La Festa Delle Maschere
Irlanda, 22 agosto 1832.
Mi chiamo Vanessa Donovan, ero appena arrivata alla fattoria di mio cugino Dan Donovan, situata a Drumgunniol. Dan viveva solo, con due persone al suo servizio; l'intera famiglia che viveva sotto quello stesso tetto, era estinta.
Lui mi aveva parlato di una maledizione che gravava da tempo immemorabile, sulle nostre generazioni, io avevo pensato che le morti dei miei parenti, anche se si erano susseguite troppo vicine l'una all'altra, erano una semplice e pura casualità.
Dan mi disse che stava considerando l'idea di abbandonare quel posto per sempre.
La disperazione che traspariva nella corrispondenza che ci scambiavamo settimanalmente, mi aveva spinta a non indugiare oltre, a prendere una diligenza per raggiungerlo quanto prima.
Mio cugino fu piacevolmente sorpreso nel vedermi di persona, non riuscì a nascondere l'emozione e l'entusiasmo.
Il suo volto era scavato e i suoi occhi spenti, avevano ripreso uno scintillio di vitalità nel vedermi.
Passammo l'intera mattinata a chiacchierare, vagando nella frescura dei boschi e soffermandoci ad ammirare il lago, seduti su una grande pietra piatta.
Il panorama montano era stupendo, niente a che vedere con la triste vista della strada, di fronte alla finestra del mio appartamento di Dublino; era tutto così... magico, non mi veniva parola più appropriata per descrivere quei posti.
Invitai mio cugino a passare qualche mese nella mia dimora di città, ero sicura che gli avrebbe fatto bene un cambiamento, forse la fattoria era troppo isolata e la solitudine lo stava portando alla depressione.
"Sei arrivata in tempo per la festa di stasera!" mi disse.
"Una festa?" chiesi sorpresa.
"Sì, nella casa situata a destra della mia fattoria, a duecento metri; da solo non ci sarei andato, ma con te, sarà diverso, penso che ci divertiremo. Una regola importante che il padrone di casa ha dato per questo ricevimento, è l'obbligo di indossare una maschera, solo questo. Cosa ne dici?"
"Che bello!" Esclamai entusiasta.
"Bene, sarà meglio che torniamo a casa e dopo pranzo, ti consiglio di andare a riposare, non so a che ora torneremo."
***
La sera arrivò, ma mio cugino si sentì male: una forte emicrania gli impedì persino di scendere a cenare con me; quando il servitore mi avvisò che Dan non mi avrebbe raggiunta in sala, a causa del malore, mi recai nella sua stanza per accudirlo.
Accanto al letto vi era un catino per il vomito. Aprii la finestra per far entrare l'aria fresca. Sedetti su una sedia, accanto al talamo; di quando in quando, immergevo uno straccio nell'acqua di una bacinella e rinfrescavo la fronte di mio cugino che era febbricitante al punto da biascicare parole senza senso nel suo delirio. Era quasi mezzanotte quando attraverso il frinire dei grilli, mi giunse la musica dalla casa accanto; avevo una voglia pazzesca di partecipare a quella festa, Dan dormiva profondamente, era sfebbrato, il viso era fresco e il suo respiro era tornato regolare.
Mi allontanai, raggiungendo la mia camera, non avevo una maschera, ma indossai una lunga cappa dal cappuccio grande, che posto sulla testa, impediva di rivelare le fattezze del viso.
Dieci minuti dopo, ero dentro il grande salone.
Dan mi aveva detto che il padrone della festa aveva anche vietato di allontanarsi da quella sala, però, mentre mi guardavo attorno, udii delle voci alle miei spalle... Perché qualcuno era sgattaiolato fuori della stanza? Non era una regola valida per tutti?
Retrocedendo lentamente, riuscii ad infilarmi nel corridoio buio, fiocamente illuminato dai raggi della luna piena, e raggiunsi la porta semichiusa dove avevo intravisto infilarsi delle ombre.
Superai la soglia e nascondendomi dietro una tenda, feci capolino per spiare quei personaggi.
Il fiato mi si mozzò, mi irrigidii dal terrore: c'erano tre persone, due non le avevo mai viste, però la terza... La terza la conoscevo benissimo, era la Banshee.
