60
Ben rimase fuori dall'ingresso della clinica per un tempo infinito. Continuava a stropicciarsi le mani, aggrappandosi stretto alla borsa come se ne andasse della sua vita.
Magari era tutto inutile. Tutta quella strada per niente, tutto quel viaggio estenuante per arrivare troppo tardi? Però aveva conosciuto Emma, pensò con un sorriso. Quella ragazza era incredibile. Le aveva detto che voleva riappacificarsi con suo padre e anche se non l'avrebbe più vista non voleva deluderla.
Varcò la soglia e si presentò all'accettazione. Non pensò nemmeno per un istante di essere fuori orario delle visite, e se lo avessero semplicemente mandato via intimandogli di tornare il giorno dopo?
«Sono qui per vedere il signor Jones», disse. «Sono suo figlio.»
Anche se cercò di contenersi, Ben vide l'espressione dell'addetta. Un secondo dopo stava annunciando la sua visita a un telefono interno, dando contemporaneamente a lui le indicazioni per raggiungere il piano.
L'ospedale era silenzioso, la musichetta dell'ascensore gli diede quasi fastidio. Non aveva idea di cosa avrebbe detto a suo padre dopo tutto quel tempo. Che cosa si può dire a un uomo che sta per morire?
Quando le porte dell'ascensore si aprirono si trovò stretto tra le braccia di un infermiera.
«Grazie», gli disse.
Ben cercò di divincolarsi. Era piccola e minuta, ma sembrava avere circa la sua età, forse poco meno. Pelle scura, capelli corti, e occhi ambrati. Era molto bella.
«Salve», le porse la mano.
«Sono Sophia. Seguo io suo padre da quando lo hanno trasferito qui. Sono così felice di conoscerla!» si portò una mano al cuore. Parlava con l'affanno, come se avesse appena corso la maratona. «Questo è il più bel regalo di fine anno che poteva farci. Suo padre ormai non ci crede più. Sarà felicissimo.»
«Come sta?» chiese Ben interrompendola. Non riusciva a farsi coinvolgere dal suo entusiasmo.
Lei cambiò espressione. «Molto male», spiegò. «A tratti perde coscienza, oggi ha voluto mangiare ma le sue condizioni continuano a peggiorare. Probabilmente è arrivato appena in tempo.» Gli prese la mano. «Venga, l'accompagno.»
Ben seguì docile l'infermiera, aveva la mano molto calda e profumava di borotalco. Percorsero tutto il corridoio fino a una delle camere in fondo. Si fermarono qualche metro prima.
«Vi lascio soli», gli disse a bassa voce. Dopodiché girò i tacchi e si allontanò rapidamente.
Ben guardò la porta della stanza di suo padre, lui era dall'altra parte eppure gli sembrava una distanza incolmabile. Si ritrovò di nuovo solo e per un folle momento pensò di aspettare il tempo necessario a potersene andare. Anche se lo avessero scoperto, lui sarebbe ormai stato lontano. No, non poteva essere così codardo. Fece un respiro profondo e varcò la soglia.
La stanza era quasi al buio, fatta eccezione per una piccola lampada da parete. Le tende erano aperte, ma le persiane abbassate, così che si faceva molta fatica a vedere fuori. Il signor Jones giaceva supino, gli occhi chiusi come se dormisse, il respiratore attaccato al naso, la macchina che gli monitorava il cuore emetteva dei bip regolari.
«Papà», mormorò Ben. E fu in quel momento che il mondo crollò e lui scoppiò a piangere.
Pianse come un bambino, i suoi singhiozzi erano patetici e rumorosi, più volte si pulì il viso con la manica della giacca imponendosi di smettere, ma senza neanche provarci. Doveva piangere, aveva trattenuto certi sentimenti per troppi anni e adesso erano diventati troppo pesanti da contenere. Pianse che non vedeva più niente, gli occhi erano solo due pozze ricolme. Stava lì, in piedi, la borsa in mano, a coprirsi il viso e a singhiozzare.
«Vieni qui, figliolo», sentì la voce di suo padre. Era roca e sofferente.
Ben si fermò. Il labbro gli tremava talmente tanto che sentiva squassargli tutto il corpo. Senza riuscire a guardare suo padre si avvicinò al letto, si sedette sulla sedia di plastica che di solito usava l'infermiera e gli prese la mano. Era vecchia, piena di macchie scure e dal colorito cinereo.
«Benjamin», lo chiamò suo padre.
Lui si voltò. L'uomo col quale aveva litigato una vita, quello che non lo aveva mai fatto sentire abbastanza, che lo aveva giudicato, criticato e umiliato più volte, era lì davanti a lui, la pelle sottile, ridotto all'ombra di sé stesso, gli occhi iniettati di sangue e il viso gonfio per le punture.
«Sono qui», sussurrò Ben.
«Pensavo non ti importasse.»
«Lo pensavo anch'io.»
«Cosa ti ha fatto cambiare idea?»
Che dire? Come spiegare a suo padre che aveva deciso di andare da lui per rabbia? Perché non voleva essere come lui, voleva essere migliore, aveva bisogno di guardarlo negli occhi e dimostrargli che dopotutto non era quello che aveva sempre creduto. E di certo non grazie a lui.
«Il tempo», rispose invece. «A volte aiuta a sbollire certe situazioni.»
«Avrei voluto essere un padre migliore.»
«Anch'io avrei voluto tu lo fossi», rispose Ben sincero.
«Ti ho fatto soffrire.»
«Sì, molto.»
«Però sei qui.»
«Sei mio padre.»
«E cosa ti aspetti, adesso?»
Ben ci pensò un istante. «Niente. Non potevo lasciarti andare senza averti salutato. Non me lo sarei mai perdonato.»
«Allora occupiamo bene il tempo che ci resta.» Il signor Jones fu colto da un attacco di tosse e Ben cercò di sistemarlo meglio sul cuscino. «Raccontami di te. Credo di essermi perso praticamente tutto.»
C'erano così tante cose da dire e da raccontare. Anni trascorsi nel silenzio di due vite unite, ma così distanti da essere irraggiungibili. Ben avrebbe potuto parlargli del suo lavoro, della sua carriera, del fatto che si era realizzato secondo le sue aspettative e che aveva nuovissimi progetti in serbo. Oppure avrebbe potuto raccontare di come erano naufragate le sue storie d'amore perché lui non era mai stato in grado di amare abbastanza da impegnarsi come si deve.
«Sai, oggi in treno ho conosciuto una ragazza».
Invece cominciò così.
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