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65- Il dottor Marchini

1 mese dopo
L'odore di legno di cedro, di cui sono fatti la maggior parte dei mobili nello studio, mischiato a quello di incenso, penetra nel mio naso, ma ormai ci ho fatto l'abitudine.

Seduto accanto a Valerio, osservo il completo marrone del dottor Marchini che, inforcati gli occhiali di corno e preso il taccuino rilegato in pelle nera, posa lo sguardo su di me e il mio migliore amico.

«Come va oggi?» domanda. «Bene» replico sollevando le spalle, «Giacomo» mi riprende. «Male, Lara non mi parla ancora» dico.

Il corpo di Valerio scivola più vicino al mio, le nostre spalle si toccano ed è un contatto confortante, so che lui c'è per me in ogni caso.

«Tornerà?» domanda, «No» controbatto stringendo i pugni. «Giacomo, parla» mi incita.

«Continua a postare foto con Tommaso o mentre è felice, senza di me. Lo fa di proposito, mi mostra la bellezza della sua vita nonostante io non ne faccia più parte» sbotto, prendendo tra le dita il palloncino argentato che tengo al polso. «Lo porta ancora?» chiede alludendo al braccialetto. Sollevo le spalle, non lo so. «Penso di sì, conosco Lara. So che non sta bene, non è il tipo che si dimentica di una persona importante come lo sono stato io nel giro di poche settimane... ma mi aveva detto di non amarlo» sibilo. «La ama. Lei non la vede, ha il sorriso alla Lara, quel sorriso che Valerio ha detto di aver visto solo con me. Lo ha con lui. Non posso neanche biasimarla, Tommaso è bello, simpatico, sicuro di sé, intelligente, non ha paura dei propri sentimenti e, soprattutto, non è instabile come lo sono io.»

Il dottor Marchini sorride leggermente annotando qualcosa sul taccuino, «Mi permetto di dirti che Lara apprezzava la tua instabilità. L'ho vista per molto tempo chiusa qui dentro, passandoci le ore in cui avrebbe potuto fare altro che stare ad ascoltarci parlare, costretta a rimanere in silenzio se non interpellata. Non è una cosa da poco venire qui dentro, è difficile, e lo è soprattutto per chi vorrebbe dire tanto. Ho visto Lara, è il mio lavoro leggere dentro le persone, ho visto che aveva tanto da dire, come lo ha il tuo amico Valerio.»

Valerio abbassa la testa imbarazzato, «Come hai molto da dire tu, Giacomo... parlami di Silvia» propone. Dopo aver preso un respiro profondo inizio a parlare, «Non riesco neanche a descriverla, anni fa pensavo che sarei arrivato ad amarla, e lo faccio. La amo perché è mia sorella, è la mia Silvia, la Teresa Fattorini di Leopardi. Silvia nella poesia di Leopardi rappresenta la speranza, seppur astratta proseguendo nella poesia... ma per me Silvia è la speranza di essere felice e avere qualcuno che mi ama. Siamo stati diverse volte insieme dalla scoperta, e mi sento così in famiglia quando sono con lei. Mi sono reso fonti che Leopardi non amava Teresa, ma Ranieri... provava un grande affetto per la sua Silvia, che è quello che io provo per mia sorella... ma Leopardi amava Ranieri, nonostante nessuno creda in questa teoria. Neanche Mattia mi dispiace, lo vedo impegnarsi ed essere in imbarazzo... so che di sente in colpa per non avermi fatto da padre nonostante non potesse sapere la mia vera identità come non la sapevo io. Adesso, non dico che lo chiamerò papà e andremo a pescare insieme, ma col tempo magari potrei farlo. Quando e se avrò dei figli probabilmente lo chiameranno nonno, e non per una cosa sanguigna, ma perché io lo considero mio padre, anche se non me la sento di dirglielo perché temo che lui possa deludermi o andare via.»

Mi lascio andare sullo schienale del divano verde in velluto con un sospiro e rilasso tutti i muscoli. «Cosa mi dici di Ginevra?» Poso le braccia sulle ginocchia coperte da un paio di jeans verde militare che ho abbinato a una maglia bianca e una felpa nera lasciata aperta. «Mi evita. Quando li ho invitati a cena un mese fa lei ha inventato un impegno e non l'ho mai più vista da quando ho scoperto di essere figlio di Mattia... il giorno della mia gita al cimitero sono andato da loro e si è chiusa in camera, sembra quasi che abbia paura di me.»

Il dottor Marchini ha sentito queste mie osservazioni diverse volte, adotta con me la terapia del farmi raccontare le cose fino a quando la mia testa non giungerà alla cosa più giusta da fare e, questa volta, l'ho trovata. «Devo parlare con Ginevra.» L'uomo davanti a me annuisce, «Credo che si possa concludere prima oggi, che dici?» propone. «Dico che ci vediamo dopodomani.»

Mi alzo di scatto senza aspettare Valerio. Scendo di corsa le scale in marmo, rischiando di spezzarmi l'osso del collo. Una volta in strada guardo prima a destra e poi a sinistra per orientarmi. Inizio a correre verso casa di Mattia, anche se so che non è per niente vicina e che ci vorrà un po'. Ma mi sono allenato tanto e provo ad immaginare che, arrivato, io troverò Lara ad aspettarmi. Immagino che lei sia lì pronta a stringermi tra le sue braccia come ha sempre fatto da quando ci siamo conosciuti.

Arrivato davanti all'edificio in cui abitano, mi fermo a prendere fiato, puntando gli occhi sull'intonaco giallo scrostato del tempo.

Poi prendo la chiave nascosta in un vaso a sinistra del portone e lo apro. Salgo le scale in fretta e, arrivato davanti al portone in legno pesante, suono al campanello. Ad aprirmi è Silvia, con i capelli raccolti in una crocchia disordinata e una t-shirt blu attillata che le lascia scoperto l'ombelico.

«Ciao Giacomo» mi saluta per poi farmi spazio, permettendomi di entrare nell'appartamento. Ogni volta che lo guardo penso a mia madre la dentro, chissà se si sentiva a suo agio e le piacevano i pochi quadri appesi al muro e il divano grigio con i cuscini rossi... magari è cambiato tutto dall'ultima volta in cui lei è stata qui. «Tua madre è in casa?» le chiedo a bassa voce. Annuisce e mi indica la cucina, così la lascio lì e vado da Ginevra.

La trovo intenta a buttare ingredienti in una pentola girata di spalle, mi appoggio allo stipite della porta di legno e mi chiedo cos'abbia io di male per non essere apprezzato da lei.

«Ciao Ginevra» tuono dopo qualche istante. Lei sobbalza per lo spavento, facendo cadere un cucchiaio di legno sul pavimento bianco e portando una mano al petto,
coperto da una maglietta attillata rosso fuoco.

«Giacomo» dice con un sorriso nervoso sul viso pallido e ornato da qualche riga d'espressione. Le labbra tinteggiate di un rossetto pallido sono incurvate e gli occhi, contornati da un po' di matita nera e del mascara, sono sgranati. «Credo che sia arrivato il momento per noi di parlare.»

Spazio autrice
Aggiorno prima del previsto, ma almeno lo faccio!

Giacomo vuole parlare con Ginevra e, spoiler, la loro conversazione sarà molto importante. Vi consiglio quindi di attendere con ansia il prossimo capitolo, perché ci saranno nuove scoperte!

Vi lascio con i dubbi, ma vi ricordo di seguirmi sui social che lascio qui sotto♥️

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