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«Dovevi sentire la mamma. Mi ha scaricato addosso le colpe di una vita.» Reagan aveva appena iniziato a lamentarsi, aggiornando Elena della litigata che si era persa con la sua uscita ad effetto.
Erano intente a riempire di pietrisco colorato dei centrotavola di vetro dove avrebbero poi inserito delle piantine grasse decorate per l'occasione.
«Non te la prendere», disse Elena tranquilla, come se lei e la sorella non avessero litigato solo un'ora prima.
«Me la prendo eccome. Sono sua madre e non accetto che qualcuno venga a insegnarmi il mestiere, se permetti. Mia figlia ha sedici anni e finchè vivrà sotto il mio tetto farà quello che le dico io.»
«Devi ammettere che la vostra vita è cambiato parecchio dall'anno scorso, però», disse Elena cercando di essere ragionevole.
«E questo fa di me una cattiva madre? Dato che ho divorziato perché mio marito aveva l'amante non sono più in grado di crescere mia figlia?» Reagan spostò una sedia e ci si abbandonò sopra passandosi le mani nei capelli. «Avresti davvero dovuto sentirla.»
«Will è diversa da noi.»
«Lo so.»
«Ha bisogno dei suoi spazi, sta crescendo. Non puoi tenerla legata, altrimenti scapperà come hai fatto tu.»
«Sono responsabile della sua vita.»
«Ma non ne sei padrona.» Elena fece una smorfia e si sedette a sua volta.
Reagan la guardò tirare fiato prima di scuotere la testa e ricomporsi come nulla fosse. «C'è qualche problema?» chiese.
«Solo un po' di stanchezza. È un periodo molto stressante.» Elena sorrise.
«Sicura?» insistette Reagan. Conosceva troppo bene sua sorella, era una campionessa nel tenersi dentro i problemi.
«Va tutto a rotoli.» Elena scoppiò a piangere un istante dopo.
Reagan le si avvicinò passandole un braccio intorno alle spalle. Era raro vedere Elena piangere, considerava le lacrime un'inutile perdita di tempo.
«Anche io voglio sposarmi», continuò singhiozzando. «Lo so che il tuo matrimonio è fallito, ma non è mica la regola, no? IO e Mason stiamo insieme da una vita, sarebbe come la ciliegina sulla torta. Ma lui non ne vuole sapere.»
«Il matrimonio non è obbligatorio e nel vostro caso sarebbe solo una firma, niente di più.»
«Io non voglio passare tutta la vita in questo stupido ristorante, voglio cambiare.» Elena parlava come una bimba capricciosa.
«Ma se era il vostro sogno? Da quando ti conosco non fai altro che parlare di questo posto.»
«Ma io voglio un marito e una casa in cui aspettarlo dove la camera da letto sia al piano di sopra e non in salotto. E voglio un bambino. Sto diventando vecchia», scoppiò di nuovo a piangere. «Non voglio aspettare i quarant'anni, quando poi ci accorgeremo che è tardi, ci proveremo con tutte le nostre forze, accumuleremo altro stress e la delusione di non riuscirci.»
«Ma tutte queste cose le hai dette a Mason? Cosa c'è di più bello che condividere progetti con l'uomo della tua vita?»
«Non posso farlo.» Elena scosse la testa. «Reagan cerca di capire. Il nostro rapporto funziona come un orologio con gli ingranaggi a posto e ben oliati. Non posso sostituirne nessuno altrimenti smetterebbe di funzionare. Non voglio aprire voragini, dubbi e discussioni. E non voglio che Mason pensi che io non sia più felice.»
«Tesoro ma tu non sei felice e il tuo compagno deve saperlo.»
«E se lui mi dicesse che non vuole?» Elena sgranò gli occhi. «Se io gli dicessi quello che ho detto a te e lui mi rispondesse che non vuole un matrimonio né tantomeno dei bambini per casa, che cosa farei a quel punto?» Si soffiò il naso. «Ogni volta che capisco che sta cercando di prepararmi una sorpresa spero sempre che tiri fuori una dannata scatolina, si inginocchi e mi faccia la proposta. Invece mi compra una gelatiera nuova per il ristorante, il servizio di liquori, un nuovo piumone invernale per quello stupido divano che odio.»
Reagan si alzò e raggiunse il bancone pronta a preparare i caffè. Per sua madre erano come delle medicine. Tutto si può risolvere chiacchierando davanti a una tazza di caffè. Ed era chiaro che Elena stava attraversando una crisi. Forse davvero lo stress la stava appesantendo. Vicino alla cassa trovò una confezione di integratori. «A cosa ti serve questa roba?» domandò non riuscendo a far finta di niente.
«A farmi sopravvivere un'altra settimana», rispose sua sorella. «Sono sempre stanca e non riesco a mangiare, ho lo stomaco chiuso. L'altra sera mi sono addormentata in cucina mentre i ragazzi servivano i dolci. E nessuno ha avuto il coraggio di svegliarmi, avevano paura che li licenziassi perché ultimamente urlo addosso a tutti. Ho anche un digestivo di là, perché ho sempre bruciore di stomaco. Appena questo strazio sarà passato, chiudo un paio di giorni, vado dal medico e mi metto a riposo.»
Reagan aveva ascoltato tutta la spiegazione con il cuore che piano piano aumentava i battiti. «Mettiti il cappotto. Usciamo», quasi urlò.
«Per andare dove? Non abbiamo finito di là», la ammonì Elena portando le mani ai fianchi.
«Andiamo a comprare un test di gravidanza.»
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