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CAPITOLO 4 _ KATE

Katherine varcò la porta di casa dopo essersi tolta gli stivaloni coperti di neve e averli sbattuti per bene. La gente si ostinava a trovare romantico quel periodo dell'anno, ma non lei: traffico rallentato, piccoli incidenti tra pedoni, per non parlare del freddo. Sfilò il giaccone e lo appese a un gancio vicino l'ingresso sbadigliando. Passando davanti alla piccola cucina vide sul tavolo una tazza di latte e una fetta di focaccia salata, di quelle col rosmarino e il sale grosso. Sorrise e si sedette. Era ancora calda, segno che sua nonna doveva essersi alzata di buon'ora. Ne addentò un boccone generoso lasciando che il sale le solleticasse le labbra, per un istante dimenticando il mal di schiena e la stanchezza dovuti al turno di notte. Avere una nonna di origini italiane era una gran fortuna. In fatto di cucina sono imbattibili.

«Buongiorno», disse la nonna comparendo in cucina.

«Buongiorno. Già in piedi?» rispose Katherine con un sorriso.

La nonna soffriva di insonnia da anni, da quando era rimasta vedova, e riusciva a farsi bastare davvero pochissime ore di sonno per notte. «Ho pensato di prepararti una colazione come si deve», rispose la signora sedendosi di fronte a lei. Aveva i capelli bianchi tagliati molto corti e la montatura degli occhiali fucsia risaltava gli occhi azzurri dietro le lenti. «Sei così sciupata.» Le carezzò amorevolmente la guancia. «Allora quanti bambini hai fatto nascere questa notte?», chiese poi.

«Tre. Tutti maschi.» Katherine sorrise orgogliosa. Scegliere di fare l'ostetrica era stata una delle cose migliori della sua vita. Il suo lavoro la appassionava e la gratificava facendola sentire una persona migliore. Accompagnare una donna nel momento più importante in assoluto era qualcosa di magico. Stringere quei corpicini caldi tra le braccia, sentire il loro primo vagito, vedere le lacrime di gioia cercando di rimanere professionale. Certo, lasciando perdere i turni massacranti, gli straordinari e alcune colleghe non propriamente simpatiche. Katherine sbadigliò.

«Sei stanca?» chiese la nonna versandole un altro bicchiere di latte.

«Distrutta direi. Non vedo l'ora di stendermi un po', anche se mi aspetta un altro turno questo pomeriggio.» Periodo di ferie. Il che significava che chi rimaneva in reparto doveva sobbarcarsi tutte le ore supplementari.

«A essere troppo in gamba la gente se ne approfitta», borbottò sua nonna.

«Lo faccio con piacere.» Katherine ragionò mentalmente se fare prima una doccia o aspettare di svegliarsi. Non si sentiva stabile e voleva evitare di far prendere un infarto alla nonna quando l'avrebbe trovata sdraiata in bagno.

«Sei un essere umano, Kate. Una ragazza giovane e bella. Dovresti trovare il tempo per la tua vita, non solo per quella degli altri. Da quanto tempo non ti vedo in compagnia di un ragazzo?» Katherine sorrise. Sua nonna era così, sempre a preoccuparsi che mangiasse il giusto e che si innamorasse. Lei per prima si vantava sempre di avere avuto diversi ammiratori prima di conoscere il nonno. Molte storie da batticuore, perché aveva scelto di vivere intensamente la sua vita senza precludersi nessuna esperienza. E sapeva che la nonna aveva ragione. Era sempre così assorbita dal suo lavoro che proprio non aveva tempo per certe cose. Spesso le amiche, le vecchie compagne di università, le chiedevano di uscire, ma quando si presentava una chiamata dava sempre priorità al lavoro. Quell'ospedale era come una seconda casa, una piccola bolla di perfezione dove poteva lasciare fuori il resto del mondo e concentrarsi a essere sé stessa. La gratificazione era qualcosa di impagabile. E poi, la verità era che aveva un segreto. Una di quelle cose che ti vergogni a dire in giro anche se in cuor tuo sai che non ci sarebbe niente di male. Qualcosa che l'aveva tenuta in sospeso, occupata mentalmente negli ultimi dodici mesi e che aveva usato come scusa per un paio di appuntamenti poco graditi. L'unica a sapere la verità era la sua migliore amica, l'unica che non l'avrebbe mai criticata ma che si ostinava a non comprenderla