La Banshee è uno spettro che gira in Irlanda, è considerata una portatrice di sventura, si dice che quando la si sente urlare, presto morirà un membro della propria famiglia.
D'un tratto mi pentii di essermi intrufolata in quella festa, stavo per muovere il primo passo per scappare da quel posto, quando qualcosa mi impedì di spostare la gamba: un gatto, un persiano bianco, si stava strusciando sul mio abito lungo, facendo le fusa.
Allarmata lo presi in braccio e con cautela mi allontanai, portando con me il felino, fuori, lasciandolo a terra, solo quando raggiunsi il cancello della fattoria.
In quel momento mi graffiò la mano, lanciando un urlo e soffiandomi contro.
Per quella notte avevo già avuto troppe emozioni, quando entrai nella mia camera, chiusi la porta con doppia mandata.
***
Il mattino seguente andai a fare visita a mio cugino, bussai piano, dalla camera uscì Margaret, la signora che, insieme a Robert, suo marito, erano al servizio di mio cugino.
"Il signore dorme ancora" sussurrò "Volete scendere con me? Vi servirò la colazione."
Mentre mangiavo del porridge, udii un miagolio proveniente dall'esterno; mi avvicinai alla finestra e vidi il persiano in giardino, aveva attraversato le sbarre del cancello.
Uscii e gli andai incontro.
Il gatto faceva di nuovo le fusa, gli accarezzai il lungo pelo morbido, al chiarore del giorno mi sorprese vedere che era speciale: la chiamano 'eterocromia', aveva un occhio azzurro e uno color nocciola. Lo presi tra le braccia, il gatto miagolò, emettendo un alito che puzzava di carne putrefatta.
Voltai la testa di lato, pensando che forse si era cibato della carcassa di qualche animale.
Mentre scostavo il viso, un battere insistente attirò la mia attenzione, alzai lo sguardo e vidi mio cugino che mi chiamava, molto agitato. Posai il gatto, raccolsi le gonne tra le mani per poter correre più in fretta e raggiunsi la camera di Dan.
Mio cugino era stravolto e urlava: "Cacciate via quel gatto, è lui la causa delle morti in famiglia, adesso moriremo! Allontanatelo dalla casa!"
Robert intervenne per calmare Dan, io promisi che avrei cacciato subito l'animale e lasciai la stanza.
Mentre scendevo le scale, piangevo disperata, pensando:
"Avrei dovuto venire a prenderlo molto prima. È fuori di se, non so se è troppo tardi, adesso."
Raggiunsi il felino e tenendolo tra le braccia, lo portai fuori, lontano, all'inizio del bosco.
Quando tornai a casa, Dan si trovava in stato comatoso, Robert era andato a chiamare il medico.
Il dottore procurò alcune gocce da somministrare, disse che Dan aveva avuto un colpo apoplettico, che forse non sarebbe sopravvissuto all'intera notte.
La sua prognosi si rivelò veritiera: mio cugino si spense poco dopo la mezzanotte.
Coprimmo il suo corpo con un lenzuolo, mandai la coppia di servitori a riposare, al mattino presto avremmo preparato tutto per il funerale.
Io mi rinchiusi a chiave, nella mia stanza, tirai le cortine del letto a baldacchino e piansi disperatamente.
Mi ero appena assopita per la spossatezza, quando un rumore attutito mi svegliò, udii un miagolio sommesso nella stanza.
"Non è possibile, è tutto sprangato, sto sognando" pensai.
All'improvviso il gatto bianco era salito da dietro le cortine di velluto blu e si era appollaiato sul mio petto, paralizzandomi con il suo sguardo.
Non mi era possibile muovermi.
Il gatto allungò il collo, posò la sua bocca sulla mia e cominciò a succhiare la mia vitalità, portandomi con lenta agonia, ad una morte già preannunciata.
"Questo essere... è semplicemente il messaggero di morte, ed il suo assumere la forma di gatto - il più freddo e, si dice, il più vendicativo degli animali - è espressione del significato delle sue visite."
-Il gatto bianco di Drumgunniol-
Joseph Sheridan Le Fanu
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