idea di uno strumento suonato (non essendo un musicista non posso esprimermi approfonditamente). Nulla è lasciato al caso in un racconto che parla di musica, giovinezza, espressione, vita... morte.
Il giovane Arima Kōsei, scoprendo l'amore e ricominciando a vivere si esibisce per noi spettatori insieme e per la ragazza che ama, imparando cosa sia per lui la musica: un flusso di emozioni, suonate e ascoltate, un momento piacevole, sentimenti che non sappiamo esprimere a parole. La musica, come ogni arte è espressione: non deve avere un senso, può andare oltre le regole. L'importante è quello che lascia nel cuore o nella mente, dipende dai casi.
Trama (da qui in poi allerta spoiler)
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Lui ama lei, lei ama lui ma non se lo dicono. Perché non ho vomitato nonostante il cliché, questa volta?
Arima Kōsei è un giovane pianista, un prodigio metodico e perfetto, soprannominato il metronomo umano. Purtroppo, la morte della madre lo lascia con un trauma grande come il Kanto. Arima non sente più la musica che suona ma soltanto quella altrui: ogni volta che prova a schiacciare i tasti gli sembra di sprofondare nell'acqua... almeno finché una nuova luce di speranza torna ad illuminare il suo cammino: la bella violinista Kaori Miyazono. Uno spirito libero, forte ed indipendente: ella domina il palco con performance imperfette, che non seguono le regole e stregano gli spettatori con la loro passione. Kaori, "fidanzata" (ci ho creduto eh, davvero...) con il migliore amico di Kōsei, pur mantenendo un certo distacco con il protagonista lo spinge ad uscire dal guscio, lo sprona a tornare sul palco, a suonare con lei come accompagnamento.
Kōsei affronta i suoi traumi imparando a conviverci, capendo che il male non se ne andrà ma che potrà farne la sua nuova forza. Da pianista "sordo" alla sua musica, il mite protagonista impara alla fine ad esprimersi in un modo totalmente estraneo: nelle note imprime le sue emozioni e le mani si muovono da sole, guidate dal cuore e non più dal cervello. Bello.
Emozionante, coinvolgente, anche abbastanza profondo. Seguiamo le storie personali di Kōsei, dei suoi amici e dei rivali del ragazzo, scoprendo personalità variopinte e differenti approcci alla musica (e all'arte). Dall'amica d'infanzia/seconda mamma, palesemente cotta del protagonista, all'amico playboy, dal rivale per definizione a quella che compete per farsi notare da Kō... Sì, tutte lo amano. Come ho detto i cliché ci stanno.
Ogni personaggio ha il suo perché, e deve trovare le proprie motivazioni: dire qualcosa, superare un avversario o sé stesso, seguire la propria emotività, puntare alla vetta...
Oppure rendersi indimenticabile , proprio come Kaori, la ragazza da cui è cominciato tutto, che ha scelto di tener segreto a Kōsei il proprio amore per potersi avvicinare a lui.
Io credo, per umiltà e paura. La ragazza teme di imbucarsi a forza nel gruppo di amici, perciò utilizza un espediente. Del resto non può permettersi di esitare. Perché Kaori è affetta da una malattia degenerativa e sta morendo.
Vuole brillare fino alla fine, correre finché la sua malattia non le impedirà di muovere le gambe, suonare fino a quando riuscirà a reggere il violino.
Non ci sono baci, abbracci, "ti amo" (almeno fino alla fine), ma due ragazzi innamorati l'uno dell'altra, troppo timorosi (e scemi) per dirselo, spaventati dal futuro, dalla morte che incombe, che si sostengono a vicenda fino alla fine.
C'è la vita che va avanti per chi resta e che prima o poi si spegne per chi se ne va.
Conclusioni
Spero che questo capitolo sia poco cringe e comunichi tutto il sentimento che ho provato guardando questa serie, che reputo meravigliosa.
Ho capito di aver frainteso gli spoiler: io mi aspettavo un colpo di scena serrato, una pugnalata veloce ed energica, la morte improvvisa di Kaori.
Invece no.
La serie ti fa abituare pian piano all'idea della malattia (non solo quando si parla della ragazza) poi questa entra nelle fasi finali e tu, come i personaggi, sei consapevole del peso sempre più grande in ogni momento, dietro ogni scenetta comica, alle parole e i non detti. Una pillola amarissima, sbriciolata e mandata giù poco a poco. Forse non letale come una coltellata ma più difficile da dimenticare per chi sopravvive. Devo ammetterlo: ho amato la maturità e la delicatezza con cui vengono trattati i temi. L'introspezione profonda e non banale dei personaggi, i traumi psicologici, il modo di affrontarli (e il fatto che non svaniscano in una bolla di sapone), la fine di una giovane vita, nonostante gli sforzi e un amore corrisposto, ma troppo tardi.
Your lie in April ti lascia con delle lezioni amare, ma anche con dolcezza e tanta delicatezza. Io personalmente ci ho visto un inno alla vita, nonostante tutto: al riscattarsi, dare il tutto per tutto, esprimere cio che si ha dentro. Dare qualcosa da ricordare per sempre a tutte le persone che contano per noi.
Glielo dobbiamo.
Glielo devo.
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