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51- Attacco di panico

Lara

Arrivare nella mia stanza d'albergo dopo una giornata stancante come questa, mi sembra una manna dal cielo. Stesa sul letto, osservo la porta comunicante con camera di Giacomo e Valerio, e mi viene voglia di andare da loro. In realtà vorrei solo stare con Giacomo.

Mi obbligo invece a restare sotto le coperte a fissare il soffitto bianco, ora scuro a causa della notte. I riscaldamenti mi soffocano, così mi scopro, sentendo un calore disumano partire dalla punta dei piedi e arrivare fino ai capelli. Così mi alzo e vengo colpita da un forte dolore al petto, che mi fa portare le mani lì. Il respiro diventa sempre più affannoso man mano che i secondi passano. Mi alzo e, nell'aprire la portafinestra per prendere una boccata d'aria, scontro un vaso che cade sul pavimento e produce un rumore assordante di cui non mi curo.

Mi ritrovo affacciata al terrazzo, forse mi sporgo troppo. Osservo le poche macchine che passano nella strada e le persone che camminano parlando. Io invece mi sento in una cupola di vetro. Mi ci sento in senso letterale, così tanto da credere che sia impossibile per me cadere giù. Mentre sono piegata e metà del mio corpo si trova sospeso nel vuoto, mi rendo conto di star perdendo l'equilibrio. Nonostante la paura non ho la forza di spingermi indietro, vorrei solo spingere avanti e cadere giù. Il respiro non si regolarizza, e il battito del mio cuore non fa altro che aumentare e la gola brucia, come se fosse attraversata da un carbone ardente, mentre il freddo pungente entra sotto il pigiama e mi congela la pelle.

Ma nella vita, se non è il tuo momento di uscire di scena per sempre, qualcuno ti salva. Trova la persona disposta a svegliarsi nella notte e afferrarti per impedirti di morire. Solo quando mi ritrovo schiacciata contro qualcosa di morbido dall'altra parte del terrazzo, mi rendo conto che stavo per cadere. Chissà come sarebbe stato il mio corpo sul marciapiede, distrutto dall'impatto. Chissà come sarei stata da morta.

«Lara? Lara? La... cosa stavi facendo?» Mi ritrovo gli occhi di Giacomo puntati nei miei. Le sue dita morbide asciugano le lacrime che, senza che io me ne accorgessi, hanno iniziato a scorrere sulle mie guance fredde.

«Entriamo, si congela.» Mi stringe a sé e mi riporta dentro, chiudendosi alle spalle la portafinestra. Dopo avermi messa sotto alle coperte si stende accanto a me per darmi un po' di calore. Il suo corpo caldo, a contatto con il mio, mi fa sospirare di sollievo: sono viva e con Giacomo... va tutto bene.

«Che è successo La?» sussurra Giacomo nel silenzio della notte. «I-io... Non lo so» rispondo ancora senza fiato. «Credo che tu abbia bisogno di riposare» consiglia, «Non te ne andare, ti prego» lo supplico stringendolo forte a me. «Non vado da nessuna parte La, mai.»

In seguito a queste parole so di poter star tranquilla, così chiudo gli occhi senza smettere di stringere Giacomo. Il suo odore penetra nelle mie narici, mentre mi addormento accanto a lui.

Solo la luce del sole è in grado di risvegliarmi da questo sonno privo di tutto. Non mi sono svegliata e non ho fatto alcun sogno, cosa strana perché sono cose che mi capitano sempre.

Ma al mio risveglio, Giacomo è accanto a me, sveglio, che si guarda intorno, in attesa che io apra gli occhi e dica qualcosa. «Ciao» mormoro dopo essere stata un po' ad osservare la sua espressione preoccupata, gli occhi stanchi. Credo sia stato sveglio tutta la notte per assicurarsi che io stessi bene.

«Lara... stai bene?» Prende il mio viso tra le mani e mi osserva. Mi tasta le guance come per assicurarsi che io sia reale, che sia viva e che ieri sera non sia caduta. Allora lo imito, poso le mani sul suo volto e gli accarezzo le guance. Lui socchiude gli occhi, «Puoi tenerli aperti?» domando con un'insicurezza che non si è mai palesata con Giacomo. Lui esegue e punta i suoi occhi nei miei; l'azzurro mi trasmette una tranquillità impressionante che pensavo di aver perso per sempre, il marrone tenta di leggermi dentro.

