20
Ethan aveva seguito lo scambio verbale di sua nipote senza poterne comprendere una parola. Mentre sorseggiava quello che rimaneva della sua ennesima tazza di caffè della mattinata, aveva osservato il ragazzo biondo col cane che si allontanava mentre Will lo fissava con espressione rapita, come lui non l'aveva mai vista. Beata gioventù, era palese che quella ragazzina dovesse avere una cotta stratosferica.
Provò a tornare indietro con la memoria a quando lui aveva sedici anni ed era uno dei più popolari del liceo. Non aveva mai avuto problemi ad accaparrarsi le ragazze migliori alle feste, ma adesso non gli veniva in mente nessuna degna di essere ricordata. Erano state tutte di passaggio, lui non era uno da storia seria. Persino Alyna, quella bella ragazza che faceva da baby sitter ai figli dei vicini e con la quale aveva perso la verginità prima del diploma, non aveva più un volto definito. Aveva sette anni più di lui e gli aveva insegnato dei giochetti niente male che gli si erano rivelati utili ai tempi del college. A ben pensarci non si era mai innamorato.
Lanciò un'occhiata al cellulare. Nessun messaggio.
Tornò a guardare fuori dalla vetrata, ma di sua nipote e del suo ragazzo misterioso non c'era traccia. La porta del bar tintinnò e una signora bionda e in tacchi a spillo nonostante la neve entrò ordinando una decaffeinato con latte di soia. Come se Ethan l'avesse chiamata, si voltò nella sua direzione e i loro sguardi si incrociarono provocandogli un leggero disagio al quale non era abituato davanti al pubblico femminile. In qualsiasi altra occasione avrebbe approfittato del momento sfruttando l'attimo per farsi avanti sfoderando il suo fascino e qualcuna di quelle frasi a effetto alle quali le donne non sanno resistere.
Invece distolse lo sguardo, consapevole che la sconosciuta gli stava ancora puntando addosso il suo.
«Ma che accidenti fa?» sentì esclamare un istante dopo.
Un uomo corpulento era appena inciampato finendo proprio addosso alla donna che si era rovesciata il caffè. Il maglione apparentemente costoso sotto il cappotto sbottonato era irrimediabilmente rovinato. Ci fu un po' di trambusto mentre l'uomo cercava di rimediare tra gesti impacciati e scuse imbarazzate. Per tutta risposta la donna lo fulminò con un'occhiata gelida, lasciò qualche moneta sul bancone e uscì impettita dal bar.
A Ethan ci volle un secondo per rendersi conto che aveva dimenticato la cuffia. Senza pensarci un attimo l'aveva afferrata e stava correndo dietro la sconosciuta fuori dal locale. Per fortuna era solo pochi metri davanti a lui.
«Scusami!» le urlò.
Quella si voltò. Aveva gli occhi scuri più belli gli fosse mai capitato di incrociare. Profondi e molto determinati. E a un primo impatto doveva anche essere molto più matura di quanto non dimostrasse il suo aspetto fisico. Il che la rendeva decisamente più interessante.
«Non ci posso credere» esclamò lei scoppiando a ridere prima che lui potesse aggiungere altro. Prese il berretto che le porgeva. «Sei stato più veloce di quanto immaginassi», aggiunse ammiccando.
Ethan non capiva. E probabilmente il suo sguardo lo diceva.
«C'è stato un tempo in cui mi guardavo allo specchio e non vedevo niente. Non m'importava. Ma poi le cose sono cambiate, e io ho cominciato a riconoscere il mio riflesso», gli spiegò. «Quando ho visto il tuo sguardo nel locale, non ho saputo resistere.» Rise ancora. «Voi uomini sapete essere così dannatamente prevedibili. E mi dispiace che sia dovuta diventare vedova per accorgermene.» Gli diede un buffetto sulla guancia. «La mia autostima ti ringrazia molto, giovanotto.» E si allontanò ticchettando sicura di sé.
Ethan rimase a fissarla per un po', incredulo e ammirato, prima di rientrare nel locale. «Un caffè», ordinò al bancone.
Quella donna gli aveva tolto le parole di bocca.
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