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«Emma?» La ragazza sentì la voce dello zio gracchiare dall'altra parte del telefono.
«Sì sono io», rispose stropicciandosi il viso con la mano. «Sono bloccata. Il treno è partito in ritardo e adesso siamo fermi in mezzo al nulla. La neve ha combinato un disastro. Non so se riuscirò ad arrivare in tempo per la serata», spiegò tutto d'un fiato.
«Tu stai bene?»
Strinse gli occhi appoggiando un pugno al finestrino. Perché doveva sempre essere così maledettamente gentile. Gli aveva detto che probabilmente gli avrebbe rovinato la serata e invece di incazzarsi e prendersela con lei come se la colpa della nevicata fosse sua, le chiedeva come stava.
«A parte la noia si sto bene», si sforzò di rispondere. Poi chiuse la chiamata prima che Mason potesse aggiungere altro. Quando alzò lo sguardo vide che Ben la stava fissando. «Problemi?» domandò acida, aveva bisogno di prendersela con qualcuno.
Lui tornò a concentrarsi sul suo libro.
«Come fai ad essere così tranquillo?» domandò. «Se hai preso questo dannato treno sicuramente dovrai andare da qualche parte, non ti dà fastidio che non ci arriverai?»
«Al contrario sono molto infastidito, ma non credo che arrabbiarmi farà ripartire il treno», fu la risposta.
«Che risposta da sfigato», sbottò lei.
Infilò le mani nelle tasche del giubbino e incrociò le gambe sul sedile.
«Dev'essere un appuntamento molto importante il tuo», la stuzzicò l'uomo senza guardarla. «Ma non credo si tratti di un ragazzo o non saresti così acida.»
«Lavoro. Faccio la cantante», rispose Emma altezzosa sfidandolo a deriderla.
Era vero solo in parte. Qualche anno prima era la solista di una band giovanile. Si esercitavano in un garage e si esibivano nei locali di zona. Poi lei e il batterista si erano lasciati e la band si era sciolta. Così si era spostata su altro genere e adesso accompagnava le serate in musica, le cene, i matrimoni. Le aveva insegnato a cantare suo padre, lui sapeva suonare la chitarra. Merda, non si sarebbe messa a piangere davanti a uno sconosciuto.
«E tu di cosa ti occupi così ingessato?» domandò a sua volta per spostare l'argomento.
Aveva notato subito l'abbigliamento serio dell'uomo. Un completo fuori moda che lo faceva sembrare più vecchio di quanto fosse in realtà. Pantaloni, gilet e camicia. Era sicura che non potesse avere più di dieci anni più di lei. Invece sembrava vecchio.
«Sono un genetista. Mi occupo di ricerca e insegno al college», rispose pacato.
«Non hai la faccia da genio», mormorò Emma cercando di mascherare la sua curiosità. Era colpita.
«Lo prendo come un complimento.»
«Dico sul serio. Da come ti vesti sarei stata propensa a dire uno squallido assicuratore o un banchiere taccagno.»
«E immagino invece che questa sia una critica. Sei una a cui piacciono gli stereotipi?»
Emma lo guardò. Forse il tipo non aveva tutte le rotelle a posto.
«Anche io frequento il college. Come studentessa», precisò. Poi si chiese perché gli avesse dato quell'informazione. Neanche frequentava più. Erano mesi che non metteva piede in università e altrettanto che non dava un esame. Perché dirgli una cosa del genere? Voleva fare colpo su di lui?
«Ottimo», disse Ben, con un sorriso tranquillo. Poi tornò al suo libro considerando chiusa la discussione.
«Studio fisica comunque», sottolineò Emma.
Studiava fisica, e le piaceva pure. Anzi, era molto brava. Aveva grandi progetti. Prima.
«Sì, l'avevo capito che sei una ragazza in gamba.» Ben sorrise e questa volta il sorriso coinvolse anche i suoi occhi.
Emma lo guardò per un lungo istante, colpita dalla sua affermazione. Poi distolse lo sguardo e lo concentrò al mondo in bianco fuori dal finestrino. Non aveva fatto nessun commento sull'abbigliamento. Niente battute stupide sul fatto che con meno trucco sarebbe sembrata più carina o che conciata in quel modo sembrava una spacciatrice di droga da sottopassaggio della metro. Aveva capito che era una ragazza in gamba.. da che cosa? Cosa in lei glielo aveva fatto credere? Nemmeno lei aveva quella considerazione di sé stessa. Fu tentata di chiederglielo, ma la conversazione era finita.
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