«Stai sprecando la tua vita dietro un tizio che non conosci», le ripeteva tutte le volte che entravano in argomento. Era vero. Almeno in parte. Di LUI non sapeva niente, solo che avrebbe potuto essere QUELLO GIUSTO. Aveva sempre le giuste parole da dirle, sapeva ascoltarla in maniera profonda, si apriva con lei ed erano uno la valvola di sfogo dell'altra. E sapeva che era reale perché il loro incontro era avvenuto dopo una serata in un locale per appuntamenti in cui l'avevano trascinata. Non avevano fatto in tempo a presentare tutte le coppie, e avevano deciso di fare un gioco associando alcuni profili casuali. Da allora avevano preso a sentirsi tutti i giorni e una parte di Katherine era convinta che lui potesse essere quello che le avrebbe fatto dimenticare tutti i suoi fallimenti sentimentali passati, quello che avrebbe dato un nuovo ritmo ai battiti del suo cuore. Uno sconosciuto. Sarebbe stato troppo anche per le fantasie di sua nonna. Lei non avrebbe mai accettato qualcosa che non prevedesse la fisicità, il contatto.

«Vado a dormire», disse alzandosi.

Una volta in camera, la porta ben chiusa alle spalle, sorrise al pensiero di quanto dovesse a sua nonna. Se non fosse stato per lei non avrebbe mai avuto la possibilità di frequentare il college. L'aveva accolta in casa sua, dandole tutto ciò di cui aveva bisogno in cambio di sana compagnia. E Katherine si era mantenuta gli studi con dei lavoretti saltuari tra un tirocinio e l'altro in ospedale. La nonna era la persona più importante della sua vita, quella che sentiva più affine a sé. I rapporti tra lei e i suoi genitori erano praticamente inesistenti. Suocera e nuora non erano mai andate d'accordo col risultato di allontanare anche il capofamiglia. Si erano trasferiti in un altro stato quando Kate era molto piccola, poi la famiglia si era generosamente allargata e i soldi erano sempre al centesimo. Lei e suo fratello trascorrevano tutte le estati dalla nonna, per alleggerire il peso alla famiglia. Poi lui si era arruolato nell'esercito e lei aveva deciso di continuare gli studi.

Si strappò quasi la divisa di dosso e si lasciò cadere sul letto. Un messaggio le impedì di chiudere gli occhi.

"Non lo avrei mai ammesso, ma stamattina mi sono svegliato con un'ansia incredibile. Questa debolezza mi sminuisce ai tuoi occhi?".

Kate sorrise leggendo le parole di qualcuno che conosceva solo attraverso la tastiera di un telefono. Vedendo l'affinità che cresceva sempre di più tra di loro avevano deciso di non scambiarsi mai una foto e di non cercarsi sui social. Volevano che quella strana complicità maturasse senza altre interferenze. Per quanto ne sapesse lei, l'uomo misterioso poteva anche essere il più brutto del pianeta.

"Direi che ti rende umano" rispose.

La risposta non si fece attendere. "Comincio ad andare in paranoia come una ragazzina."

"Vorrà dire che stasera cercherò quello con le trecce e il vestito rosa. Non dovrei sbagliare."

"Da domani le nostre strade potrebbero dividersi per sempre."

Improvvisamente Kate non ebbe più voglia di sorridere. Chiuse gli occhi e sospirò al soffitto. Non era quella la risposta che voleva. Non voleva dubbi, ma rassicurazioni. Avevano deciso già da tempo che il loro incontro sarebbe stato decisivo. Entrambi erano convinti che l'aspetto fisico contasse in una relazione, era alla base dell'attrazione e della sessualità. Inutili le belle parole se poi non fossero stati sessualmente attratti l'uno dall'altro. Nessuno dei due voleva un'amicizia, non era quello lo scopo della loro relazione virtuale.

Prima di pensare a una risposta adeguata, Kate si era addormentata.

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