«È successo anche a me, anni fa» confida. «Mi sono ritrovato nella vasca da bagno alle quattro del mattino senza accorgermene, zia Laura è entrata in bagno perché è caduta la bottiglia dello shampoo» racconta. «Scusa se non te l'ho detto, ma non è più successo.»

Scuoto il capo, «Credo di soffrire di attacchi di panico.» Mi porto le ginocchia al petto, «Ti è già successo?» Annuisco. Inizio a rimuginare sulle cose successe negli ultimi due mesi e, tralasciando l'altra notte, so che è successo altre volte.

1 mese e mezzo prima
La mattina è ideale per correre, come dice Giacomo. Così mi ritrovo a sudare in un parco deserto tra le foglie cadute e l'aria fresca mattutina. Vedo solo un signore anziano giocare con il suo cane a frisbee, ma per il resto tutto tace. Solo il rumore delle mie scarpe sulla stradina asfaltata e lo scricchiolio delle foglie che ogni tanto calpesto. Ho scordato il telefono a casa stamattina, così non posso ascoltare la musica, ma mi godo questa bella sensazione.

Dopo un po' mi fermo per riprendere fiato e mi siedo sotto un grande albero. L'erba è leggermente umida, ma non me ne curo.

Per distrarmi gioco con il bordo della t-shirt che ho preso a caso dall'armadio osservando l'orizzonte. Sarebbe bello avere Giacomo qui con me. Non ci vediamo dal giorno della mia partenza e mi manca così tanto. Ho bisogno che mi stringa, di sentirlo vicino a me. Invece lui è a casa, quella che fino a poco fa era anche la mia.

La gola si secca improvvisamente e il respiro, che era tornato normale, inizia ad affannarsi. L'ossigeno fatica ad entrare nei miei polmoni. Mi sento soffocare, come se fossi sott'acqua e non in grado di tornare in superficie. Un conato di vomito mi assale, poi un altro e un altro ancora. Faccio giusto in tempo a correre dietro un cespuglio per far sì che non mi vedano ipotetici passanti, e poi vomito tutto quello che avevo nello stomaco. Una scossa di brividi mi percuote quando finisco. Il sudore freddo mi fa tremare, l'aria non è più piacevole come prima.

Poso le mani sulle ginocchia, come per obbligarmi a reggermi in piedi visto che le gambe sono diventate molli come gelatina. Chiudo gli occhi per smettere di immaginare Giacomo che mi rassicura accanto a me. Smetto di pensarlo stringermi forte e dirmi che andrà bene. Posso farcela da sola... devo. Giacomo non è più con me e devo farci l'abitudine. Quella era la nostra ultima notte insieme.

1 e mezzo mese dopo
Decido di non raccontare a Giacomo nei dettagli le altre volte in cui è capitato, anche perché la causa di questo mio malessere è la lontananza da lui. Stare senza Giacomo, cosa a cui non mi sono ancora abituata, mi uccide. Eppure mi è successo anche mentre dormiva nella stanza accanto alla mia. Così capisco la vera causa di questo dolore opprimente. Non è la distanza fisica da Giacomo, ma quella emotiva. Mi sento emotivamente distante da Giacomo, in realtà da chiunque. Sono estranea al mondo in cui vivo da diciott'anni, mi sento fuori posto come non mi è mai successo.

Come si trova il proprio posto nel mondo? Guardando Giacomo mi rendo conto che è lui il mio posto nel mondo, il migliore che potessi trovare in un milione di anni.

Però io e Giacomo ci stiamo emotivamente allontanando perché tra di noi le cose sono sul punto di precipitare del tutto. La distanza fisica sarebbe sopportabile, se solo io non volessi sputargli in faccia tutto ciò che provo.

La verità è che a me Tommaso non basta, e lui non merita tutto questo. È anche uno dei motivi per cui ho acconsentito senza protestare a tacere con Bianca, non voglio dirle della relazione tra me e suo fratello quando lei sa benissimo che sono follemente innamorata di Giacomo.

Sono una persona orrenda, lo ammetto, ma stare stretta a Giacomo Riva nel letto di un albergo a New York, come se io e lui fossimo più che migliori amici, come se avessimo qualcosa, mi fa sentire così bene da far girare la testa.

Spazio autrice
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